Leggendo Repubblica ho scoperto con grande stupore che in uno dei tantissimi depositi “dormienti” d’Italia ci sono i soldi lasciati dal signor Antonio F. di Caselle in Pittari (SA), morto molti anni fa con un piccolo ma importante segreto: un conto da oltre 41 mila euro, custodito in una filiale di Sala Consilina.
Qualcuno avrebbe dovuto avvertire i familiari del signor Antonio. Qualcuno avrebbe dovuto rintracciare suo fratello o suo cugino, o il figlio del cugino, fino al sesto grado di parentela. Qualcuno avrebbe dovuto dire loro che in un deposito “dormiente” giacevano soldi rimasti fermi per oltre dieci anni. Nessuno della sua famiglia sapeva che erano lì, prima che lo Stato – il 30 marzo del 2016 – prelevasse quella somma e la trasferisse nelle casse pubbliche. Perché così dice la legge. Anche se i suoi parenti avrebbero avuto diritto, sempre secondo la legge, a ereditare quella somma. Il punto è che nessuno li ha avvisati, perché nessuno era obbligato a farlo. E anche questo lo dice la legge. Le banche, secondo la legge in Italia, non sono tenute a cercare gli eredi e i soldi finiscono in un fondo per indennizzare i risparmiatori frodati, anche se i governi, per la verità, li usano per altri fini. I soldi del signor Antonio, insieme a quelli di altre decine di migliaia di italiani, sono stati trasferiti al capitolo 3382 delle entrate del Bilancio dello Stato, una sorta di salvadanaio dei salvadanai dove ogni anno istituti di credito e assicurazioni versano i proventi dei cosiddetti “rapporti dormienti”. Polizze, assegni, libretti di risparmio e conti non movimentati per dieci anni che finiscono nelle casse pubbliche, come previsto dalla norma approvata nel 2005 e voluta dall’allora ministro Giulio Tremonti. Sono i famigerati conti dimenticati degli italiani.
Come riferisce Repubblica.it, a distanza di un decennio dall’entrata a regime, le cifre sono significative. Secondo i dati del Rendiconto Generale dello Stato, dal 2007 ad oggi sono arrivati dai risparmi “dimenticati” oltre 2 miliardi di euro. Se si guarda soltanto agli ultimi anni, i numeri restano consistenti: 184 milioni nel 2013, 203 nel 2014, 142 nel 2015 e 101 nel 2016. Risorse destinate, in teoria, a un fondo ad hoc “per indennizzare i risparmiatori vittime di frodi finanziarie” ma oggetto negli anni di ripetuti tentativi di saccheggio da parte dei vari governi che si sono succeduti.
Alla Consap, una controllata del Tesoro, è stato affidato il compito di gestire i rimborsi di chi tra legittimi titolari o eredi può rivendicare le somme confluite nelle casse pubbliche. Chi si è accorto troppo tardi che i suoi soldi non ci sono più, per fortuna ha altri 10 anni di tempo per recuperarli dallo Stato. La maggioranza dei soldi parte però dai conti dormienti e non torna più. I legittimi proprietari sono morti da molti anni e se non hanno lasciato indicazioni nel testamento, gli eredi rischiano di non saperne nulla. La legge non obbliga le banche a cercare i familiari per avvertirli che esistono delle somme intestate alle persone che sono morte, e le banche si attengono a questa prescrizione. Gli istituti di credito non inviano comunicazioni agli eredi in caso di decesso del titolare, in quanto la norma richiede esclusivamente l’invio della raccomandata al titolare del rapporto. Anche perché, in caso di decesso, la Banca potrebbe non conoscere l’identità degli eredi.
Poco importa ad esempio se nel frattempo i titolari hanno cambiato residenza, scordandosi magari di avvertire l’istituto di credito, come è accaduto al signor Cesare D. L, residente nel sud della Germania, che ha appreso incredulo con dodici anni di ritardo l’esistenza stessa della legge che gli ha (temporaneamente) prosciugato un libretto di risparmio da oltre 40 mila euro. Con un pò di pazienza, potrà recuperare i suoi soldi attraverso la Consap.
Nessuno saprà invece dare una risposta ai due figli di Antonio A., gravemente malato di Alzheimer, morto solo in una casa di riposo in un piccolo Comune vicino a Novara nel gennaio del 2003. Loro padre, con cui i rapporti si erano deteriorati, non li aveva avvisati che in una filiale di un Comune poco lontano c’era un conto da 41 mila euro di cui nessuno, a parte lui e la banca, era a conoscenza. Un piccolo tesoro protetto e dimenticato allo stesso tempo, forse nascosto di proposito, forse rimosso dalla malattia.