Domenica scorsa, giornata della mamma, durante la liturgia della Parola abbiamo riflettuto sull’immagine del buon pastore. Nel fare gli auguri alle mamme abbiamo offerto azalee, un fiore tipicamente femminile, inno all’amore materno, che si segnala per la temperanza, esempio di moderazione per garantire una vita serena. La capacità di affrontare le prove con pacatezza è la vera vittoria delle mamme, che vincono dando la vita, quindi sono le persone più distanti da ogni eventuale opzione di guerra. A questa immagine si è affiancata quella di Gesù il quale, prendendo spunto dalla sua società propone la figura del pastore perno della comunità quando realizza un rapporto di amore basato sulla fiducia reciproca. In chi l’ascolta di mette in moto una specifica dinamica che consente di conoscere cosa è veramente il bene e, di conseguenza, segue i suoi insegnamenti fatti non di comandi ma di esempi che sollecitano la sequela per raggiungere la meta.
Chi sa ascoltare diventa il buon terreno che accoglie il seme, germoglia e produce frutto, stimolato a conoscere sempre meglio il pastore non solo con la propria intelligenza, ma grazie ad un coinvolgimento totale. In tal modo veramente sa “comprendere”, cioè “prendere insieme” con tutto il proprio essere, con l’intelligenza, la volontà, i sentimenti. Prima di prestare attenzione al contenuto di ciò che dice, i veri cristiani sanno riconoscere la voce di Gesù: un timbro amichevole e accattivante rende rosea la speranza. Ecco perché i cristiani lo seguono; non si limitano a obbedire a un comando impartito, ma percepiscono l’eco le cui tonalità fanno intravedere la mappa del pellegrinaggio da intraprendere ritenendo sicuro il tragitto. La voce del pastore si tramuta in madre che genera nuova vita, diversa da quella descritta dai soliti maestri, impegnati a ricordare solo pesanti doveri, comandamenti che presuppongono mera obbedienza.
In un mondo tormentato come il nostro, in cui ideologie, programmi politici, schemi di vita pare cozzino tra loro producendo la guerra, disorientamenti globali e scetticismi che rendono di moda la frase di Pilato: “cosa è la verità?”, non c’è da meravigliarsi se con particolare insistenza sentiamo scaturire dal nostro profondo la domanda: “che significa essere cristiano?”
Il vero discepolo conosce la voce del pastore e lo segue, percorre la strada di Gesù operante nella realtà del mondo, pronto a conferire ai seguaci il senso di sicurezza che non preserva da tribolazioni, persecuzioni, calunnie; ha una dimensione più profonda e radicale: la certezza di dare significato alla propria esistenza per averla veramente salva. Così il vangelo, messaggio valido per tutti, diventa auspicio, desiderio, speranza, possibilità per uscire dalla condizione di dubbio e di angoscia nella quale sembra sia precipitata l’umanità per la paura di vedere ridimensionato e imbruttito il proprio futuro.
In questi giorni hanno fatto scalpore le dichiarazioni di becero nazionalismo del metropolita di Mosca, il quale sembra meno attento ad ascoltare questa voce di Gesù, confuso dal cesaropapismo praticato dalla “terza Roma” e così sente più gli stimoli bellicosi che le sollecitazioni evangeliche proponendosi di fatto come il “chierichetto di Putin”. In tal modo dimentica e tradisce il nucleo originale dell’insegnamento di Gesù perché il nucleo del suo vangelo non è l’osservanza della Torah in quanto tale, per quanto non venga esclusa e promuova una spiritualità interiore. Non si tratta di praticare purezza rituale o etica, né la santificazione personale con una vita di preghiera e di culto nel tempio, neppure con la ricerca solitaria di Dio, ma mediante la dedizione ai fratelli per poter sentire la presenza del misericordioso Padre nostro e imitarlo nelle opere dell’amore.
Cirillo di Mosca dovrebbe ricordare anzi impegnarsi ad insegnare che la legge dell’amore è la novità rivoluzionaria della predicazione di Gesù, la cui singolarità è nel comandamento di amare i propri nemici. Le labbra del maestro di Nazaret sono le sole che l’hanno pronunciato; egli è il solo che lo ha praticato testimoniandolo fino alla fine. Altrove si sente anche parlare di amore reciproco, ma benedire i propri persecutori ed amare i propri nemici è la prerogativa specifica di Gesù.
Nel deserto della vita la voce del pastore buono rassicura divenendo un amorevole maestro. La sua voce genera senso di sicurezza, un rapporto unico e rivoluzionario tra chi governa e chi è governato, perché non prevale la sottomissione al potere, ma una autentica fusione di amore. Solo operando così Cirillo, il metropolita di Mosca, può fare onore al suo nome e divenire veramente “omen” perché appartenente al Signore!
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