Conosci il signor Palomar? Potresti. Lo avrai scorto in biblioteca oppure la tua prof lo avrà nominato in una lezione su Italo Calvino. È un romanzo pubblicato nel 1983. Ma l’anno non ci importa. Importa invece che sia un personaggio strambo, desideroso di esplorare, leggere, conoscere il mondo. Così si reca in spiaggia. Eh sì, riusciamo a capire che trascorre le vacanze al mare. Nella sua smania vorrebbe conoscere il moto di una singola onda. La vede avvicinarsi da lontano, raggiungerlo, rifluire. Così, dopo vani tentativi, crea un’immagine nella sua mente. Guai se quella immagine, minuziosamente costruita, si disperde. Solo tenendo ben presente il moto di una singola onda, potrà finalmente conoscere il moto dell’intero universo.
Ed è quello che succede nella testa di tutti noi. Tentiamo vanamente di dare senso all’esistenza, studiarla, sperimentarla, fino a metterci in cammino. Per poi renderci conto di stare sempre cercando. Il periodo appena trascorso ci ha paralizzati, angosciati, aumentando il fiume degli interrogativi. Il tempo che scorre via; l’angoscia del domani; un futuro incerto; l’arrivo inatteso della morte; la paura della solitudine; l’ansia del contagio. L’estraneo si è impossessato, prima ancora del pianeta, delle nostre vite. Sbattendoci in faccia che la normalità a cui eravamo abituati era un castello di sabbia. Alcuni di noi si sono scoperti responsabili, ligi alle regole; altri hanno continuato a voler vivere nell’incuria e nell’inciviltà. Alcuni si sono scoperti fragili e vulnerabili; altri forti e armati di benevolenza. C’è stato chi si è scoperto coraggioso, imbattendosi in un nuovo progetto; chi ha lanciato nuove sfide. Chi si è posto alla finestra, attendendo una nuova alba, fatta di sole e mare. Chi si è ripromesso che avrebbe corso in spiaggia, sarebbe volato leggero, avrebbe dato un nuovo senso alla sua vita.
Giunta l’estate siamo tutti desiderosi di lasciarci alle spalle un periodo buio – che, ahimè, non finirà così presto. D’altronde estate è sinonimo di vacanza e vacanza indica una cessione temporanea, una pausa dagli obblighi. ‘Vacanza’ dal latino significa vuoto, condizione di essere o di rimanere vacante. Perché, dunque, non impiegare la nostra pausa dagli impegni riempiendoci?
Lasciamoci scompigliare i capelli dal vento, trasportarci dalle onde. Lasciamoci travolgere dal sale, scottarci dal sole. Usiamo la forza delle nostre braccia per una nuotata a largo. Abbandoniamo il cellulare e fissiamo quel tramonto che sa di agosto. Accasciamoci su quell’isola che non c’è. Ma che è la nostra isola ed è perciò perfetta per noi. Però facciamo tutto questo riempiendo il nostro serbatoio.
Riempiamoci di sogno, bellezza, autenticità. Facciamolo in una nuotata serale, proprio come Palomar: «Il riflesso sul mare si forma quando il sole s’abbassa: dall’orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta di tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l’azzurro opaco del mare incupisce la sua rete. Le barche bianche controluce si fanno nere, perdono consistenza ed estensione, come consumate da quella picchiettatura risplendente. È l’ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra nell’acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell’acqua che dall’orizzonte s’allunga fino a lui».
Palomar potrebbe essere una telecamera. O meglio una versione miniaturizzata dello specchio del telescopio del monte Palomar, di cui porta il nome. Proprio come una cinepresa, i suoi occhi si cibano di cose, oggetti, persone, sensazioni che vivono con noi. Perciò, osserva, analizza, interiorizza i fatti minimi della vita quotidiana. Si mette nella condizione di studiare, ma anche di apprendere da un mondo frenetico, in continua trasformazione, afflitto dai demoni dell’inquietudine odierna.
Durante la nostra nuotata – in un lento e torrido pomeriggio d’agosto – facciamoci scopritori. E se il mondo continua ad apparire ‘tutto stridori’, nuotiamo più forte.