La “Cilentana”, pensata come strada a scorrimento veloce con i parametri degli anni ’70, subì nel corso della sua realizzazione una serie di varianti che ne stravolsero il tracciato originale, con curve ardite, pendenze esagerate, effettuate più per assecondare le svariate pressioni politiche ed i veti di alcuni notabili, che per una scelta tecnica razionale, in uno zig-zag che rappresenta fedelmente la geografia del potere dell’epoca, alla stessa stregua di come un tracciato cardiocircolatorio evidenzi lo stato di salute di un paziente. Il risultato fu una opera costata tantissimo, consegnata con molti anni di ritardo, al punto da apparire già vecchia ben prima della suo fisiologico deterioramento.
Ciononostante, quella che noi chiamiamo “la Superstrada”, rappresenta la principale via di comunicazione del Cilento, riuscendo a colmare quelle distanze fisiche tra le aree interne e le zone costiere, risultando indispensabile per garantire i livelli minimi di vivibilità per gli abitanti. Ma queste certezze sono venute meno con la notizia della sua chiusura per consentire la riparazione di un viadotto gravemente lesionato, aspetto che pone una serie di quesiti sul livello di adeguatezza delle infrastrutture nel Cilento e sul divario nei tempi di risposta dei vari livelli istituzionali che sovrintendono alla sicurezza delle stesse.
Ad esempio, è stridente il contrasto tra la velocità di intervento dell’Anas sulla Cilentana, rispetto all’attesa trentennale per la realizzazione della variante alla strada “Pisciottana”, interrotta da un grave fenomeno franoso e che, se fosse stata realizzata, avrebbe supportato benissimo la zona costiera tra Pisciotta, Palinuro e Camerota, comuni con quasi due milioni di presenze turistiche e chiusi in un “cul de sac” per raggiungere le scuole superiori, il tribunale, gli uffici finanziari, il Consac e l’ospedale di Vallo della Lucania.
Paghiamo quindi un atavico ritardo, non solo nelle manutenzioni ordinarie e straordinarie, quanto nella programmazione di una rete infrastrutturale degna di questo nome, in grado di coprire l’intero distretto Cilentano, come una struttura capillare capace di favorire l’irrorazione del tessuto sociale ed economico, da tempo a rischio di necrosi per lo spopolamento. In un drammatico rapporto tra cause ed effetti, dove le diagnosi sono chiare a tutti, ma le cure non arrivano, seppure i fondi europei raccomandino di tutelare proprio queste esigenze. Infatti i fondi strutturali ed i fondi del PNRR dovrebbero assolutamente coprire tale fabbisogno, nella consapevolezza che una corretta circolazione di persone, di beni e di servizi siano il requisito fondamentale per un rilancio economico di quest’area.
Si invoca da più parti la convocazione di una sorta di conferenza dove partecipino tutte le forze politiche e le rappresentanze istituzionali, dai sindaci, ai parlamentari, dagli assessori regionali e provinciali ad i loro Presidenti, fino ai vertici del Parco Nazionale. Non solo per superare la straordinarietà degli eventi, quanto per sottoscrivere una sorta di “Piano Marshall” per il Cilento, dal nome del Sottosegretario di Stato americano che nel dopoguerra concepì l’omonimo piano di ricostruzione per l’Europa. Una situazione quasi post-bellica per questo territorio che rischia di perdere l’ultimo treno per lo sviluppo e quindi l’emarginazione definitiva dal contesto nazionale ed europeo: dalla difesa dei presìdi ospedalieri e delle piante organiche, al miglioramento delle reti idriche ed informatiche, dalla salvaguardia della linea ferroviaria Tirrenica, alla realizzazione della Strada del Parco, dalla bretella Agropoli-Eboli al completamento dell’Aversana, dall’istituzione di una metropolitana veloce da Sapri a Salerno, alla realizzazione di una serie di fondovalli per collegare le aree interne con la Bussentina e la Cilentana, fino ad immaginare il raddoppio della stessa Cilentana, in modo da trasformarla in una vera superstrada, con due corsie per senso di marcia, prolungandone il tracciato da Policastro fino a Sapri.
Non è più tempo di slogan o di contrapposizioni fasulle tra partiti, usate come alibi per favorire il mantenimento dello “status quo”. Sulle battaglie di territorio non esistono bandierine ideologiche, bensì si misurano la responsabilità e la reale volontà della classe politica di risolvere concretamente i problemi della popolazione, sia durante un’emergenza come questa, che nella pianificazione del nostro futuro.