“Zomba ra ccà e ra ddà” tra ricordi e tradizioni cilentane – una raccolta a cura di Pantaleo Palladino, medico umanista, appassionato cultore della storia e delle tradizioni della sua terra.
Dottore, il suo libro “Zomba ra ccà e ra ddà” è un vero e proprio contenitore della cultura cilentana che, offre una visione generale intrisa di completezza. Una raccolta di detti, proverbi, canti, parole dialettali, giochi, ricette di famiglia e cosa che risalta subito agli occhi, le immagini. Tante fotografie della Vallo della Lucania di un tempo.
Tengo molto alle foto, tant’è che avevo fatto una premessa all’editore; se le foto non avessero avuto una certa chiarezza, avrei preferite non metterle. Un libro senza foto lascia sempre un po’ la bocca asciutta perché la prima cosa che si fa con un libro è sfogliarlo. Le immagini concretizzano una realtà, qualcosa che ti da subito l’idea di cosa stai fruendo.
Suppongo abbia fatto una grande ricerca.
No. Io sono un po’ appassionato, mia moglie mi dice che vivo nel passato. Da sempre colleziono tantissime foto d’epoca di Vallo; ne ho tante che rappresentano anche personaggi, così come conservo le figure della mia famiglia, dei miei nonni che cito nel libro per i proverbi e le ricette. Pertanto, mi raffronto spesso con degli amici che hanno interessi affini ai miei, con i quali ci attardiamo su vecchie foto che rappresentano gruppi di persone, magari alle scuole, con l’intento di individuare i personaggi nel dagherrotipo. Ho fatto una breve selezione delle immagini che avevo a disposizione per metterle all’inizio del libro, ne ho procurata soltanto qualche altra più significativa, come quelle del tunnel sottostante la Piazza Vittorio Emanuele dove scorre il torrente “Fabbrica”.
Dottore, più che al senso di appartenenza, spesso ricondizionato in rivisitazioni azzardate e prive di connessioni dirette con gli usi e i costumi del passato, lei esprimere una visione che sembra evidenziare il fulcro sotto un’inclinazione pedagogica. Il passato da cui attingere l’esperienza, la fonte primaria e necessaria per capire meglio il presente e il futuro.
Si, per me chi disconosce il passato non ha un facile futuro.
Qual è, secondo lei, la direzione che occorrerebbe percorrere per capire a fondo la ricchezza della cultura cilentana in tal senso?
Innanzitutto si parla continuamente della salvaguardia del patrimonio culturale, ogni programma televisivo parla delle caratteristiche del territorio, ma il problema è che molto spesso non sono veramente conosciute nella vera essenza. Se non si conoscono appieno è difficile raggiungere lo scopo. Cosa significa questo? Significa addentrarsi dentro le evoluzioni, i cambiamenti. Bisognerebbe guardare l’evoluzione della cucina, del linguaggio, delle consuetudini, per poterle ad un certo punto salvaguardarle e utilizzarle per lo sviluppo futuro. In breve, occorrerebbe conoscere l’evoluzione delle caratteristiche del Cilento. Nel libro ho riportato alcuni termini che non sono più in uso e li ho tirati fuori dagli emigranti che conservano ancora la lingua non modificata. È da certe espressioni, da certe consuetudini che si capisce l’andamento della vita sociale di un determinato periodo. Tuttavia, dalle modalità con cui si svolgeva quella quotidianità, si riesce a ricostruire e capire non propriamente un passato di storia, ma di vita.
In effetti, seppure oggi parliamo di un territorio interessato dalle attenzioni di importanti enti preposti per la salvaguardia del patrimonio culturale e dello sviluppo socio – economico, non si riesce a tracciare, neanche in chiave moderna, quello che per un tempo viene definito il “fermento” della vita del Cilento e dei suoi abitanti. Questo si percepisce anche dal contenuto che, in gran dose, viene riportato nel suo lavoro.
Gli scambi tra le varie zone, tra i vari paesi erano molto più difficoltosi. Al tempo non c’era la possibilità di scambiarsi con una frequenza e con una modalità semplice come quella di oggi. Ogni gruppo cercava di raggiungere un’autonomia, una libertà. Quanto più si era capaci di essere autonomi, tanto più si era liberi. Ogni comunità era costretta a risolvere tutte le problematiche perché non c’era la possibilità di ricorrere alla struttura adiacente. A differenza oggi, annulliamo la nostra autonomia perché i contatti ci rendono la soluzione di ogni problematica con una facilità di contratti tra i vari gruppi sociali. Ecco, quel che lei riferiva con il termine “fermento” è l’idea di una grandiosità di un popolo capace di fare quello che oggi non si è più in grado. Parliamo di società quasi perfette perché riuscivano ad ottenere alla meglio, tutto quello che serviva. Adesso abbiamo perso importanza, non siamo più delle unità autonome e degne di rispetto, siamo un pezzo di una magnitudine che tende a perdere la propria identità.
Secondo lei, per riportare quel che di buono potrebbero i sentori dei valori di un tempo, cosa serve?
La cosa fondamentale è la conoscenza. Avendo una conoscenza dei vari modelli di vita, uno ha la possibilità di scegliere. La vita cilentana si poggiava su persone che avevano una certa modestia, una misura delle loro capacità e delle loro possibilità. Un tempo le persone sentivano il bisogno di aiutarsi e questo creava un sentimento di fratellanza, di comunione, nell’epoca attuale invece, si ritiene di avere tutto quello che si necessità e che non si ha bisogno dell’altro.
Questa cosa mi rimanda al fortunato ritrovamento, che feci da adolescente, dello “Statuto Operaio di Mutuo Soccorso” del mio paese, risalente al 1903.
I contadini avevano l’abitudine di avere l’aiuto dell’altro contadino. All’epoca si diceva “a iurnate rennete”, ovvero, una sorte di associazione che creava unione tra queste persone. Ora, non voglio dire che bisognerebbe ritornare a modalità semplicistiche, ma utilizzare questo sistema in un paese, sarebbe opportuno al fine di sfruttare i prodotti del territorio di cui tanto si parla. Questa cosa è possibile solo se si consorziano gli abitanti del territorio, perché sicuramente lo salvaguarderanno. Se questo non avviene, rimane solamente una favola.
Il suo libro è sicuramente una buona guida per far conoscere la vita del Cilento di un tempo, della sua Vallo della Lucania ai visitatori, ai più giovani e ai meno attenti alle evoluzioni degli usi e costumi di un tempo.
Ho cercato di portare tutto quello che ricordavo. È una raccolta di ricordi della mia terra e del mio paese.