Immagino che la parola più usata per festeggiare i primi due lustri del vescovo in diocesi sia “auguri”, auspici di bene reiterati e moltiplicati per superare gli usuali confini della retorica del momento. Riflettere sulla funzione che un presule è chiamato a svolgere aiuta a considerare la rilevanza della sua presenza nella chiesa locale. E’ certamente un ruolo difficile. Infatti richiede spiccate qualità, le stesse che la CEC ha sollecitato ai presbiteri in una recente lettera. Nel documento si consiglia con “prudenza coraggio creativo”. Cioè si invita praticare la scienza che impegna ad analizzare il da farsi con accorta e matura saggezza. E’ una sollecitazione ad essere assennati, praticare la prudenza come la intende Tommaso d’Aquino, il quale rimanda a considerazioni dello Stagirita. Essa è «retta norma dell’azione», che non va confusa con la timidezza o la paura perché presuppone il coraggio, cioè la capacità di avere sempre “cuore” e mantenersi sereno anche di fronte ai pericoli.
Una sintesi della figura del Vescovo nel terzo millennio l’ha tracciata padre Baruffo nella Prolusione per l’inaugurazione dell’A.A. 2001/2002 della facoltà teologica a Napoli. La richiamo perché nota a chi si è formato in ambiente partenopeo e, quindi, probabilmente ne condivide le argomentazioni. Il conferenziere cita i risultati del sinodo convocato da Giovanni Paolo II sul tema “il vescovo servitore del vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”. E’ l’analisi della missione del presule all’interno della Chiesa, fedele al vangelo e pronto ad interrogarsi su dove è diretta l’umanità per continuare ad offrire “il sale della terra e la luce del mondo” (Mt 5, 13-14).
La Chiesa si è sempre posta l’interrogativo: chi è il vescovo? Certamente non un funzionario di una istituzione umana. E’ il collaboratore del progetto di Dio sugli uomini, segno e strumento dell’amore misericordioso di Cristo operante nella storia. Per questo motivo è messo a capo di una Chiesa particolare, pronto ad offrirle i mezzi della salvezza. Egli presiede, quindi, una comunità mistica, ma visibile, impegnata a partecipare la comunione invisibile con Dio. Come sintetizza Agostino, egli ha la coscienza di essere cristiano con noi e vescovo per noi perché non esiste un presule senza fedeli né fedeli senza il vescovo, il quale guida con cuore paterno. Maestro autentico in materia di fede, egli riconosce la consonanza della dottrina perché la grazia sacramentale ricevuta lo fa partecipe della successione apostolica, quindi custode del depositum fidei. Suo compito principale è costruire comunione ponendo al vertice l’Eucaristia. Il vescovo presiede e i presbiteri gli fanno corona in sinergia comunionale, pronti a riconoscere in lui, come i primi fedeli negli apostoli, l’autorevole amico. Paolo VI ne sintetizza la funzione ricordando che il vescovo è padre, maestro, educatore, consolatore, amico, consigliere, cioè il Pastore che esercita una triplice insostituibile missione, quella di insegnare, santificare, governare.
Vescovo, memoria di Cristo Capo e Pastore, ha il munus di insegnare perché doctor veritatis. Durante l’ordinazione episcopale simbolicamente viene aperto sul suo capo l’evangelario a significare che è sottomesso alla Parola. Servo della verità ed educatore della fede per questo studia, si prepara, annuncia, scrive per esaltare sempre Cristo e richiamare l’attenzione della comunità. Chiesa particolare, vescovo ed eucaristia sono realtà intimamente unite. Nell’Eucaristia l’ufficio di insegnare raggiunge il culmine come testimonianza del cibo di vita eterna. Ne deriva il munus di santificare perché la Sinassi eucaristica rende reale la presenza di Cristo Redentore dell’uomo.
Il vescovo diventa costruttore di speranza se è capace di governare la Chiesa particolare con lo sguardo rivolto alla Chiesa universale e al mondo intero. Immagine del buon Pastore, egli guida verso un futuro più degno dell’uomo, conforme alla carità evangelica. Perciò s’interessa della vita degli altri e dei loro problemi. Profeta di giustizia, difende poveri ed emarginati, pronto a testimoniare che Cristo è la nostra speranza e la sua risurrezione rende roseo e diverso il futuro dell’umanità.
Centro dell’unione di tutti nella chiesa locale, il vescovo esercita il ministero a favore di tutti, in modo speciale si mostra unito al presbiterio, ricordando che i sacerdoti sono dei cooperatori da trattare come figli e amici, non a caso Cristo chiama i suoi discepoli non servi ma amici. Da questa predisposizione, fatta di gesti concreti e non di formali strette di mano, deriva la solidità delle reciproche relazioni che sollecitano paternità spirituale, fraternità, amicizia, collaborazione, consiglio, comunione affettiva ed effettiva capace di intonare un coro concorde nell’unanimità, come auspica sant’Ignazio di Antiochia, per il quale timbro e cadenza sono sempre dati da Dio. L’azione di un presbiterio così organizzato e funzionante diventa modello di pace, giustizia ed amore ai quali aspira la porzione di umanità che forma la diocesi di Vallo.
La chiesa presenta il ministero episcopale segnato dallo stigma sacramentale proprio per mostrare a tutti la rilevanza della funzione. Essa non si assolve praticando un episcopato monarchico, ma interpretando il ruolo cercando di mantenere un dinamico equilibrio nel coniugare la profezia nel mentre si percorre il pellegrinaggio nella storia degli uomini. E’ questa la funzione più difficile della chiesa: essere profezia della misericordia di Dio in un contesto statico, condizionato dalle specificità spazio-temporali che ne insidiano la freschezza e la attualità. Quella dei vescovi è una missione bella, necessaria e difficile, manifestazione della evangelica lucerna sopra il moggio. Ecco perché, nel riflettere sul carisma episcopale, coralmente si dovrebbe in modo stentoreo proclamare un deciso ed inequivocabile “utinam”. L’interazione esprime la speranza di una comunità, il desiderio di una chiesa locale, l’augurio di uno presbiterio per evitare di far trasparire anche solo l’ombra di un’accezione semantica capace di richiamare un popolaresco “magari” in forma ottativa. Si auspica perciò nel vescovo una personalità coraggiosa ma non temeraria, convinta che ci attende un futuro di bene per cui sfida ogni tentazione di paura. Il pellegrinaggio sereno verso il Regno invita ad un percorso luminoso, ad una esperienza di gioia che richiede una sollecita risposta per vivere i prossimi lustri con cor//aggio, quello che ha contraddistinto l’azione del Buon Pastore. Quidi: Utinam optima!
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