È in atto a Parigi, al Gran Palais, una bella ed interessante mostra dal titolo “JARDINS”. A giudicare dalle recensioni e dall’afflusso notevole dei visitatori, è stata accolta con un grande consenso di pubblico e di critica. Durerà fino al prossimo 24 luglio. Si tratta di una esposizione luminosa e insieme delicata, raffinata e popolare, intelligente e curiosa, in una parola: originalissima. Riscatta ed esalta il protagonismo di piante e fiori, quasi a voler celebrare quelle che il filosofo Emanuele Coccia chiama “l’ornamento cosmico, l’accidente inessenziale e colorato che domina ai margini del campo cognitivo”. Dopo un lungo periodo di disinteresse o di conoscenza (?) superficiale e scontata, piante e fiori si stanno prendendo la loro rivincita e occupano la scena dell’interesse, come dimostra il grande pubblico che attende paziente di entrare nella mostra o fa ressa davanti ai piccoli quadri, alle fotografie, ai tableaux dove sono descritte le geometrie dei grandi giardini reali. E, siccome Parigi fa, da sempre, tendenza, in Europa e nel mondo, c’è da giurare che nell’immediato futuro si diffonderà anche in Italia l’interesse/passione/mania, che è già in atto, per lo spettacolo di bellezza che ci regala la natura, vario e ricco nella diversità e nella gradazione dei colori cangianti, ma sempre coinvolgenti di dolce e delicata seduzione, con il variare delle stagioni. Come sanno bene i tanti amici che mi seguono, io da alcuni mesi a questa parte ho dato vita ad una rubrica settimanale dal titolo LA NATURA HA UN’ANIMA, che la giovane ma brava, sensibile e professionale collega Veronica Gatta cura nell’impaginazione grafica ed iconografica tutte le domeniche su questo giornale. I lettori sempre più numerosi dimostrano che ho anticipato e dato voce ad una esigenza diffusa, anche se ancora latente nella mia terra. Forse tra i miei lettori sono pochi, o mancano del tutto gli amministratori, degli enti territoriali, a cominciare da quelli del Parco Nazionale del Parco del Cilento, del Vallo del Diano e degli Alburni, a cui pure è affidata, per compito istituzionale, conoscenza, tutela, e promozione dei Beni Ambientali, ma io non demordo; vado avanti per la mia strada e mi sforzo di fare, con determinata umiltà, il mio dovere di amore e di cultura nell’interesse del territorio dove sono nato ed a cui sono legato. I risultati verranno (ne sono sicuro), a prescindere dalla pigrizia mentale, dal disinteresse e dalla supponente autosufficienza di chi amministra il territorio. Io continuerò a scrivere di piante ed erbe, quelle che è impossibile ignorare, perché la natura ne celebra il trionfo nello scialo della fioritura e della lussureggiante vegetazione, prima, e nella ricca pastosità dei frutti, poi. Ma all’uscita di questa mostra, si comincia a guardare le piante in modo diverso, naturalmente non solo quelle dei giardini di città ben curati e di campagne coltivate con pazienza e sapienza, ma anche quelle che, a Parigi come in altre città spuntano vicino ai marciapiedi, sui muri o lungo le rive dei corsi d’acqua. Si tratta delle “erbe vagabonde”, di cui Gilles Clement ha scritto un interessante saggio, dal titolo tanto originale quanto intrigante “ELOGIO DELLE VAGABONDE (Derive Approdi edizioni), ovvero erbe, arbusti, fiori che crescono negli spazi abbandonati dagli uomini, sui bordi delle strade, vicino ai muri, tra le pietre sconnesse dei monumenti. Il famoso botanico francese le chiama “piante ruderali”. Noi che conosciamo ed amiamo Velia e Paestum, sappiamo bene di che parla perché abbiamo conoscenza delle incisioni del Piranesi che ritraggono ciuffi di valeriana e capperi nelle aree archeologiche di Roma, Ostia, Paestum e Velia. Le piante dimostrano, giorno dopo giorno, una capacità di muoversi, perché volano sulle ali del vento e degli uccelli. Le piante per loro natura non sono stanziali ma nomadi. E somigliano molto a noi umani, come scrive Marco Belpoliti nella puntuale recensione alla Mostra. Infatti anche “noi uomini inquieti attraversiamo mari e sorvoliamo continenti alla ricerca di un posto migliore, dove vivere, di altri paradisi” con buona pace di steccati e muri divisori, di segregazioni e di orti conclusi, che sono la negazione della libertà e della vita, che schegge impazzite della Politica si preoccupano di erigere contro ogni logica ed ogni legge di natura.
La mostra di Parigi mi ha preso la mano e mi ha impedito di trattare degli alberi del nostro territorio che avevo in animo di proporre all’attenzione/riflessione dei miei amici lettori. Ne accenno rapidamente con l’impegno di ritornarci ampiamente in un prossimo articolo.
Oggi accennerò ad un albero con frutti di questa stagione: i gelsi, che, come tutti sanno, sono saporitissimi e sono di due specie: bianchi/rosati e rossi. Le loro piante sono familiari nel paesaggio rurale del nostro Cilento e non c’è casa di campagna, ma, a volte, anche giardino/orto di paese che non ne vanti una. Sono tantissime le leggende e i miti legati alla pianta del gelso ed ai suoi frutti. Il mito più noto è quello delicato e dolce ma anche drammatico nella sua evoluzione di amore e morte di Piramo e Tisbe, narrato dal poeta latino Ovidio. Avevo, poi, in animo di abbinare ad un albero di frutto anche una pianta nomade o spontanea che cresce nei fossati, agli argini di strade, di campagna ma non solo, o negli orti non coltivati: il rosmarino. Si tratta di una pianta molto resistente che può crescere fino a due metri di altezza; le foglie si usano, per lo più, per aromatizzare arrosti o altre pietanze. Ma ha anche proprietà antisettiche come per tisane antistress. Mi piace chiudere con una nota poetica: i botanici colti fanno derivare il nome del rosmarino dall’etimo “rosa maris = rosa del mare” o da quello più poetico ancora di “ros (rugiada) maris = rugiada del mare”, alludendo allo spruzzo bianco celestino dei suoi fiori, tenuto conto che il rosmarino è una pianta tipicamente mediterranea che cresce sulle terre/rocce scoscese a margine di mare.