Caro Direttore, ho notato con piacere che hai dedicato gli ultimi numeri di Unico alle elezioni amministrative nei comuni cilentani concedendo ampio spazio a candidati e programmi. Però, per evitare che il settimanale possa apparire uno strumento di propaganda di parte, forse è opportuno una riflessione sui contenuti, vera cartina di tornasole per cogliere l’evoluzione o la staticità della classe dirigente locale.
La sconfitta di un certo modo di amministrare è un evidente segnale che nessuna corda può essere tirata senza spezzarsi. Le politiche clientelari hanno raggiunto un radicamento da far sembrare intoccabili i protagonisti. Ma la gente è stanca della corruzione, delle nomine clientelari, del degrado territoriale, celato dietro dalle parole melliflue ma sostanzialmente arroganti di chi si crede intoccabile. Le prossime elezioni segnano un punto di rottura con amministratori incapaci di dialogare col popolo, triste situazione per un establishment che non ha saputo capire le spinte al cambiamento.
Conosco poco situazioni e personaggi che si confrontano nell’attuale competizione elettorale. Qualcosa mi pare di sapere solo del mio paese e come esempio dell’eventuale metodo da seguire per orientarsi nelle scelte propongo delle riflessioni scaturiti da quanto ho inteso e letto nei programmi, proponendomi di rimanere rigidamente fuori del concreto confronto tra individui. L’amministrazione comunale uscente ha apportato gli ultimi ritocchi al volto che ha voluto dare al paese, ma sembra che a Vallo a prevalere sia stata l’estetica dell’ego, che ha dominato celebrando, nonostante il parolaio vogliamoci bene di una apparente concordia, il mito dell’uomo solo al comando. La popolazione ha vivacchiato in un apatico silenzio. La comunità sta precipitando nella totale subalternità per aver definitivamente tradito la vocazione che ne aveva fatto il centro propulsore del Cilento interno collegandolo alla costa e, quindi, con i vettori di nuove dinamiche economiche. Particolarmente minaccioso è l’allarme che deriva dai dati demografici con proiezioni fino al 2040. Infatti si ipotizza una flessione con poco più di settemila abitanti in una cittadina che nel 1861 ne contava già oltre cinquemila, collocandosi al secondo posto, dopo Castellabate, nel distretto di appartenenza. Se si richiamano gli studi dell’arcidiacono Cagnazzi, che prevedeva il raddoppio della popolazione in tre generazioni, il dato merita un’allarmata riflessione per gli evidenti problemi incancrenitisi nel territorio comunale. Infatti, non si tratta solo del saldo negativo dei nati sui morti, purtroppo fisiologico in tutta la penisola, ma di numeri da esodo biblico che ricordano quanto è avvenuto nel paese dopo la crisi agraria di fine Ottocento e fino allo scoppio della Grande Guerra.
In questa drastica flessione è racchiuso tutto il dramma dell’emigrazione giovanile, non una fuga per reazione alle poco stimolanti condizioni del borgo natio, ma una necessità di sopravvivenza, soprattutto se si è tanto sperato e tanto studiato per vedere concretamente realizzate le proprie capacità in una economia civile, vera alternativa ai guasti della globalizzazione in atto. La situazione si trascina da decenni. In un saggio del 2000 concludevo invitando le giovani generazioni ad impegnarsi per impedire che di Vallo rimanesse soltanto il ricordo del passato.
Proprio analizzando questo passato si individuano le dinamiche che, nel giro di poche generazioni, trasformarono un paese di conciatori e di contadini in città di servizi per un vasto comprensorio. Tuttavia, questi processi di crescita, colpiti da una crisi generalizzata, prima si sono rallentati e poi bloccati del tutto. Cessato un fiorente artigianato, l’agricoltura si è ridotta a mera attività di sussistenza a gestione part time. Solo rimesse di emigrati e i contributi della spesa sociale statale hanno consentito di vivacchiare soprattutto dopo che il partito del mattone si è bloccato del tutto per entropia e opzioni amministrative poco previgenti. Intanto la rivoluzione nei trasporti e il nefasto sistema stradale hanno progressivamente ridimensionato i benefici effetti della centralità del paese. Aree contermini ed i relativi paesi hanno avviato un processo centrifugo che ha ridotto Vallo a riferimento di poche e povere aree interne. E’ possibile dedurre ciò dagli studi condotti e che hanno trovato spazio nel programma di una delle due liste che si contendono la vittoria alle elezioni. Nell’altra a prevalere è la riproposizione di impegni già enunciati in precedenti competizioni, promesse poco rispondenti al vero significato del lemma, che evoca un patto, garanzia e assicurazione di un impegno di operosa attenzione al bene comune.
Le due liste si pongono in posizione antitetica nel valutare l’operato dell’amministrazione ancora in carica la quale, avendo gestito il potere per due lustri, di fatto ha mostrato scarsa preveggenza nell’individuare le dinamiche in atto per cercare di porvi qualche riparo. Una c’è chi si presenta come un riconoscente erede del sindaco uscente, del quale elogia i risultati, sciorinati come un rosario, ma purtroppo smentiti dai fatti. Per molti versi ricorda l’amministrazione che, a fine Ottocento, col passaggio dalla Destra alla Sinistra storica fu incapace di imporsi a livello provinciale e nazionale nella scelta del tracciato della ferrovia. Rispetto a quello preventivato che da Eboli per Laurino doveva arrivare a Vallo, abili faccendieri del Cilento storico, legati a Nicotera, il demiurgo salernitano del tempo, uscirono vincenti dal confronto. I binari passarono per la piana di Paestum e forarono l’acrocoro cilentano, percorso molto più costoso e strategicamente pericolo nel Mediterraneo rispetto alle dinamiche internazioni del tempo. Ora per coerenza, se si rivendicano i meriti, bisogna accettare anche le responsabilità per eventuali insuccessi e chiedersi: a chi addebitare la minacciosa mannaia sul bilancio comunale che rischia un probabile default?
Un confronto civile, senza ricorrere ad offese personali, dovrebbe indurre i candidati ad affrontare questi temi e superare atavici condizionamenti legati al voto clanico che perpetua la pessima prassi del familismo amorale! La scelta potrebbe risultare anche una felice opportunità per i giovani nel prendere posizione e sentirsi finalmente protagonisti. Una positiva novità rispetto al passato è data dalla presenza dei giovani rispetto a capi-bastone e patriarchi pronti a garantire pacchetti di voti con un indicibile do ut des. Forse sarebbe stato opportuno puntare ancora di più sulle donne. Il paese ha bisogno della loro sperimentata praticità per uscire dal ginepraio di tanti piccoli ma angoscianti problemi quotidiani. Ebbene, se l’elettorato giovanile fa convergere i voti sui coetanei si radica la speranza di concrete prospettive perché alla staticità di amministratori, contenti da anni solo di salire e scendere le scale del municipio, si potrebbe sostituire la dinamicità di chi sa, con adeguati strumenti tecnici, entrare in contatto col mondo per trasformare un’area marginale in scrigno di potenziali opportunità.