Ha fatto bene il neo cardinale Petrocchi ad invitare ad evitare scontri determinati dalla contrapposizione di partiti in una comunità ecclesiale che dovrebbe solo affratellare, tuttavia corre l’obbligo di precisare alcuni fatti che media orientati ideologicamente tacciono o dimenticano circa il dossier della “discordia” di mons. Viganò. Esso fa riferimento innanzitutto a fatti avvenuti durante il pontificato di Giovanni Paolo II quando, nonostante fossero noti i comportamenti di McCarrick, i progressi della sua carriera fecero esplodere la protesta interna a lobbies vaticane e statunitensi. La sua promozione fu sollecitata dal cardinale Sodano quando il papa era già molto malato e fu sostenuta da una cordata che McCarrick amalgamava nei frequenti viaggi a Roma, dove manteneva utili amicizie a tutti i livelli della Curia. Dopo qualche anno Benedetto XVI, che aveva denunciato il marciume nella Chiesa durante la via crucis al Colosseo da lui presieduta come cardinale, impose al Segretario di Stato Bertone di comunicare a McCarrick la decisione di sottoporlo ad una sorta di clausura, sanzione rimasta segreta per la nota gentilezza d’animo del pontefice, cortesia che ha consentito all’arcivescovo di disattendere il provvedimento. Viganò ne era consapevole, ma nunzio a Washington non prese posizione. Ad esempio, il 10 maggio 2013, egli partecipò ad un evento religioso e sociale insieme a McCarrick: messa solenne e cena di beneficenza all’Università Cattolica di Washington nonostante l’esplicita proibizione del Vaticano a presenziare in pubblico, disposizione sollecitata dal cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Viganò, a parole ora così ligio e severo nel denunciare, allora avrebbe dovuto vigilare, invece – forse per distrazione – non fece nulla. Oggi invece accusa ricorrendo ad uno stile che in una dichiarazione su Repubblica Melloni ha stigmatizzato per la “puntualità sordida e mafiosa”. Ricorda beghe vecchie di decenni e ravvivate dall’euforico protagonismo narcisista del monsignore, tutti problemi causati della frangia tradizionalista, che da qualche decennio è responsabile della profonda crisi nella Chiesa e ora tenta di riprendere il controllo del Vaticano.
Mons. Viganò ha gettato ulteriore benzina sul fuoco di questi contrasti. Probabilmente non pensava di determinare un putiferio; ha tentato di difendersi e su ‘La Stampa‘ ha dichiarato di temere il veleno versato per distruggere la sua credibilità, classica accusa del lupo all’agnello ritenendolo colpevole dell’inquinamento delle acque! Famiglia Cristiana ha considerato il dossier un’iniziativa da collegare alla guerra in corso tra opposte fazioni non solo per la vicenda degli abusi. La frangia conservatrice, forte negli Stati Uniti, ritiene il pontificato di Francesco una minaccia e lo accusa. Il papa affronta queste insinuazioni senza proclami pur consapevole delle spaccature esistenti in Vaticano. Il dossier di mons. Viganò si presta benissimo a radicare questo stato di cose: undici pagine di denunce amplificate dalla stampa. Egli ha scoperchiato ancor più il vaso di Pandora che negli Stati Uniti segna la resa dei conti in un episcopato plasmato ai tempi di Giovanni Paolo II e che mal si adatta ai cambiamenti proposti da Francesco, il quale sollecita una pastorale meno muscolare e più coinvolgente, invito che trova l’opposizione di personalità della vecchia guardia ancora ai vertici e con forti legami con le cordate più retrive attive a Roma. Sono fatti che confermano quando si conosceva sulla torbida azione di gruppi soggetti allo strapotere di cardinali, come il segretario di stato di Benedetto XVI, situazione che probabilmente aiuta a cogliere le vere motivazioni delle dimissioni del papa emerito dopo aver sperimentato i riflessi negativi in Vaticano dell’ultimo lustro di pontificato del malatissimo Giovanni Paolo II.
La vicenda induce a qualche piccola rispettosa osservazione: le cordate di amici sono un grosso problema per la gerarchia cattolica, aggravato dal pervadente potere della burocrazia vaticana rispetto al carisma proprio dell’episcopato. Forse è giunto il momento di tentare una revisione dei criteri di scelta dei vescovi e compensare l’attuale prevalente criterio di cooptazione coinvolgendo anche il popolo di Dio nelle forme che meglio possono esprimere un’effettiva partecipazione comunitaria, se non alla designazione, almeno all’individuazione dei probabili candidati. Per quanto riguarda la lobby gay, protagonista anche della vicenda McCarrick di cui tanto si parla, nel terzo millennio dell’era cristiana forse è opportuno avviare un serio ripensamento circa l’ammissione di “viri probati” al sacerdozio. Con i grossi problemi che pongono la società liquida, il pensiero debole e la rapidità dei mutamenti non sarebbe un rimedio peggiore del male, ma un ritorno a formule e situazioni che nella Chiesa latina sono state bloccate, con molte difficoltà e tanti buchi neri, solo negli ultimi secoli, mentre nella chiesa orientale costituiscono ancora una modalità ordinaria di reclutamento del clero.
Evidente il tentativo strumentale del dossier di mons. Viganò di attribuire responsabilità a papa Francesco, ma risulta per nulla credibile se si considera la dura presa di posizione pubblica nei confronti di McCarrick. Molti hanno ritenuto una patetica vendetta l’iniziativa del prelato, personaggio dal carattere puntuto, capace di farsi molti nemici tra i suoi collaboratori, come dimostrano non solo le controversie suscitate quando era responsabile del Governatorato vaticano, carica che gli aveva fatto intravedere come atto dovuto e meritato il cappello cardinalizio, degna conclusione del proprio cursus onorum. Invece Francesco, lo ha invitato a far ritorno in diocesi una volta raggiunti i limiti d’età, bloccando per sempre speranze che avevano consolidato nel monsignore il convincimento che tutto gli fosse dovuto, purperei galeri e, gratis, appartamenti principeschi. Che il carattere del presule comasco non sia dei più facili lo si può dedurre anche dalle dichiarazioni dall’anziano fratello, sacerdote anche lui, malato e non assistito dal monsignore, il quale per motivi d’interesse ereditari ha perturbato anche la pace familiare chiamando in giudizio la sorella!
Sarebbe stato molto meglio lavare i panni sporchi in famiglia e praticare un saggio silenzio di riparazione invece di gridare ai quatto venti richiamando l’interessata attenzione di chi è sempre pronto a insidiare la rotta della navicella di Pietro per sbalzare dal timore il successore di Pietro. Chiedere, come fa il Viganò, la testa di Bergoglio appare un’evidente “vendetta”, altrimenti non si spiega perché abbia taciuto per cinque anni sulla spiacevole e spinosa vicenda di McCarrick, contro il quale Francesco ha preso una decisione che non ha precedenti nella storia più recente della Chiesa. Infatti, dopo i primi risvolti di un formale processo canonico, lo ha depennato dalla lista dei porporati. Patetico quindi il durissimo attacco contro di lui accusandolo di abdicare “al mandato che Cristo diede a Pietro di confermare i fratelli. Anzi con la sua azione li ha divisi, li induce in errore, incoraggia i lupi nel continuare a dilaniare le pecore del gregge di Cristo”.
Anche in questa vicenda il papa conferma il saggio discernimento col quale opera. Infatti, mentre ancora imperversano le discussioni sul dossier dell’ex nunzio, in modo allusivo vi ha fatto riferimento lo scorso lunedì richiamando la prima qualità della verità: la sua silenziosa mitezza. Quando ci si imbatte in “persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione” – ha precisato il pontefice durante la messa a Santa Marta – allora l’unica strada da percorrere è quella del “silenzio” accompagnato dalla “preghiera”, imitando la dignità di Gesù, il quale col suo silenzio s’impone agli avversari nelle situazioni più difficili, un silenzio vittorioso, anche se comporta la necessità di abbracciare una croce. Certo non è facile imitarlo, ma quanta dignità c’è nel cristiano che, fidando nella forza di Dio, pratica il silenzio con le persone che cercano soltanto lo scandalo.