di Giuseppe Liuccio È un contenitore di storia tra mare, fiume e campagne. La sua storia è anche nel nome: Casalvelino domina, dalla collina, la pianura, il fiume e il mare di Velia, di cui è contraltare luminoso con i suoi casali, che dalla costa si arrampicano, tra generosi coltivi di vigneti e di uliveti, su su, quasi a lambire il Monte Stella. E se la Marina indigna, spesso, per gli stravolgimenti di speculazione edilizia selvaggia, il capoluogo non è privo di grazia nel nitore dei nuovi insediamenti tra campagne assolate e nell’integrità compatta dei rioni più antichi del centro storico. E, se il Bivio dei Quatrro Ponti cresce a dismisura con il suo carico spesso disordinato di case e di esercizi commerciali, Acquavella ti accoglie nei silenzi assorti con il sottofondo della brezza che sbriglia gli uliveti. E Chiesa e Torre e Palazzo Baronale e ruderi di Torricelle ti narrano di un “frurion” velino, di strade di penetrazione a fruttuosi commerci verso l’interno e, via via, di signorotti prepotenti, che elessero arroganza e soprusi a sistema di vita, e di popolo ribelle che lavò nella vendetta rivoluzionaria l’onore del riscatto. Ma basta inerpicarsi per la montagna alla scalata dello Stella che si stempera l’orrore delle storie truci e l’eco ti rimanda canti devozionali a scansione di pellegrinaggi o avventurarsi nella gimcana del nastro d’asfalto verso Pioppi per sperdersi nell’accecante conflagrazione di cielo e mare con la risacca che racconta alle falesie le dolci avventure dei miti. Ma, forse, il meglio del territorio è da ricercarsi nel fiume, nastro di storia liquida, che plana a mare, dove, un tempo, pulsarono di vita e di commerci i “porti velini”. Si tratta dell’Alento, da cui il Cilento trae il proprio toponimo. E proprio alla confluenza del torrente/affluente Velino con il fiume sacro ai miti ed alla storia ci imbattiamo in un piccolo gioiello di arte e di testimonianza preziosa di storia religiosa e civile. Si tratta di San Matteo “ad duo flumina”, sconosciuta ai più, soprattutto ai Salernitani che venerano l’Apostolo come Santo Patrono. Da qui bisogna prendere le mosse per seguire il viaggio avventuroso delle spoglie del Santo fino alla sistemazione definitiva nell’attuale splendida cattedrale che Roberto il Guiscardo fece edificare in Suo onore. Nella Piana di Casalvelino viveva una santa donna di nome Pelagia, madre del monaco Atanasio. L’apostolo le venne in sogno e le rivelò il luogo del suo sepolcro. Pelagia ne parlò con il figlio monaco, che non le credette e, solo dopo lunghe e reiterate insistenze, si decise a scavare nel luogo indicato dalla madre. Sorpreso ed esaltato dal ritrovamento avvolse il corpo in un sudario e lo depose nel vicino cenobio, dove aveva la sua cella di monaco basiliano, preoccupandosi di tenere segreta la notizia ai confratelli. Non doveva essere proprio uno stinco di santo il monaco Atanasio, più attaccato a ricchezze e beni terreni che a conquista di eternità di paradiso, se maturò l’idea di partire per l’oriente e collocare sui mercati di terre lontane le venerate spoglie del Santo lungo le rotte dell’allora fiorenti traffici di reliquie sacre. La madre provò a dissuaderlo senza esito. E per ben due volte il monaco con malcelata voglia di simonia tentò di salpare dal minuscolo porto di Casalicchio (questo il nome antico di Casalvelino), ma per due volte i marosi furibondi del mare in tempesta lo risospinsero a riva. Atanasio lesse nella furia della tempesta l’avversione divina al suo progetto e, pentito, si dedicò alla costruzione di un monumento funebre che conservasse il corpo del Santo all’interno di una minuscola chiesa, quella attuale di San Matteo “a duo flumina”. L’evento è riportato da testi storici dell’epoca: il “Chronicum Salernitanum” e la “Traslatio Sancti Matthei apostoli ed evangelistae“. All’interno della chiesetta velina una lapide rievoca la devota storia, che dimostra come il Santo elesse la terra salernitana a sede del Suo culto. Ma ci vorranno anni prima che il Corpo del Santo trovi la sua definitiva sistemazione nel Duomo attuale. E quanto ci riserviamo di narrare seguendo il viaggio dell’Apostolo dal Cilento a Salerno. Ma prima di chiudere questa prima tappa vorrei fare una notazione ed una proposta: La notazione: le spoglie del Santo dovettero essere trasferite nel Cilento nel periodo della persecuzione iconoclasta, quando i monaci basiliani si rifugiarono nell’Italia Meridionale e vi trovarono rifugio sicuro e vi fondarono laure e cenobi e dedicarono la loro missione alla evangelizzazione delle anime, ma anche al recupero delle terre incolte insegnando ai contadini nuove colture, l’arte degli innesti, la regimentazione delle acque torrentizie, l’arte di pestare salute dalle erbe officinali nelle farmacopee. Non a caso il primo custode del corpo del Santo era un monaco basiliano; e non a caso nel Cilento, lungo la costa e nelle zone interne, ci sono testimonianze di laure, cenobi ed abbazie di inequivocabile impronta basiliana. La proposta: recuperare questa straordinaria pagina di storia si può e si deve. Lo faranno, spero, i ricercatori medievisti. Ma lo possono fare anche i miei bravi colleghi di Telediocesi con una serie di puntate a recupero della Storia del Santo Protettore, ma anche ad esaltazione di testimonianze straordinarie di siti, religiosi e non, di grande prestigio storico/artistico, sulle orme dei monaci. Il Cilento ne è pieno. L’iniziativa va caldeggiata dai comuni cilentani, Casalvelino, Rutino e Capaccio, che hanno avuto il privilegio di conservare nei rispettivi territori le sacre spoglie dell’evangelista ed apostolo, oggi venerato protettore di Salerno e provincia. Parlo del progetto con l’amica avvocato Silvia Pisapia sindaca di Casalvelino, intelligente, colta, motivata e fattiva e che, luminosa di grazia e di sorriso, fa suo il progetto. La cosa mi carica di entusiasmo e guardo con fiducia al futuro della mia terra.
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