Paolo Ascierto, sperimentatore del Tocilizumab per curare il Coronavirus, Attilio Bianchi, direttore generale, Gerardo Botti, direttore scientifico dell’Istituto anti-tumori, hanno inviato una lettera ai “concittadini” di Sessa Cilento” per invitarli a rispettare le regole di contrasto al coronavirus. Il loro è stato un incoraggiamento per tutti i cilentani, ai quali hanno raccomandato: «Aiutateci a farvi aiutare».
E’ una lezione di stile per l’attivissimo presidente della regione Campania, che di recente ha ingaggiato una polemica con una mamma prestandosi ad un “siparietto” che certamente non ha giovato alla sua immagine. Motivo del contrasto la scuola aperta o chiusa, le priorità in questa emergenza, l’efficienza nell’affrontarla. All’esimio amministratore, che quando parla ricorda il Farinata dantesco “com’avesse l’inferno a gran dispitto”, sommessamente si ricorda che potrebbe anche aver ragione ma, come Pia dei Tolomei, E’l modo ancor m’offende. Del resto, se la scuola rimane chiusa, chi s’impegna a presentare la bontà del progetto europeo di unità, voluto da uomini ispirati, convinti che sia superiore al conflitto nel quale era precipitato il continente, autodistruggendosi? Chi può descrivere i vantaggi della solidarietà, stile di vita che consente di raggiungere una pacifica e pluriforme unità, se ragazzi e ragazze non possono frequentare le lezioni?
L’insensibilità in questo campo determina un ritorno all’indietro, nel tentativo di fare da sé proprio mentre la pandemia costringe ad operare delle scelte e la paura si trasforma in una pericolosa tentazione, che genera crescenti incomprensioni, pronte a sfociare in insanabili contrapposizioni. Per uscire tutti, senza ulteriore irreparabili guasti, dall’attuale contingenza, occorre incamminarci sulla strada della fraternità, come hanno disegnato i padri fondatori dell’Europa unita, i quali hanno saputo indicare i veri ideali e le radici storiche di questa unica opportunità, di fatto una finestra sul futuro, più che una nostalgica evocazione del passato. Tra tanti “ismi” di fanatici negazionisti si deve rispondere positivamente al bisogno di verità e fare luce sugli interrogativi più profondi che la gioventù si pone, praticare la giustizia e rispettare ogni essere umano portatore di diritti inalienabili.
Questo adamantino bisogno si rispecchia nel patrimonio di fede, di arte e di cultura che gli europei hanno costruito e che attualmente costituisce la loro unica missione non per egemonia geopolitica, ma per l’oggettivo merito di aver saputo vedere dentro l’uomo e coglierne la armonica originalità. E’ l’eredità più preziosa che si può lasciare ad una gioventù che si giudica sbandata perché manca la volontà, oltre che la capacità, di leggere nei suoi comportamenti per coglierne segni e significati. A questo proposito i cristiani, pur percependosi sempre più “piccolo resto” devono svolgere urgentemente la funzione di lievito per ridestare in tutti questa consapevolezza.
Lo si può fare riflettendo, ad esempio, sulle esperienze che hanno accompagnato l’inizio di questa settimana, invitati a festeggiare commemorando per rispettare una radicata ritualità nella quotidianità impaurita dalla pandemia, preoccupata per la congiuntura economica, spaventata dalle insidie del contagio.
Negli ultimi anni, in modo molto approssimativo e per adorare il dio danaro, si è cercato di sostituire “halloween” al portato di una tradizione della nostra cultura, “halloween macabra e commerciale ricorrenza celtica, anche se le radici del termine (all hallows) in inglese ricordano appunto “tutti i santi”. Rispetto ad una futile ritualità è opportuno riscoprire i valori insiti nelle esperienze interiori di chi invita alla festa sollecitando la commemorazione.
Fare festa significa riconoscere che un giorno è particolare, dedicato ad “Estìa/Vesta, nella classicità dea della casa e del focolare, quindi da trascorrere in famiglia, allietandolo con un banchetto per celebrare chi si è segnalato per le virtù di umanità e di fede. Il 2 novembre siamo invece invitati alla commemorazione, cioè fare memoria impegnando insieme la mente per mantenere in vita i ricordi di un passato di relazioni con i defunti. E’ memoria, ma anche ricordo. Come indica il termine “re-cordar”, richiamare con riconoscenza al cuore i sentimenti che legano a persone care, frequentate in un passato che non deve essere “scordato”, cioè che non deve uscire dal nostro cuore.
Da secoli la Chiesa celebra in due giorni successivi la festa di tutti i santi e la commemorazione dei defunti. La prima non fa riferimento solo ai beati elencati nei santorali, chiaramente un numero irrisorio rispetto a tutti i salvati. I santi di cui oggi si fa memoria non trovano posto nei cataloghi ufficiali, però hanno percorso fino in fondo il piano della salvezza vivendo la storia secondo il volere di Dio, conservando fede e fiducia nel loro Salvatore. La santità è sempre un dono del Signore; esige docilità per farsi trasfigurare dalla grazia senza opporre resistenza all’azione salvifica seguendo l’esempio di Cristo nelle beatitudini. La coscienza di questo pellegrinaggio fa guardare in modo diverso una realtà alla quale nessuno può sfuggire: la morte; perciò, non è un caso che la Chiesa commemori i defunti il giorno dopo la festa dei santi.
La fede cristiana ha rivelato all’uomo un nuovo modo di considerare la fine dell’esistenza sulla terra, modalità che la Chiesa continua ad annunciare malgrado susciti paura in tanti, anzi nel contesto della globalizzazione generi disagio. I cristiani devono continuare a presentare la loro risposta all’ineludibile quesito sul senso ultimo della vita ancorato alla promessa di Gesù di non abbandonare nessuno nella sua infelicità. Perciò, la morte non è un salto nel buio che determina un totale oblio; per il fedele essa trae giustificazione e prospettiva nella morte di Cristo grazie al battesimo che innesta in Lui. Così si diventa suoi coeredi. Figli di Dio, in noi rifulge “la speranza della beata risurrezione”; quindi, “se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. La vita, infatti, non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”. La commemorazione dei defunti acquista così indubbio significato: pregare per loro mantiene vivo il legame e consolida l’impegno ad imitare esempi e insegnamenti, preziosa eredità dei nostri cari. Così i cimiteri diventano luogo di grazia e non mera sistemazione dei corpi, simbolo per continuare a preservare il patrimonio di bene di chi vi riposa.
L.R.