Angelo Cipriano, infermiere del Presidio Ospedaliero “Maria SS. Addolorata” di Eboli, nello svolgere il suo lavoro di infermiere, in questo periodo storico di pandemia ancor più duro del solito, ha voluto raccontare la sua prima esperienza nella somministrazione a domicilio dei vaccini anticovid. Una giornata all’insegna della sensibilizzazione da parte di chi vive, ogni giorno, la lotta contro il virus.
«Sono fermo e convinto che in un periodo di emergenza come questo, l’infermiere, il medico e chiunque altro già stipendiato dalla propria ASL debba svolgere e dedicarsi in maniera totalmente gratuita alla somministrazione dei vaccini a tutta la popolazione, sia essa autonoma e capace di recarsi nei centri vaccinali, sia quella bloccata in casa per qualsiasi altro impedimento: i fragili e i non autonomi.
Pasqua 2021, Venerdì Santo. Pur vivendo in un periodo di forti limitazioni, la vita scorre con il solito traffico nelle vie del paese. Piccoli gruppi di tre o quattro persone. Chi con e chi senza mascherina, si soffermano raccontandosi le loro cose, così incuriositi ed attenti ai racconti da far dimenticare i divieti in atto.
Io sono un infermiere di un nosocomio della provincia di Salerno e mi sto recando in ufficio postale. Sono passate le dieci del mattino. La giornata è bella, il sentimento della passione di Cristo è vivo nel mio cuore, con il rammarico di non poterlo vivere con le solite tradizioni cristiane. L’atmosfera è carica di nostalgia, ma anche di speranza: torneremo presto alla normalità. La normalità, sì… proprio così, la normalità della nostra quotidianità è ciò che manca ad ognuno di noi. Per ottenerla, come è già avvenuto in altri paesi del mondo, l’unica soluzione è vaccinare chiunque, nel più rapido tempo possibile 24/h su 24, 7 giorni su 7.
Mi arriva una telefonata di un collega, mi chiede di recarmi in un punto vaccinale perché ci sono i vaccini ma manca l’infermiere a inoculare. Senza pensarci due volte confermo immediatamente la mia disponibilità per essere coinvolto in questa emergenza quotidiana laddove necessita la mia professionalità. Mi affianco alla responsabile del centro vaccinale, capace di aver organizzato qualcosa che funziona nonostante il fermento emergenziale, tutto in pochi giorni.
Laute menti ai vertici del nostro paese faticano a ottenere gli stessi risultati.
Arrivo da lei. Mi stava aspettando. Mi affida un camice. Prendo tutto l’occorrente necessario per la missione che ci attendeva.
Saliti su una ambulanza della Croce Rossa Italiana partiamo, tra le vie del paese, per raggiungere quei pazienti fragili, impossibilitati a raggiungere i punti vaccinali e portiamo i vaccini a domicilio.
È la mia prima esperienza nel recarmi al cospetto di chi è in un letto ed aspetta la mano tesa degli operatori sanitari per ottenere l’immunizzazione.
Ho sentito in me una forte spinta e, in un attimo, mi sono immerso in quello che è il mio lavoro, senza che nulla mi impedisse di farmi accogliere nelle abitazioni private delle persone e di infondere, a quelle persone, la giusta serenità riguardante ciò che stavamo facendo.
Entriamo in un primo palazzo del centro abitato, saliamo al primo piano ed entriamo in un appartamento dove ci stavano aspettando. La prima paziente era un’anziana signora distesa in un letto, inconsapevole di ciò che stava accadendo. I suoi familiari, accogliendoci felici per l’attesa finita, hanno scoperto il braccio nel quale, un attimo dopo, ho inoculato il vaccino. La signora era lì, immobile, che dormiva, distesa nel suo letto circondata di presidi necessari per alleviare le sue sofferenze. Guardandola, ho visto in lei il volto di Gesù, in questo giorno della sua passione, poiché in ogni ammalato c’è il volto di Cristo. Aspettiamo qualche minuto per prevenire eventuali reazioni inaspettate e andiamo via. La missione prosegue e ci accingiamo a recarci all’indirizzo di un altro ammalato, di un altro volto di Cristo che aspetta la sua dose.
In ogni casa sembra che il tempo si fermi. Abitazioni di anziani maestri, persone che hanno avuto una lunga vita e che da mesi sono prigionieri tra le loro mura. Mura sulle quali c’erano tante foto di bambini, i loro nipotini, che attenuano la sofferenza distraendoli dalle loro limitazioni. Bambini che non abbiamo incontrato nelle case visitate, ma che erano, in qualche modo lì, vicini e presenti, nelle foto, a sorridere per i loro nonni. Quel sorriso è una speranza. Grazie al vaccino presto, un giorno, potranno tornare ad abbracciarsi.
Siamo in guerra. Una guerra per far vincere gli abbracci dei bambini e dei nonni che, da mesi, non possono incontrarsi.
Infermiere Angelo Cipriano».
Andrea Della Rocca