Di Lucio Capo Ma sotto a Cirio “che ce ‘sta?” La domanda nasce spontanea … e la risposta è … Il Santuario di Santa Venere! Quando il pomodoro della Campania arricchì un piemontese semianalfabeta, profanando quello che per 2000 anni era stato gelosamente custodito. Così il “Santuario di Santa Venere” fu coperto dai capannoni della Cirio, e, Paestum passò dalle sacerdotesse di Afrodite offerenti, alle ancelle dei pomidori sofferenti. La storia della Cirio è vecchia. Il suo fondatore Francesco Cirio nasce a Nizza Monferrato il 24 dicembre 1836, suo padre aveva un piccolo negozio di pane e pasta a Fontanile. Francesco, da piccolo lavora nella bottega del padre, a poco più di quindici anni si mette in proprio, facendo il rivenditore di ortaggi e legumi, capisce che la conservazione della verdura può essere il business del futuro. Nel 1865, investe un piccolo capitale nel processo di conservazione delle verdure, per rivenderle successivamente in inverno. Incomincia dai piselli per approdare ai pomodori. Nel giro di pochi anni diventa ricco e famoso, l’Unità d’Italia voluta dai Savoia e dai piemontesi, non poteva non favorire un conterraneo nato in provincia d’Asti. La Cirio divenuta nel 1889 S.p.a., incomincia ad investire nel Sud, col beneplacito della Casa Reale Sabauda. Francesco Cirio costruisce stabilimenti a Castellammare di Stabia, San Giovanni a Teduccio, Pontecagnano, Paestum. Nelle cronache giornalistiche d’inizio secolo è possibile leggere l’apologia della fabbrica Cirio definita quale esempio di “decoro e vanto dell’industria meridionale”. Negli stabilimenti della Cirio venivano impiegati normalmente centinaia di operaie ed operai, chi di noi capaccesi non ha avuto un parente o un conoscente che ha lavorato nella Cirio di Pestùm. I giornali dell’epoca esaltavano finanche la salubrità dei locali della fabbrica di pomodori e del ruolo sociale della fabbrica nei confronti delle donne, come se la Cirio fosse un educandato femminile, “ Nelle ampie sale dello stabilimento industriale che per opera della casa Cirio è assurto ad una rinomanza mondiale, entra a fiotti la luce, l’aria circola negli ampi spazi. Gli operai sono obbligati a lavarsi tre volte le mani con sapone di potassio. La Cirio dà lavoro e guadagno e guadagno a centinaia di giovinette, e ne vigila esemplarmente la vita, dando loro in pari tempo col danaro che serve a sostenere l’esistenza e l’educazione, che nasce precipuamente da una vita di lavoro ben inteso e disciplinato”. Ma i tempi cambiano, la Cirio di Pestùm viene abbandonata negli anni ’80, e, da allora è diventata un rudere fatiscente e pericolante, rimane il dibattito eterno sulla sua destinazione. La diatriba è tra i sostenitori dell’abbattimento dei lacerti del manufatto e i recuperatori degli stessi. Gli abbattitori vogliono il ripristino della sacralità del Santuario di Afrodite, profanata dalla Cirio, tesi sostenuta dalla Scuola Filosofica dell’Olmopanno, con la quale concorda la Scuola Filosofica della Capiscienza. I restauratori vogliono sistemare le fatiscenti superfetazioni della Cirio con 12 milioni di soldi del popolo, per farne non si sa cosa, tesi sostenuta dagli scienziati ministeriali. Distanze incolmabili tra i due contendenti, ma comunque seguirà dibattito… come nelle migliori tradizioni della sinistra parolaia. Rimane misconosciuta ai più la funzione del Santuario di Santa Venere, che proviamo a descrivere. Il Santuario di Santa Venere era un “luogo di transizione”, un Tempio per purificarsi, prima di entrare in città. In epoca arcaica vi si praticava il culto di Afrodite e il culto di Venere in età lucana e romana. Santa Venere era legato al mondo femminile e vi si teneva una festa a cui partecipavano tutte le donne di ogni ceto sociale. Le donne nubili che frequentavano il Santuario di Santa Venere, solevano bagnarsi nelle acque termali del Tempio, per tentare di “ricostruire la propria verginità” e mantenere vivo l’interesse del proprio amante. Le donne sposate, invece, facevano bagni rituali per ingraziarsi la Dea per un parto fecondo, per dare continuità alla propria stirpe. La conferma di tutto quanto descritto si trova negli “strongyla” del Santuario di Santa Venere. Gli “strongyla” sono delle strutture circolari con al centro una colonna, costruiti su un lato di una piscina, dove le donne potevano sedersi, spogliarsi e poi immergersi nelle acque purificatrici della piscina votiva. Una ritualità che potrebbe essere foriera di molte presenze femminili a Paestum, se solo si abbattessero i vecchi e sfondati capannoni della Cirio. I matrimoni potremmo farli nel Santuario di Venere, il Tempio dedicato all’amore.
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