di Oscar Nicodemo
Da “Il commento definitivo”, un’antologia di opere di Jean Jacque Viton, vi è una lirica straordinaria ispirata dalla lastra di copertura della celebre tomba di Paestum, dal titolo “Il tuffatore ocra”. Ne estraggo un verso per me particolarmente sintomatico e analitico: “qualche cosa che vive d’apparenza / come una riproduzione / il reale non lo raggiungerà mai”.
Va da sé che osservare l’affresco pestano non può essere mai un’operazione limitata solo agli occhi. Troppo incommensurabile, infinitamente grande e sovrastante appare il suo insieme di linee meravigliosamente semplici, che rivela la perfezione di un disegno metaforico e l’armonia di cromature che resistono al tempo, per offrirsi in una presenza perpetua, perenne, che transita ben al di là della vita che esprime, anche oltre la stessa concezione del passaggio di accesso all’Ade, fino a concepire la morte come ricordo, mediante la composizione di un’idea che appartiene all’arte, e per questo interminabile. Ed è qui che il verso del poeta francese ci conduce, al mistero della non identificazione del defunto, al significato più nascosto dell’immagine affrescata, a una fantasia che la realtà non può superare. Come se in quella tomba, stracolma di esistenza, fosse stata rinchiusa e preservata una forma di energia vitale, per aprirsi al mondo 2.500 anni dopo la sua composizione. Quella che era, in apparenza, l’esclusiva visione di un morto, si manifesta come miracolo tangibile alla sensibilità dei contemporanei. Il luogo intimo e inaccessibile, concepito per l’eternità di un defunto, diventa, dunque, la percezione emotiva di noi viventi, che partecipando all’antico rito funebre del “tuffatore” ci impossessiamo della vita che gli è appartenuta (lastre raffiguranti il simposio) e del nuovo mondo che lo attende (latra di copertura).
Tanto imponente e spirituale ci appare il complesso dei santuari di Paestum, quanto delicatamente rivelatrice si presenta la “Tomba del tuffatore”. E tra l’affresco, concepito per restare sottoterra e la forma architettonica costruita per relazionarsi al cielo, oggi vi è un legame ideale che solo lo studio dell’archeologia può indagare scientificamente, per rendercene edotti. E, in questa direzione, oltre a studiarle, le pietre andrebbero sentite, per rispettarne fino in fondo la verità che nascondono. L’atteggiamento verso un reperto dovrebbe essere sempre ossequioso, a maggior ragione se si tratta di un esempio unico nel suo genere, come appunto l’allegorico “tuffatore” poseidoniate. Indagarlo, senza nutrire un sentimento nei suoi confronti, esponendolo soprattutto a una mera rappresentazione fenomenale di ordine mediatico e tipico del “battage” più disinvolto, potrebbe portare a risultati banali e fuorvianti, non propri della storia del reperto stesso. Ma questa è solo un’opinione di un amante di Paestum e di un autore che, pretese lo spegnimento dell’illuminazione pubblica, per narrarne, senza alcuno artifizio e alla luce del fuoco mistico delle fiaccole, l’incontro con i suoi fantasmi, in una serata resa suggestiva e memorabile grazie alla presenza composta e meravigliata del pubblico presente. Non la diagnosi, quindi, di un esperto. Pertanto, e vengo al punto di critica, brevissimo e asciuttissimo, ma non per questo spuntato.
Fine a se stessa ritengo l’operazione pubblicitaria in cui si è preteso dalla figura della lastra tombale un astratto, fantastico e triplo tuffo carpiato. Credo, intimamente, seriamente, coscientemente che promuovere il sito archeologico di Paestum, attraverso un o dei suoi gioielli più rappresentativi, quale appunto, la “Tomba del tuffatore” non debba significare necessariamente cedere alla tentazione della spettacolarizzazione. Paestum è un luogo resiliente per antonomasia. La natura l’ha resa clandestina per secoli, per riconsegnarla a un’umanità evoluta, affinché venisse riscoperta e se ne ammirasse la rinascita. Paestum è stata un inferno prima di riapparire come paradiso. Melma, fango, palude, sterpaglie, bisce, serpenti, insetti, animali randagi di ogni genere la rendevano inaccessibile, offuscando e, tuttavia, proteggendo per centinaia di anni tanta bellezza, riemersa a nuovo splendore in era moderna. Una tale resilienza non ammette intrusioni che non ne contemplino il ricordo, men che meno trastulli che niente hanno a che fare con l’elitarismo culturale della sua genesi. Essere un buon e intelligente interprete della Riforma Franceschini, come nel caso di Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico, toglie qualcosa alla difesa e alla sublimazione di Paestum, che resta un sito che nessun promoter o manager commerciale dovrebbe inflazionare, svilire, sottoutilizzare in ragione di un profitto. Ho partecipato all’evento della riapertura della “Sala Mario Napoli” che ospita il “tuffatore”. Ho avuto la netta sensazione che senza l’intervento qualificato e qualificante di Marina Cipriani e senza il mutismo eloquente e significativo del mecenate Antonio Palmieri (qui un bravo a Zuchtriegel per averne colto la spiccata sensibilità di cultore del bello), tutto si sarebbe risolto in una kermesse dal tono flebile. Il “tanto rumore per nulla”, fermo restando il prezioso restyling della sala, si percepiva in maniera inequivocabile. È proprio il caso di dire che, fortunatamente, il mistero della “Tomba del tuffatore” continua, malgrado i proclami dell’operativo direttore, a cui non si può certo rimproverare una irrefrenabile voglia di fare. Si tratta, invero, di non strafare, obbedendo a canoni che appartengono più al circo mediatico che non al turismo culturale a cui Paestum è naturalmente tendente. Per intanto, i numeri confortano le scelte del gentile e affabile Gabriel: più visitatori in percentuale e un maggiore incasso proveniente dai biglietti d’ingresso all’area visitabile. Quanto basta, per avere torto agli occhi di chi legge, guardando per vizio al portafogli. La concretezza vince sull’ideale amore per Paestum? Oppure esiste una maniera più efficiente e adeguata, qualitativamente appropriata per attirare su Paestum l’attenzione del mondo intero, non solo quella dei vacanzieri dei dintorni che hanno deciso finalmente di vedere una colonna da vicino? E ribadisco, con rinnovata convinzione, che a Paestum continui a mancare il suo turismo, quello più redditizio e colto dei viaggiatori in cerca di emozioni autentiche. E resto certo, ancor di più, che perseguendo la qualità giovi al portafogli. Ne è un esempio lineare il mecenate in argomento, no?