Dal giallo di Parma, dov’è nata (chi non ricorda le descrizioni di un Alberto Bevilacqua al massimo della sua forma di scrittore?), al verde dei campi della Piana del Sele, dal rosato dei templi pestati al nero del bufalo. In questo mutare di colori c’è la vita di Cecilia Bellelli Baratta, da più di undici anni al vertice del Consorzio di Bonifica di Paestum. A novembre i 7 mila consorziati torneranno a votare e alla Baronessa tocca decidere se restare in pista, ovvero ricandidarsi per un altro mandato. La nobildonna è volitiva, è, insieme, una fredda ragionatrice ed ha una calda anima… meridionale. Quest’ultima dote la sviluppa quando si tratta di rimettere in riga alcuni recalcitranti sindaci, che mal sopportano gli altri poteri sul loro stesso territorio; e i molti contestatori. Sono quelli che storcono la bocca, spesso quasi a prescindere. Nonostante sia nata a Parma, “Solo per sfuggire ai rigori dell’ultima guerra”, esponente di una nota dinasty imprenditoriale, le atmosfere di quella terra ha voluto ricrearle intorno a sé. L’agriturismo Seliano, “Uno dei primi d’Italia”, sottolinea piccata, è la sua reggia, e lei vi sovrintende a mo’ di Maria Luigia, con i cavalli razza Persano, tanta l’eleganza e la cultura che vi aleggia. E soprattutto il gusto di parlare il meno possibile dei commerci dai quali il padrone trae la sua ricchezza. Gli studi? “Sono stata avviata alle lingue straniere. Si usava tra le fanciulle di buona famiglia della mia generazione. Poi mi sono servite…”. Poi il lavoro, presso l’azienda paterna, fino al 1967, a Battipaglia. Quindi il matrimonio e l’approdo nelle campagne capaccesi. Il suo nome esce fuori dagli ambiti chic grazie alla sua passione per l’ippica e per il cavallo Salernitano, quello degli olimpionici. Il figlio Ettore è il vicepresidente nazionale degli allevatori bufalini. Dalla parte di Cecilia Bellelli Baratta, come anche di Vito Busillo, c’è un fatto, una di quelle cosa che è possibile toccare con mano: la guerra dell’acqua per i campi nella Piana del Sele non ha raggiunto l’acme delle altre regioni meridionali. Anzi, non si è proprio accesa. “Abbiamo avuto a disposizione, alla diga sul Sele, la metà dei 14 metri cubi il secondo che ci spettavano, insieme col nostro omologo che agisce dall’altra parte del fiume. L’acqua l’abbuiamo risparmiata razionalizzando, intubando, e mettendo in pressione gran parte della rete: da Capaccio a Matinella. Appena sarà pronta la vasca d’Altavailla, anche la distribuzione idrica su quel vasto territorio, compreso Serre, sarà modernizzata.”
I NUMERI DEL CONSORZIO
Sessantuno dipendenti fissi, quindici dei quali sono impiegati, tutti gli altri sono tecnici, con venti guardiani acquaioli assunti durante la stagione irrigua: “A loro è affidata la mansione più delicata: il controllo della distribuzione dell’acqua nei campi degli agricoltori”. Sono proprio gli agricoltori a farsi carico del 70% delle spese dell’ente. Il restante 30% arriva dalla Regione, per la manutenzione, e l’esercizio delle opere di bonifica ed irrigue. La Regione, nell’ultimo quinquennio, si fa carico dell’80% delle spese energetiche, in altre parole della bolletta Enel. “Dal 1999 ad oggi abbiamo triplicato la spesa per l’energia elettrica. Ci costa più di due miliardi di vecchie lire l’anno. Per questo abbiamo fatto il progetto per dotarci di una nostra centrale fotovoltaica. E’ un investimento assolutamente necessario, altrimenti ci sveniamo…”
UN’ASSOCIAZIONE VOLONTARIA DI AGRICOLTORI
E quasi una questione di Dna: “Il Consorzio di bonifica nasce come Ente privato. Un’associazione volontaria d’agricoltori che si sono messi insieme, ancora prima che li obbligasse la legge 215/1936, l’unica legge quadro italiana in materia di bonifica. Mettendo mano al loro portafoglio. Oggi è anche un ente pubblico economico. C’è stata perfino un’ipoteca sui beni dei primi consorziati. Noi, poi, per la legge, dovremmo intervenire solo sui canali artificiali utilizzati per la Bonifica”. Nei canali si scarica tanta acqua lurida. In almeno quindici casi è scattata la denuncia alla Procura della Repubblica.
LA QUESTIONE DEL FIUME SELE
“Abusi e sciatterie continuano a restare impuniti e a verificarsi lungo il corso del Sele. Con un’accelerazione pericolosa negli ultimi tempi. Così assistiamo impotenti perfino allo spianamento degli argini. Chi deve vigilare, e dire tutti i no del caso, sceglie di mettere a repentaglio la sicurezza di tutti, spesso solo per incassare pochi eruro”. La denuncia arriva, coraggiosa e senza inutili diplomazie, proprio da Cecilia Bellelli Baratta. Nella memoria di tutti c’è ancora quanto accadde alla fine del 1993, quando il Sele dilagò nella parte finale del suo corso. Sott’acqua andarono le fertili terre di Gromola, Ponte Barizzo: sono località dove si concentrano le più importanti produzioni agricole ed attrezzature turistiche capaccesi. I danni alle cose furono enormi. I mezzi anfibi dell’esercito dovettero trarre in soccorso molta gente. Le potenti pompe idrovore del consorzio di bonifica lavorarono al massimo per riportare tutti all’asciutto. Quando si è rotto l’argine naturale sul fiume Sele è stato sempre il Consorzio di Bonifica ad intervenire. “Per forza: siamo l’unico ente operativo del territorio. Poi ci costringono a battagliare per riavere i soldi per avere” racconta la Baratta “messo i massi a protezione di case e terreni”. La situazione di oggi non è affatto migliorata, tutt’altro. “Noi cerchiamo di contenere la pressione delle attività umane sul fiume. Altri invece” sottolinea Cecilia Baratta “diventano sempre più di manica larga”. Siamo dove il Sele, arricchitosi anche delle acqua dell’affluente Calore, torna alla sua dimensioni di fiume che una volta aveva tanta acqua da essere perfettamente navigabile. Vent’anni fa si eressero degli argini. Li volle l’allora Genio Civile, per difendere dalle esondazioni case e terreni. “Si è cominciato con le concessioni per fare i tagli al bosco lungo il fiume. Ci sarebbe già molto da discutere.” ribadisce la Baratta “Visto che le radici degli alberi trattengono il terreno. Invece l’argine, che è assai fastidioso, per chi si muove con i mezzi meccanici, in più di un punto è completamente spianato. Il pericolo è evidente. Nelle piene, al fiume basta rompere in un punto ed è la fine. Altri agricoltori lavorano poi fino sotto all’argine, lo indeboliscono”. La situazione è compromessa. “Lungo il corso finale del Sele le difese” denuncia la Baratta “sono ormai eliminate. Dell’opera di arginatura ora non resta niente di davvero efficiente”. Poi ci sono i casi limite: “Un allevatore di bufale faceva pascolare i suoi animali (infestati dalla brucellosi) direttamente sul fiume. E la malattia si spandeva per ogni dove! Abbiamo dovuto investire il Prefetto della questione.” Anche le norme di salvaguardia scattate a seguito della riserva naturale Foce Sele – Tanagro sono ancora lettera morta. La Comunità Montana elargisce troppi svincoli idrogeologici. “Lo Stato preferisce fare cassa.” racconta la presidente Baratta “Con i pochi euro delle concessioni sul demanio. Si autorizzano anche i bilancini per la pesca sul fiume. Continuando così, a farci del male, s’inguaia l’economia di un intero territorio.”
LA DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA POTABILE
“Noi diamo” ribadisce la Baratta “quella che riusciamo a dare con i nostri sebatoi. C’è una questione di pendenze altimetriche. I nostri impianti di distribuzione, poi, nascono come acquedotti rurali. Abbiamo quindici dipendenti che si occupano del settore. Le utenze superano le dodicimila famiglie servite. Tutto il comparto turistico pestano è servito dalla nostra acqua. Si va dal bivio delle Mattine di Agropoli fino a Cerrocupo di Altavilla. E i nostri prezzi sono molto economici. Noi chiediamo 550 lire al metro cubo, altrove si parte da 700 fino a superare le 1000 lire.”
La SOLIDARIETA’. LE ZONE COLLINARI.
“In pianura si paga per ettaro ‘dominato’, vale a dire potenzialmente irrigabile, in collina si paga solo per i terreni che effettivamente sono irrigati. Il 65% del nostro bilancio è pagato dai consorziati di Capaccio. Ai sindaci delle zone alte io chiedo di non alimentare quello stato continuo di astio per tributi per cifre risibili. L’opinione pubblica deve sapere che due anni fa, dinnanzi all’assessore provinciale all’agricoltura Di Vece, abbiamo accettato l’eliminazione del tributo per le zone collinari, già dal 2001. Però vogliamo l’eliminazione dei contenziosi accesi. Quest’ultima circostanza non si è ancora verificata. Diteci voi ora cosa dobbiamo fare!”
I COMPITI D’ISTITUTO
“Noi abbiamo il dovere d’intervenire solo sui corsi d’acqua artificiali. Sono quelli creati per la Bonifica, ciò che portano a mare le acque eccedenti, sia meteoriche che di falda, e poi quelli che portano l’acqua per irrigare. Quelli naturali (fiumi e torrenti) sono di competenza della Regione. Il Tribunale delle acque comincia a rendersene conto”. E per gli inquinamenti? “Noi non possiamo fare multe. Ma segnaliamo quanto viene a nostra conoscenza all’amministrazione provinciale. Ogni anno interveniamo su decine di casi. Poi sarà la Provincia ad adottare i provvedimenti sanzionatori conseguenti o a girare il tutto alla Procura della Repubblica.”
LA’ DOVE UNA VOLTA C’ERA LA CANALETTA
Che fine fanno le superfici una volta occupate dalle vecchie canalette? “La proprietà è dello Stato. Il proprietario dell’area vicina può rivolgersi all’amministrazione finanziaria per farsela assegnare in fitto o acquistarla.”
LA NUOVA LEGGE REGIONALE
“Una legge del 1994 della legge Galli dice che il proprietario dell’acqua è sempre lo Stato. All’art. 27 si aggiunge (magari un’industria) che sa qualcuno scarica nei canali della Bonifica noi gli possiamo chiedere un risarcimento. Noi quell’acqua la convogliamo all’idrovora che, a sua volta, la getterà a mare. Si dovrebbe stabilire, per i comuni come Altavilla, Albanella, Serre e Giungano, dove sono scaricate le fognature… Perché se versano nei canali è giusto che paghino il dovuto. Gli agricoltori non devono pagare anche per i villeggianti!”
IL PREZZO DELL’ACQUA
“Da quasi nove anni non sono state aumentate le tariffe dell’acqua di irrigazione. Basti pensare che in Puglia pagano cinque milioni l’ettaro, mentre da noi 350.000 lire.”
LA QUESTIONE DEL MERCATO ORTOFRUTTICOLO
“Il Consorzio ha la proprietà dell’area dove sorge il mercato ortofrutticolo. La Cassa per il Mezzogiorno ha finanziato il centro di servizi che era dove c’è il comune, la chiesa, il cinema, la biblioteca, cioè tutta la piazza. Invece il Mercato Ortofrutticolo fu finanziato con il 46% a fondo perduto e il restante 54% pagato con un mutuo presso il Banco di Napoli che noi abbiamo regolarmente pagato. Noi siamo a tutti gli effetti i proprietari. Purtroppo si è instaurato questo contenzioso perché probabilmente nessuno si è mai letto le carte, di conseguenza abbiamo dovuto nominare un avvocato e siamo in causa con l’amministrazione finanziaria.”
Il Comune che parte ha in questa situazione?
“Il Comune verrà chiamato perché esso ha ritenuto di chiedere, qualche anno fa al Ministero del Tesoro, il possesso di questo bene. Addirittura aveva preparato un progetto. E noi abbiamo fatto ricorso contro questa delibera. E’ la stessa che ha scatenato una reazione, per la verità un poco inconsulta, da parte del Marcato Ortofrutticolo. Secondo loro noi li avremmo messi in condizione, bloccando questa delibera, di non avere il finanziamento. In realtà già lo avevano perso, era a fondo perduto del 75% per quasi unmiliardo di lire. Il Consorzio deve difendere le proprie proprietà.”
Che progetto avete su quell’area?
“Per il momento vogliamo riprendercelo e dopo si vedrà. C’è poi da dire che il Consorzio pur essendo privato non ha mai percepito una lira di affitto…”
Ma verrà destinata per un pubblico utilizzo?
“La nostra è un’associazione di privati ed io non vedo per quale motivo noi dovremmo pensare al totale pubblico utilizzo di un nostro bene. Noi non siamo il Comune, la Regione o lo Stato. Noi siamo un’associazione di privati che deve fare l’interesse dei suoi soci. Rivendichiamo il diritto dell’autodeterminazione dei nostri intenti.”
Cosa fare allora?
“Noi avevamo detto al Comune di comprarsi tutta la struttura, invece di creare il contenzioso.”