Quando fui chiamato a Roma, al ministero dell’Ambiente per l’investitura, il Parco nazionale del Cilento e vallo di Diano non esisteva se non sulla carta. Era stato creato nel ’91 ma in realtà non era mai partito. Il ministro dell’epoca, era il 1995, ricevette il comitato di gestione, tutte persone che non si erano mai viste e si incontravano lì prima volta. Dopo le strette di mano mi chiamarono da parte: Presidente, questa è roba sua! mi dissero sorridendo. Erano 350 pratiche del cosiddetto regime “autorizzativo”.
Due di queste erano in scadenza il giorno dopo. Così cominciò il mio lavoro di presidente di un parco nazionale.
A un botanico come me, appassionato di orchidee, toccava, come compito istituzionale fare il burocrate, l’amministratore, il politico. Fui costretto a entrare nel ginepraio delle leggi e dei decreti…
L’intervista a Vincenzo La Valva, presidente di uno dei più bei parchi nazionali d’Italia, si svolge a Roma, in un ufficio, quello della T-scrivo, con vista sul Colosseo.
È la fine di luglio del Duemila. Il parco del Cilento e Vallo di Diano ha ancora pochi anni di vita. Da luogo sconosciuto che era (e sconosciuto anche alla maggioranza delle decine di migliaia di cilentani che vi vivono dentro) è diventato un fiore all’occhiello della Campania. Un fiore, come il simbolo stesso del parco: la gialla primula di Palinuro.
Appunto, Palinuro.
Un parco nazionale enorme con un largo fronte a mare, con coste come Punta Infreschi assolutamente integre, con emergenze archeologiche a livello mondiale come Paestum; un parco che è diventato in poco tempo riserva della Biosfera e patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
La Valva parla della storia “suo” parco nazionale cercando di spiegarne tutti i problemi e gli intoppi che frenano la vita di un botanico, di uno studioso che vorrebbe fare conservazione della natura e che invece deve lottare, battagliare, litigare per convincere tutti coloro con cui si confronta che il “loro” parco, in prospettiva, è risorsa economica, sviluppo, progresso sociale.
E continua il suo racconto… Così cominciammo a lavorare: un ufficio di 35 metri quadrati, senza servizi. Eravamo ospiti di comunità montane. Eravamo guardati male dai sindaci dei comuni i cui confini erano dentro al Parco perché, dal 1991, dalla sua istituzione, tutti avevano dovuto fare i conti con vincoli e restrizioni. E non avevano avuto in cambio nulla. La gente era vessata. Ed era comprensibile il loro astio contro un qualcosa che era arrivato da fuori. Cominciammo a lavorare, senza soldi e con una sola impiegata. Così andammo avanti fino alla nomina del direttore; quando arrivò Mimì Nicoletti era il primo febbraio del 1997.
Avevo comunque avuto aiuto e sostegno soprattutto dal senatore Michele Pinto e da Alfonso Andria, presidente della Provincia di Salerno.
Ed ancora ci furono molto di aiuto volontari, giovani (e non) di Legambiente e del Wwf.
C’era forte aspettativa tra la popolazione per qualcosa che non si sapeva bene neppure cosa potesse diventare…
Il suo è un racconto epico. Ma le cose sono andate veramente così male?
No. Sono andate fortunatamente anche meglio di come pensavamo.
Oggi il Parco ha una sua sede a Vallo della Lucania; ha un ufficio conservazione natura; ha presidi ambientali permanenti che fanno monitoraggio sullo stato di salute del territorio: acque e frane. Abbiamo uffici di piano, uffici cartografici. Stampiamo pubblicazioni, libri in inglese, promuoviamo incontri, cultura, educazione ambientale.
In 5 anni non è poco. Ricordo che molti scambiavano il Cilento al Salento. Non è vero?
Certo, non ci conosceva nessuno. Oggi noi siamo pronti a presentare il Piano del Parco, per dare una programmazione al futuro. Abbiamo preso specialisti per ogni settore e siamo andati tutti insieme a confrontarci con i cittadini, i sindaci. A parlare, anche a litigare certo. Abbiamo un forum alla Certosa di Padula, uno dei luoghi storici più belli del parco, perché tutti possano intervenire e sapere cosa sta accadendo. Anche perché noi vogliamo presentare il Piano del Parco insieme al Piano economico. Vogliamo lavorare insieme…
Questo aprire alla gente, questa volontà di partecipazione collettiva ha dato buoni frutti?
Intanto abbiamo aperto una falla nel muro dell’indifferenza. Stiamo creando tra i cilentani una coscienza del valore del loro territorio. Nasce l’identità del Parco, che non è poco visto che all’inizio se avessero potuto ci avrebbero bruciati sul rogo. Abbiamo parlato del parco nelle tv locali, lo abbiamo fatto conoscere. Molte persone questo lo hanno apprezzato. Molte altre no, hanno criticato. Ma è normale questo quando si prendono iniziative. Pensiamo per un attimo che ci sono 250 mila persone che vivono dentro i confini del Parco. Qui non siamo a Yellowstone dove ci sono solo foreste, orsi e bisonti. Qui c’è una stratificazione di vita, di archeologia, arte, cultura, ma anche artigianato e gastronomia di qualità che mi spaventa.
In che senso?
Mi spaventa la ricchezza di un mondo mediterraneo, della sua natura e della sua antropizzazione. Mi spaventa in senso positivo, beninteso, perché le potenzialità sono tante, enormi. Ma… Ma, c’è sempre un ma… Si, perché lo stimolo a fare, e a fare bene, ci passa e mi passa quando si deve avere a che fare con cose, incredibili per chi dirige un parco, come il caso dei lavori socialmente utili. O quando la burocrazia e la farraginosità degli atti amministrativi ti invischiano in una ragnatela dalla quale è difficile uscire.
Per esempio? A Roma noi del Cilento siamo considerati tra le maglie nere dei parchi nazionali. Perché? Per esempio perché non riusciamo a spendere i soldi che sono stanziati. Siamo il parco che ha speso meno di tutti.
Ma allora le prospettive?
Il futuro per noi è sicuramente roseo. Pensiamo solo al fatto che in questo momento ben 16 comuni hanno chiesto di far parte delle aree contigue, istituite per decreto regionale. Vogliono in qualche modo essere parte del Parco del Cilento. Entrare nelle aree contigue vuol dire essere in un’area cuscinetto con vincoli più morbidi, ma pur sempre con vincoli. Poi ci sono una serie di comuni i cui confini sono metà dentro e metà fuori Parco. Tutti hanno chiesto di allargare i confini e farli entrare tutti dentro. E pensare che 4 anni fa mi avevano chiesto di uscire. Volevano starsene fuori! Questo per noi è motivo di soddisfazione. Ma voglio fare ancora un altro esempio. Alle ultime elezioni comunali tutti i sindaci uscenti che avevano parlato contro il Parco non sono stati rieletti, Altri che prima erano contro il Parco oggi sono nel consiglio di amministrazione.
Tra le prospettive future che posto occupa il turismo?
Occuperà un posto importante. Purtroppo oggi il territorio non si sta adeguando alla domanda di turismo di un parco nazionale. Da noi non può esserci il turismo di massa della costa cilentana. Nel parco il turismo deve essere dolce ma costante, Deve fare leva sulle grandiose bellezze naturali, ma anche sull’archeologia, l’arte e perché no, la cucina, la gastronomia, la bontà dei nostri vini e dei nostri formaggi. Un turismo fatto di percorsi misti, selettivi, artistici e naturalistici. Ma per fare questo gli amministratori devono essere primi a essere convinti; dovrebbero conoscere bene i tesori di natura, archeologia e arte che possiedono. E invece si vede molto poco movimento. C’è poca cooperazione, pochissima impresa. Soprattutto tra i giovani non stanno scattando quegli stimoli giusti… Vi aspetta allora un grosso lavoro. Di educazione nelle scuole, tra i giovani. Devono sentire natura, animali, piante, boschi, ruscelli, come parte della loro vita. Devono imparare a conoscerla per poi valorizzarla. Hanno una fortuna enorme. Quella di nascere in una grande area protetta. Qui le cose non potranno che andare meglio. Sicuramente meglio di ora.
Ma allora come dovrebbe essere il Parco del Cilento e del Vallo di Diano? Come lo vede lei, nel prossimo futuro?
Lo vedo proprio così. Immaginiamo tutti insieme l’arrivo di un bel gruppo di turisti tedeschi che hanno deciso, dopo Paestum, passare alcuni montagne dell’interno, nel Parco. Bene, loro prenderanno in affitto un appartamento, il classico bed and breakfast, avranno un pulmino con guida locale. Sceglieranno loro, tra i tanti itinerari, quello più consono ai loro interessi botanici, piuttosto che faunistici. Eccoli allora in giro. E se il pulmino dovrà cambiare una gomma bucata, loro avranno il tempo e il piacere di visitare una nostra artigiana che fa merletti al tombolo, piuttosto che una cantina di buon vino. O gustarsi in buona pace degli eccellenti formaggi e degli ottimi affettati. Riparata la gomma ripartirà la gita per arrivare al sentiero e salire in cima a questo o a quel monte, per trovarsi in mezzo a scenari di fiaba. Ecco, per far questo ci vorrà tempo, certo. Ma questo sarà il futuro del nostro parco nazionale. Abbiamo aiuti dall’Unione Europea, abbiamo mezzi a disposizione. Si tratterà solo, e non è poco, di unire tutte le forze produttive dagli amministratori, ai cittadini. Una catena di concertazione enorme. Dobbiamo abbellire le case dei nostri paesi, e stiamo aiutando chi lo farà; dobbiamo stimolare l’ospitalità con camere e appartamenti da affittare; dobbiamo regolamentare in modo corretto e sostenibile, la gestione dei boschi; dobbiamo dialogare con i cacciatori per le aree faunistiche contigue alle zone di rispetto e conservazione della natura. Ci aspetta un gran lavoro. Cinque anni fa, lo ripeto a conclusione di questa intervista, non esistevamo.
Oggi abbiamo un progetto forte, che può e dovrà funzionare!