“Disegno ancora nei labirinti della pittura, non ho bisogno d’altro, è questa la mia fortuna. Mi perdo e mi ritrovo nei suoi codici senza regole, nelle cifre e nei capricci misteriosi dei suoi percorsi in salita.”
Sono trascorsi tre anni dal giorno in cui mio padre ci ha lasciati, senza preavviso, come un tuono, eppure il suo segno è ancora più vivo di ieri! Protagonista assoluto, è un segno che diventa terra, foglia, vascello, anima del mito. Riconoscibile come nessun altro segno ha mai saputo essere! Fermo, deciso, coerente come il carattere di Sergio, quel segno è entrato nella mitologia di un luogo sacro, Paestum, fino a farne parte come fosse scritto nella pietra. E ogni ora del giorno sembra essere presagio di un suo dipinto. La pittura è un linguaggio cifrato, viaggia nel tempo come un messaggio chiuso in una bottiglia di vetro. Sergio Vecchio ha scritto nell’Officina del marinaio: “Paestum è la ricerca per la costruzione del dorico di domani”. Penso che l’intera sua opera sia stata il racconto di un tempo universale. È la Grecia, è l’arcaico, ma è insieme il presente, come il futuro che ho davanti, l’eterno dell’arte. Credo che nessun’altra voce sia stata la personificazione del mito di Poseidonia come la sua! Basta osservare le sue opere per incontrare l’oblio dei cieli, quelle ore prossime al tramonto, o le civette oracolo in cui si nascondono gli Dei. La “prigionia” dei tempi ci ha impedito di inaugurare una mostra che raccontasse l’opera di mio padre, fortemente voluta dal comune di Castellabate, ma l’evento è solo rimandato al futuro prossimo, quando l’arte tornerà ad essere protagonista delle nostre vite, come è sempre stato, come un viaggiatore senza tempo ci ha insegnato.
Marco Vecchio