Nel prossimo giugno Aquara andrà alle urne per rinnovare l’amministrazione comunale. La notizia mi fa tornare alla memoria una esperienza di tanti anni fa per parlare della Valle del Calore e delle sue potenzialità inespresse…
Una virgola di luna si apriva al sorriso tra la nuvolaglia che minacciava residui piovaschi. In lontananza la pianura era punteggiata dalle luci della contrada a conquista di mare. Nei vicoli schiaffi gelidi di tramontana a gara di mulinello nella minuscola piazza a decoro di chiesa antica a scivolo di sagrato spalancato sull’infinito. Ad Aquara persisteva l’ultima coda dell’inverno. Mi accompagnava Bartolo Scandizzo e l’avevamo corteggiato, il paese, con quel grappolo di luci a ricamo di collina caracollando giù da Roccadaspide verso il fiume e risalendo l’altro versante in comodi tornanti tra i coltivi di vigneti ed uliveti. In lontananza si snodavano le processioni di luci di Castel San Lorenzo e Felitto fin lassù a Valle dell’Angelo e Laurino, da un lato, e Ottati, Bellosguardo, Roscigno e Sacco, dall’altro. Nel semichiarore si immaginavano i contrafforti del Cervati, con l’altare di pietra dello Scanno del Tesoro, e del Motola con le specificità delle abetaie e delle faggete. Giù il Calore litaniava la storia raccolta dai displuvi degli affluenti, il Fasanella, il Sammaro, il Trenico. E fu il tema dell’incontro voluto da Tonino Marino che all’epoca era passionale e determinato capogruppo dell’opposizione al Comune di Aquara, razionale e professionale direttore della locale Banca di Credito Cooperativo, mecenate attento allo sviluppo, nel segno della cultura, del territorio (come è ancora oggi a distanza di alcuni decenni). E, nel dibattito vivace e appassionato, si materializzarono personaggi della storia miti e leggende, passioni civili, tradizioni folclori che, culti devozionali, santi e briganti, il peana del lavoro di contadini pazienti e sapienti, di pastori a solitario dialogo con cani ed armenti, a vigile custodia di mandrie brade dall’assalto improvviso dei lupi. E nella e con la storia del fiume, rivivevano le gesta dei padri antichi ossificati nel dio guerriero dell’Antece a Costa Palomba e nell’arredo sepolcrale del lucumone enotrio di Monte Pruno. E si snodarono per le antiche vie del sale e del grano Velini e Pestani ad animare commerci fin lassù alla Sella del Corticato per scivolare in comodo pendio verso il Vallo del Diano,risalire ancora verso Atena e, attraverso Grumentum, approdare alle coste ioniche di Sibari e Metaponto: Oh il percorso straordinario di sorprese della via antica a collegamento tra i due mari, il tirreno e lo Ionio, e che fu teatro della grande storia di guerra e pace, di conflitti e tregue armate, di traffici sereni e razzie violente. E castelli e torri sibilarono, sulle ali del vento della sera, l’ira sanguinaria di Federico II contro i baroni ribelli, la guida illuminata di Ettore Fieramosca. feudatario umano e tollerante, assurto a mito di eroismo, la “tracotanza dei “signori” che succhiavano sangue ed averi ai contadini indifesi. E i conventi si popolarono d’improvviso. di monaci, basiliani e benedettini, colti e, qualche volta, santi. E le chiese riecheggiarono di preghiere per i santi protettori, generosi di grazie e miracoli contro epidemie ed inondazioni. Nelle grotte e nelle forre si levò alto il canto dei briganti protettivi con i deboli e spietati con i potenti nei raid in pieno giorno in cui crepitavano le fucilate da giustizia sommaria. Per i campi rotolava il sibilo di lamento da fatica dei contadini il canto “a voce stesa” delle donne nelle stagioni dei raccolti; i tralci che gonfiano umori alle pigne a settembre, le castagne che spaccavano l’oro dei ricci, pulcini a timida fuga dalla cova, ad ottobre, le olive che rifrangevano sole nel lucido viola a novembre. E le acque delle sorgenti brillavano di luce prima del tonfo a rumorosa catapulta nel ventre degli inghiottitoi, esponevano capricci di stalattiti e stalagmiti nel chiuso delle grotte, esplodevano in argentea luminosità nei salti arditi delle cascate a levigare striature di ocra e marmo al nudo umidiccio delle rocce ripariali. E per l’aria volteggiava superba l’aquila reale. E nelle notti illuni ululava il lupo famelico. E in quelle di plenilunio la lontra guardinga fuorusciva dalla tana a conquista fugace di cibo a traversare rapide di fiume. Oh le potenzialità inespresse di un territorio, la Valle del Calore, appunto, se solo si approntasse un progetto integrale di sviluppo per recuperare il passato, esaltare il presente e costruire il futuro lungo le strade feconde della cultura, puntando su di un turismo di qualità, che sappia coniugare in sinergia beni culturali, ambiente, agricoltura ed artigianato. È la strada giusta, quella del recupero della memoria storica, per immettere nei circuiti dei mercati un grande patrimonio. È la strada maestra per stimolare giovani e meno giovani alla ricerca delle proprie radici, narrando storia e storie, miti, favole e leggende, chiese, conventi e santuari, ambiente vergine coltivi antropizzati da esporre all’ammirazione e conseguente fruizione del mercato turistico, attingendo all’enorme bacino della vicina Paestum attraverso vie attrezzate di penetrazione dal mare verso l’interno. Mi covavo dentro queste emozioni nel mio viaggio di ritorno da Aquara a Roma. E l’emozione fece ressa alle porte del cuore e della mente, si materializzò in parole e nacque la poesia, che per amicizia e stima. Dedico all’amico di una vita, Tonino Marino, gran mentore della serata.
Nella sera che annotta nella valle
la lontra a fuoriuscita dalla tana
perlustra cauta l’ansa del Calore.
Vi si specchia la luna dal Cervati
a gara di chiarore con la neve.
Aquara vive a grappoli di luci
lucciole d’oro in volo sui coltivi:
ulivi e vigne a scivolo di fiume.
San Lucido protegge e benedice
Federico furente alla vendetta
della congiura orgoglio di baroni
crepita fuoco a merli di castello.
E Fieramosca, a gloria di eroismo,
qui resse feudo a guida illuminata.
E con la brezza alita la storia.