Domenica scorsa si è celebrata la festa di Cristo Re, istituita nel 1921 per un bisogno interiore che ancora persiste.
Si era appena usciti dalla carneficina della prima guerra mondiale e si vivevano le conseguenze di un’altra pandemia. Si volle chiedere protezione al Salvatore contro le sofferenze inflitte da assolutismi e totalitarismi, condizioni che, purtroppo, si riscontrano ancora oggi.
Ecco perché é opportuno cogliere la motivazione di questa proclamata regalità di Cristo; dovrebbe aiutare a comprendere le dinamiche del potere, le modalità di distruzione delle ricchezze, le pratiche truffaldine contro i poveri perché Gesù come re non è assiso sul trono, bensì su una croce.
Per tutto l’anno liturgico siamo stati invitati ad una ricerca personalissima di questo Re, anche se le apparenze ne rendono difficile il riconoscimento: umiltà delle origini, padre falegname, per madre una sconosciuta ragazza galilea, esilio da infante, nascondimento per trent’anni, esistenza da girovago indigente, crescente disgusto dei potenti per il regno di giustizia e di pace che proclama. Consapevole di ciò, Gesù afferma: “Il mio regno non viene da questo mondo…”. Comunque opera nel mondo e per affermarsi non pretende l’azione di sudditi ma la generosità degli amici. Chi desidera farne parte deve essere disposto alla condivisione, aiutare i più bisognosi e su queste basi sarà giudicato, prospettiva della quale non molti sono consapevoli nonostante si sia giunti al terzo millennio cristiano e si sperimenti una apocalittica minaccia per il radicarsi di una straziante confusione favorita dal convergente chiacchiericcio di tanti presunti profeti, la cui pretesa infallibilità diffonde la sensazione di essere precipitati nella venticinquesima ora, privati persino della possibilità di una speranza.
Radicata è la percezione che l’uomo sia diventato sempre più una passione inutile. L’ombra della notte sembra avvolgere la sua storia. Soggiogati da atroci visioni del male, in tanti evocano catastrofici scenari di morte. La perversa egemonia di una tecnologia dalla presunta neutralità genera disordine nella città secolare, dimentica di confrontarsi con i valori o non disposta a riconoscere il primato della persona. La dimensione planetaria di questa situazione rende difficile orientarsi. Un diffuso senso di naufragio spinge verso luoghi sconosciuti e temuti.
L’anno che sta per finire con le sue morti, con le sue paure, con i suoi dolori dovrebbe indurre ad un immediato risveglio della ragione, assopita dalla ritualità consumistica e assoggetta al predominio del “grande fratello”, il quale pretende che il genere umano, ridotto a massa, si assoggetti alla sua volontà. L’impotenza della politica come arte del possibile per ridurre le cause dell’instabilità sociale e i rischi di conflitti mediante la realizzazione di un nuovo ordine che dia sicurezza ad un pianeta ancora frammentato, nonostante il vangelo della globalizzazione, è riconfermata dalla confusione che si sperimenta in questi giorni, non meraviglia quindi la paura che ingenera.
Nell’attuale congerie si richiedono azioni consapevoli della complessità dei conflitti in atto da affrontare con la solare certezza che il ritorno ai valori nella loro solare classicità costituiscono l’unico antidoto riposizionando l’uomo al centro come fine e non come mezzo della storia. Questa esperienza rimane valida se ci si immerge completamente nel pathos della vita senza relativismi. Infatti, il dialogo tra le culture diventa possibile ed efficace se si rispetta la libertà dell’altro che comunica con noi, ricordando che la libertà è tale se si coniuga col principio della responsabilità personale.
Si è preteso di eliminare l’irrazionalità naturale con la scienza, le disfunzioni della politica con la rivoluzione democratica, in seguito si è assegnato il primato all’economica privilegiando il ruolo di amministratori e di tecnocrati favorevoli alla depoliticizzazione dei processi decisionali, evidente aporia a giudicare dai risultati testimoniati dal contrasto tra l’opulenza del consumo privato e l’insufficienza delle sistemazioni collettive, tra il perfezionamento dei beni materiali e la povertà della cultura e del senso del sacro, circoscritto alle aree dell’ignoranza e dell’impotenza. Prevale così un ateismo pratico, favorito dallo sviluppo della tecnologia che dissipa miti e mentalità modulati dalle religioni tradizionali, intanto si diffondono nuove idolatrie.
L’arrancare delle strutture di governo può indurre ad una pericolosa rassegnazione proprio quando appare più urgente la ricerca di formule nuove per rendere meno traumatici i grandi cambiamenti. Infatti, nonostante gli sforzi degli enti preposti, il divario tra ricchi e poveri aumenta, causando conflitti sociali nel mondo sviluppato e tensioni foriere di tragiche rivoluzioni tra Nord e Sud del mondo, mentre migrazioni di massa e degrado ambientale minacciano anche gli eventuali vincitori di questo ramificato e complesso conflitto economico-sociale.
Una cura alla malattia fisica e spirituale di una umanità prostrata la propone l’evangelista Matteo. Il capitolo 25 (vv.31-46) riporta la grandiosa visione del Messia impegnato ad operare discernimento come il pastore o il padrone di un campo che separa la zizzania dal grano. Ad essere giudicate sono le scelte fatte nei rapporti umani, in particolare come si reagisce di fronte alle situazioni di bisogno o di disgrazia di chi ha chiesto aiuto, come ci si deve comportare di fronte alla fame, alla sete, all’emarginazione dello straniero, alla nudità, alla malattia, alla prigionia per meritare la benedizione e non la maledizione. Così si misura il bene fatto o non fatto, gesti di bontà, lacrime asciugate agli offesi. Fare il male è non compiere il bene, rimanere in silenzio di fronte a situazioni d’incresciosa ingiustizia, non impegnarsi per il bene comune, restare a guardare mentre si consolida la vischiosa rete della indifferenza. Emerge l’importanza del percorso che fa capire come l’amore è la sostanza della vita.
Gesù s’identifica con i più deboli; perciò, possiamo asserire che l’affamato, il malato, l’ignudo sono come Lui. I corpi dei piccoli sono carne di Dio, quindi, quando si tocca un malato si tocca il Cristo.
L.R.