Siamo in sala. Alla proiezione dei primi lungometraggi sembra già di toccare con mano realtà a cui normalmente non pensiamo. Le culture sono diverse. Eppure quegli esseri umani compiono le tue stesse attività. Incontri e scontri di pensieri. Ma soprattutto incontri di sogni e desideri, che ci uniscono tutti.
Si è conclusa domenica la ventiduesima edizione del Mediterraneo Video Festival. Il concorso internazionale sul paesaggio culturale – organizzato da Medfest Onlus, in collaborazione con la Regione Campania, il MIBACT e il Comune di Ascea – si è svolto dal 13 al 15 settembre presso Palazzo De Dominicis-Ricci, Ascea. ‘The way back’ è stato premiato come miglior lungometraggio. Dimitri Petrovic e Maxime Jennes raccontano la storia di Hussein Rassim, che arriva a Bruxelles nell’agosto 2015. Ha viaggiato per migliaia di chilometri dall’Iraq. Un anno dopo il suo arrivo, Hussein ottiene la carta di soggiorno e decide di tornare in Grecia. Da Bruxelles ad Atene, riviviamo il sentiero migratorio vissuto da lui e da migliaia di altri migranti. Mentre ‘El loco del desierto’ di Julieta Cherep vince il premio miglior cortometraggio. Racconta la vita e il progetto di Tateh Lehbib, un rifugiato saharawi, oggi riferimento internazionale in ingegneria. Definito “pazzo” per aver avuto un’idea formidabile. Costruire rifugi con bottiglie di plastica significherebbe non patire più il caldo e le tempeste di sabbia. Questo perché riempite con la sabbia agiscono da isolante termico.
Menzioni speciali hanno ricevuto, invece: ‘Chiudi gli occhi e vola’ (Julia Pietrangeli), la storia di Sabrina, donna cieca, che imparerà a pilotare gli aerei, scoprendo che tra le nuvole non esistono ostacoli e barriere; ‘Salviamo la faccia’ (Giulia Merenda), mette in luce come dopo una violenza subita – grazie all’autocoscienza e alla solidarietà – si può rinascere; ‘Mon amour mon ami’ (Adriano Valerio), racconta del legame di Daniela e Fouad, entrambi segnati da una grave dipendenza dall’alcool. Nonostante l’amore, il loro legame sembra vacillare, quando saranno costretti a sposarsi per avere un permesso di soggiorno.
Il MVF non è solo un concorso sul cinema documentario. È un incontro di culture, coscienze, sensibilità. È anche sorrisi, meraviglia, scoperta. È un incontro di nazioni e territori. Hai la possibilità di confrontarti con realtà, che probabilmente non toccherai mai. Attraverso quelle proiezioni li vivi, cerchi di conoscere, di non giudicare. Vorresti salvaguardarle, non distruggerle. Questo accade perché ne comprendi la purezza. Così, il racconto di quei territori, attraverso il cinema, la musica, l’arte è anche conquista. Conquista dell’abbraccio, dell’integrazione. Un abbraccio che sembra travolgerti. Ti travolge attraverso lo schermo. E attraverso lo schermo vivi quelle onde del mare, che falciano come schegge. Quelle onde accompagneranno i migranti per il resto della loro vita. Il festival ha proiettato, infatti, molti film sull’immigrazione. Parlando di quei minori – è il caso di ‘Io sono qui’(Gabriele Gravagna) – che spesso intraprendono un viaggio privi di protezione. Raggiunta l’Italia, riescono a viverci pur non avendo nessuno: «Ricordare tutto può far piangere, quello che ho passato è davvero terribile» – afferma uno di loro. Nonostante le sofferenze, la speranza è così grande da credere ancora in un futuro. Crederci è possibile grazie ai tanti volontari, come Nuria in ‘Bienvenus’ (Ana Puentes Margarito) che si battono per allontanarli dall’oscurità e dalla vigliaccheria.
Ampio potere anche all’arte e alla parola scritta. ‘La Tela’ rivela come mediante la creatività sia possibile liberarsi dalle gabbie fisiche ed esistenziali. Infatti, il pittore Salvatore Garau porta in un centro di detenzione una grande tela bianca, in modo che i detenuti possano conoscere la libertà.
Grande importanza si dà al sogno. È il caso di ‘One Girl’ (Rosa Russo) che racconta la giornata di quattro ragazze di differenti paesi che vivono nello stesso fuso orario. Pur molto differenti tra loro, svolgono le stesse mansioni. Soprattutto tutte loro posseggono dei desideri. Il desiderio di studiare, viaggiare, conoscere il mondo o fuggire da esso.
Il Festival è anche incontro di dolore, isolamento e solitudine. Criminalità e delinquenza le si incontra nelle periferie, abbandonate dalle istituzioni. ‘Briganti’ (di Fabrizio e Bruno Urso) è entrato in quei non-luoghi e ci lascia conoscere quei ragazzi che ci vivono. Violenza, dispotismo e fanatismo si incontrano, invece, in ‘Biserta. Storia a spirale’ (Michela Coppari e Francesca Zannoni). La città, in Tunisia, unisce alcune vite, come quella di Samar, che si allena per il prossimo incontro di boxe, ma per andarsene; o Mohamed, uno scrittore dissidente che ha vissuto le atrocità del potere.
Il Mediterraneo Video Festival è incontro di visi, di mani, di occhi. È ascoltare la parola dell’altro, conoscere i suoi pensieri, le sue paure, i suoi ideali. È incontrare culture diverse dalla nostra e non giudicarle. È musica, arte e parola. È incontro di registi, artisti, scrittori. È l’incontro di chi, mediante queste proiezioni, vuole smuovere le coscienze e renderci tutti un po’ più umani. È l’incontro di chi vuole spingerci al dialogo e salvaguardare le identità.