La cultura, i libri, la politica e l’amore per la scrittura e per quelle sciarpe rosse, testimonianza visiva della sua militanza. Mario Onesti, sessantotto anni, da Campagna, non è più. Figlio di un sarto e di una mondina fu l’ultimo segretario della sezione comunista ma al Pd aderì e ci credette. Fu apprezzato redattore di Unico.
Un amico. Conosciuto in tempi densi e impegnati, La cultura, i libri, la politica e l’amore per la scrittura e per quelle sciarpe rosse, il loden, testimonianza visiva della sua militanza. Mario Onesti, sessantotto anni, da Campagna, non è più. Laureato in filosofia, già professore di Lettere presso il locale Istituto Comprensivo Mario Onesti era un uomo insieme rigoroso, capace di grandi tolleranze. Un grande ragionatore. L’unico rimpianto che ti confessava era quello di essere stato “bloccato” nella scuola media nonostante avesse tutti i titoli e il “massimo del punteggio” per poter ambire a una cattedra del liceo classico. Il suo orizzonte era nella battaglia delle idee. La Campagna di Giordano Bruno e dei grandi vescovi l’aveva forgiato come nessuno mai. A pochi capita un paese ricco d’idee come questo. Questo era uno dei pochi “privilegi” di Mario, figlio di un sarto lungamente emigrato in Inghilterra, e di una mondina. Una mondina meridionale nelle risaie settentrionali. A ventuno anni era già consigliere comunale del Pci, fu capogruppo all’Usl 55, oltre che componente dei Comitati Federali nel PCI-PDS-DS. Nel 1974 si laurea in filosofia con una tesi su Louis Althusser, Per alcuni anni è al Nord, a insegnare. Rientra nel 1979, e il terremoto nel suo paese picchiò duro. Nell’estate del 1980 era nel gruppo che diede vita a “Il Setaccio”, il giornale ciclostilato che poi raccontò come Campagna sopravvisse sì al terremoto, ma per uscirne profondamente cambiata. E fu così che Mario Onesti si attaccò ancora di più alla sua macchina da scrivere e poi al computer. Per continuare il suo lavoro di educatore, per lottare contro il male oscuro del Sud. Il trasformismo, ovvero quel sempre saltare sul carro del vincitore. Ripeteva spesso: «Non sanno che disastri provocano nei ragazzi». Mario possedeva il miglior archivio della stampa locale dell’ultimo trentennio. Giornalista pubblicista dal 2006 aveva alle spalle una trentennale esperienza nei giornali locali. Diceva di sè: «Sono stato e resto un uomo di Sinistra. Disdegno profondamente la violenza, che tante volte, a causa di emeriti imbecilli, se non delinquenti in tanti casi (basta guardare quello che succede oggi negli Stadi!), si accompagna ad esso, soprattutto nel Calcio. Sono un “Romanista” da sempre, una vera e propria “malattia” per i colori “giallorossi”, per la magica e mitica Roma. Mai fanatico, ma sempre passionale. Nel calcio come nella politica». Poi i giornali, entrambi fummo accolti in quella strana università del giornalismo che era “Agire”, diretto dal compianto don Angelo Visconti, che ci conosceva bene e con le nostre idee un po’le blandiva e un po’ ci scherzava bonariamente. Ci ritrovammo a “Il Sele” per poi confluire in “Unico”: a me toccava l’ingrato compito di accorciare i suoi articoli per renderli a “misura”. Quando l’invitavo a stare nel numero dei caratteri giusti, per la pagina, lui mi invitava a ridurne il “corpo”, io lo riportavo ai diritti degli ipovedenti a poterci leggere. Mai arrabbiature da “primedonne”, così abbondanti in questo settore anche nelle sue articolazioni più periferiche. Sorrideva anche lui quando fui costretto a dire che nei giornali (cartacei) lo spazio era un banale concetto fisico ma non filosofico. Mentre io l’immaginavo felice in Portogallo, al seguito del figlio Luca, sui luoghi di Pereira, a sorte aveva già privato Mario proprio delle qualità che ce lo rendevano così unico e caro. La speranza, la visione, la lotta, la scrittura. Ciao Mario!