di Luigi Rossi
Critiche interessate hanno affermato che Papa Francesco con le sue esternazioni nei fatti demonizza il capitalismo. In realtà egli ha sostenuto soltanto che questo tipo di economia uccide, affermazione che ha scatenato la critica al papa marxista anche di alcuni settori del mondo cattolico, dimentico che questa radicalità di posizione di origine evangelica si riscontra già nei Padri della Chiesa. La dottrina sociale va valorizzata nella sua completezza. Ad esempio, già nell’enciclica Quadragesimo Anno, scritta nel 1931 poco dopo il crollo di Wall Street, si sollecitava un programma sociale e politico di estrema attualità per la situazione italiana di oggi nel denunciare lo strapotere dei mercati. Papa Francesco con i suoi interventi precisa che il messaggio di Gesù non è contro i ricchi, ma contro chi idolatra il denaro; egli critica un certo tipo di capitalismo che ha prodotto il sistema economico in cui viviamo.
Gli strumenti economici non sono di per sé neutri, non si tiene conto di strutture portanti del sistema ingiuste ed insopportabili. E’ il caso dell’indice di benessere misurato dallo spread e non dalla reale condizione della gente, elemento che consente di affermare che esso non ha più nulla a che fare persino col capitalistico, legato all’economia reale. Proni allo strapotere dei mercati, si scommette su quanto si potrà guadagnare in borsa nel giro di pochi minuti, insensibili alle esigenze di tanti si fanno lievitare i prezzi dei beni di prima necessità e così fasce intere di popolazione sprofondano nella povertà. Sono fenomeni intollerabili; perciò ci si dovrebbe chiedere se il sistema economico attuale non debba essere profondamente riformato; invece si continua a sostenere che la globalizzazione avrebbe migliorato le condizioni di vita. Essa ha certamente aspetti positivi, però la condizione di molti è peggiorata: dato reale, non immaginato, che colpisce gravemente anche il Cilento. La politica si è consegnata ad un sistema basato su una bolla speculativa per la quale alcuni scommettitori decidono i nostri destini. Per costoro vera urgenza è lo spread, non la gente.
In Italia si continua a prestare attenzione a questo indicatore anche se tutti sperimentano quotidianamente quanto si sia allargata la soglia di povertà e la cultura dello scarto, denunciata da papa Francesco, condiziona le aree marginali. Mettere in discussione il sistema, porsi domande, sollecitare programmi sensibili alla giustizia distributiva diventa un imperativo per chi ha a cuore il bene della nostra zona. Infatti, l’imposizione di modelli che feriscono l’identità locale si trasformano in una vera colonizzazione ideologica. Questo avvertimento si desume in filigrana leggendo il volume: Papa Francesco – Questa economia uccide di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi. Il saggio fa riflettere sul grave errore di aver separato nell’Ottocento la sfera economica dall’etica e dalla politica, mentre di recente la globalizzazione ha determinato il passaggio ad un ordine nel quale si pretende di porre l’etica a servizio dell’economia. Col global capitalism il mercato condiziona pesantemente l’agenda politica presentandosi quasi come una religione immanentista che annulla l’uomo. Il papa denuncia questa pericolosa situazione, alla quale si può porre riparo se ai nostri giovani s’insegna a pensare criticamente, trascendendo i localismi e affrontando i problemi mondiali consapevoli di essere cittadini del mondo, in grado quindi di specchiarsi negli altri con predisposizione simpatetica.
La scorsa settimana la solita rivista specializzata ha riferito che tra i mille super ricchi nel mondo 27 sono italiani, intanto si parla della Grecia, dell’intransigenza dei custodi del rigore monetario e di un paese in ginocchio perché non ha rispettato parametri econometrici. Programmi tesi a stimolare soltanto la crescita quantitativa dell’attività industriale forniscono la dimensione della produzione lorda e non consentono di conoscere il vero benessere di un Paese o le condizioni di salute di un’economia. Il Pil non fotografa la vita reale di un cittadino, un problema perché non coglie la gravità delle disuguaglianze in atto. Oggi molti stanno peggio, mentre i criteri di valutazione non considerano degrado ambientale e livello di sostenibilità della crescita. Da queste considerazioni prende spunto anche il dibattito sulla tassazione per evitare l’assurdo di un’aliquota fiscale più bassa per gli speculatori in borsa rispetto a chi lavora tutto il giorno. Si può pervenire a questa radicale evoluzione della mentalità se non si considera l’economia una scienza distante ed immutabile, ma ben radicata nella cultura e nella civiltà del popolo di cui è espressione. Se vogliamo evitare che venga asfaltata la nostra specificità, la ricchezza culturale, le tradizioni attraverso un processo di dolorosa omologazione allora dobbiamo prendere posizione con coerenza.
Anche un periodico dalla diffusione limitata come Unico può svolgere la funzione di denuncia del perbenismo di chi sopporta che si parli di disuguaglianze sociali e dei poveri a patto lo si faccia di rado, sollecitando solo un po’ di carità e un pizzico di filantropia e ritenendo questi buoni sentimenti sufficienti per tacitare la coscienza. Sostenere, come fanno molti ambienti cattolici, che se più i ricchi si arricchiscono la vita dei poveri migliora è un’affermazione non attendibile; ogni giorno nel Paese e a livello individuale costatiamo che non funziona perché la forbice tra capitalismo e giustizia sociale tende ad allargarsi in modo ormai insostenibile. Un autentica giustizia distributiva obbliga a considerare la qualità della produzione integrata col reddito mediano disponibile dopo aver sottratto tasse, spese per la casa, bollette di vario genere ed il costo per il cibo. E’ facile immaginare la ricaduta positiva sugli abitanti del Cilento. Determinante per il nostro futuro è garantire anche l’uguaglianza delle opportunità. Il vero benessere si misura tenendo conto delle condizioni di salute, della casa decente, di appaganti relazioni familiari, di quartieri puliti e sicuri dove vivere, di un lavoro che soddisfa stimolando la propria personalità. A queste condizioni si favorisce la vera libertà consentendo possibilità di scelta. Focalizzare l’attenzione solo sulle competenze che producono profitti può determinare vantaggi di breve durata; ma una sana cultura economica ha bisogno di creatività, capacità di pensare in modo fantasioso ed elaborare soluzioni creative per problemi complessi adattandosi a circostanze mutevoli e vincoli nuovi.