Parco Nazionale, Ricerca Scientifica e Gestione del Territorio
Facciamo un po’ di chiarezza
Intervista al prof. Domenico Fulgione
di Oreste Mottola
L’area protetta più estesa d’Italia, considerando anche le due aree marine, una diversità biologica da fare impallidire i grandi Parchi d’Europa, così si presenta in breve il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni.
Un ente territoriale estremamente complesso in cui oltre 40 dipendenti tra architetti, biologi, giuristi ed economisti, con un consiglio direttivo che rappresenta il territorio, le associazioni ambientali, il Ministero e le comunità locali, con al timone l’entusiasta e infaticabile Tommaso Pellegrino e l’arguto Romano Gregorio (presidente e direttore rispettivamente).
Il parco è implicato e impegnato in tantissime questioni che riguardano il nostro territorio, l’agricoltura, il turismo, i beni culturali, lo sviluppo economico e la tutela della biodiversità. Per raggiungere gli obiettivi si avvale di consulenze e collaborazioni con professionisti ed altri enti pubblici come le università e i centri di ricerca. Un rapporto a volte poco conosciuto e di cui se ne sottovaluta il valore e la necessità. Oggi ne parliamo con uno dei principali interlocutori che rappresenta il modo scientifico di supporto all’Ente Parco, il prof. Domenico Fulgione del Dipartimento di Biologia della Federico II di Napoli.
Professore io sono subito provocatorio, perché il Cilento deve rivolgersi ad una consulenza dell’Univeristà Federico II di Napoli, per cinghiali, lupi e lontre? Molti osservatori fanno notare che esiste un prestigioso ateneo anche a Salerno.
Semplicemente perché all’Università di Salerno, concordo sul prestigio che le è stato associato, non mi sembrano ci siano professori di zoologia. Tantomeno a Benevento e Caserta. Ma non ne farei una questione territoriale, visto che le competenze, per affrontare determinate problematiche, debbano essere intercettate su un panorama internazionale, farne una questione Salerno Napoli mi sembra riduttiva.
Quindi lei rappresenta lo zoologo più a portata di mano?
Io spero anche competente, inoltre la mia esperienza di gestione faunistica e territoriale mi permettono di affrontare le tematiche del territorio cilentano in un contesto di sistema naturale.
Il parco spende molto per queste consulenze?
Non lo so quanto spende il parco per consulenze esterne, dato che non sono un suo consulente.
Ma scusi, lei non è consulente per il parco sull’emergenza cinghiale, sulla gestione del lupo, sulla lontra, sulla lepre italica e chi più ne ha più ne metta?
No. Il Dipartimento per cui lavoro ha stipulato delle convenzioni di collaborazione su diversi argomenti riguardanti la fauna selvatica e la gestione. Tutte tematiche affrontate in cofinanziamento per perseguire un obiettivo di interesse per entrambi gli enti. Io ne sono il responsabile scientifico per conto dell’Università e percepisco un regolare stipendio da parte del mio ateneo, che è indipendente da queste convenzioni. I risultati dei miei studi sono utili al Parco per indirizzare le questioni gestionali e all’Università per accrescere la conoscenza su argomenti specifici, per questo esiste una collaborazione cofinanziata.
Quindi i vostri studi indirizzano le gestione, le sembra siano effettivamente serviti a qualcosa?
Si. Al parco non sono degli sprovveduti, sanno come e cosa prendere di quello che noi riusciamo a capire su come funzionano i sistemi naturali che loro gestiscono, delle criticità e delle emergenze
Come l’emergenza cinghiali?
Non è l’unica emergenza di un territorio così complesso, ci metta anche l’emergenza cani vaganti, e quella delle specie aliene terrestri e fluviali
Si vede la luce per uscire dal tunnel cinghiali?
Guardi, sull’emergenza cinghiali ci sarebbe veramente tanto da dire e qui non è possibile. Ma pochi importanti concetti devono essere fissati. Il Parco è l’unico ente territoriale in Campania che ha affrontato il problema da oltre dieci anni con consistenti e diversificate risorse, e sempre facendo riferimento ad informazioni di esperti faunisti, non improvvisati dell’ultim’ora che pensano di gestire la fauna selvatica come si fa con un gregge di pecore. In molte aree del parco i cinghiali stanno diminuendo e la tendenza ci dice che gli strumenti messi in atto funzionano.
Ma ancora ci sono danni da fauna.
E sempre ci saranno. Stiamo parlando di un’area naturale protetta, se l’obiettivo è quello di liberarci degli animali che ci infastidiscono probabilmente non ci siamo capiti all’origine. Gli animali qui sono il valore aggiunto. Quelli che fanno fagioli, patate o ceci lo sanno bene, lo sanno e lo sfruttano con prezzi sul mercato proporzionati alla qualità dei prodotti che vengono coltivati laddove vive il lupo, il cinghiale, la lepre italica, il tasso, la lontra e così via. Non possono poi, piangere perché gli animali distruggono i filari.
Ma lei cosa farebbe difronte al raccolto distrutto dai cinghiali?
Io ho il massimo rispetto per i contadini o gli allevatori di bestiame che subiscono danni, questi devono essere assistiti dalle politiche del parco, indennizzati, ma allo stesso tempo so bene che se io piccolo imprenditore, decido di coltivare le patate in montagna devo prevedere l’eventualità che il cinghiale possa grufolarci dentro, quella è casa sua! E le patate coltivate lì, sono più buone proprio perchè sono più a rischio. Il costo di questi inconvenienti, mi sembrano sia compresi nel prezzo di questi prodotti, le che ne pensa?
Quindi lei dice che il Parco non è responsabile di questi incidenti?
Se lei pensa che proteggere la fauna rappresenti un’azione delinquenziale beh, si allora il Parco è responsabile. Non scherziamo, il Parco ha solo fatto e sta facendo sforzi notevoli per rendere possibile questa convivenza, e glielo dice uno che non lavora al parco.
E la fauna immessa?
Il parco ha immesso il capriolo, il cervo e se ricordo bene la coturnice. Le favolette su cinghiali e lupi lasciamoli alla fantasia degli ignoranti. L’amarezza è che la convinzione che il parco lanci branchi di lupi sul territorio è tale che qualcuno ha addirittura visto la camionetta che svolgeva queste operazioni, qualcun altro mi ha anche detto con precisione quanti lupi sono stati immessi. Roba da non crederci, io sono sconvolto da tanta fantasia.
Per chiudere, lei ha detto che collabora con il parco allo studio di diverse specie di fauna selvatica, ma oltre il lupo e il cinghiale, perché investire nello studio di lontre, lepri e caprioli, con tutti i problemi, e la necessità di risorse che ci sono?
Ci sono almeno due motivazioni, una di ordine pratico e una di politica intelligente.
Primo, le risorse che il parco investe in queste ricerche derivano da una serie di azioni generate dal Ministero dell’Ambiente su diversi temi di studio, tra cui la lepre il capriolo, la lontra etc., trasferendo risorse all’ente parco assolutamente indirizzate in questo senso, cioè il parco non può che usarle per lontra lepre & co, altrimenti deve restituirle. Ma indipendentemente da questo pragmatismo da ragionieri, la motivazione per cui il Parco è interessato a studiare queste specie sta nella essenza dell’area protetta stessa. Solo conoscendo come funzionano i sistemi naturali, in tutte le loro componenti, sarà possibile attuare delle gestioni utili alla conservazione allo sfruttamento compatibile. Chi non conosce il sistema naturale, che è designato a gestire, ha solo un modo per farlo, vietare! Chi vieta tutto, non sa cosa sta gestendo, ne abbiamo in Italia di casi del genere, aree protette bomboniera in cui non è possibile fare nulla, in cui è interdetto anche il semplice godimento di queste bellezze. I parchi devono essere proprietà dei cittadini, gestiti con intelligenza e goduti, fruiti entro il limiti del danno ambientale. Noi, studiamo per definire questi limiti.