La risonanza magnetica e la TAC sono esami spesso prescritti come indagini di base come esami di diagnostica per immagini dettagliate e tridimensionale dell’anatomia di un distretto, ma differiscono per il principio di funzionamento. Nella TAC si sfruttano le radiazioni ionizzanti, o raggi X, che irraggiano attraverso un fascio, la porzione anatomica interessata colpendola con angolazioni diverse. Il fascio di raggi X che attraversa il distretto anatomico da osservare subisce un’attenuazione diversa a seconda del tessuto, organo o vaso colpito, ed attraverso appositi rilevatori, capaci di interpretare la modifica, si misura il grado di quest’attenuazione che viene poi tradotta in immagini. Questa tecnica viene impiegata soprattutto in campo neurologico per valutare eventuali emorragie, ma è sfruttata molto anche in campo oncologico nel diagnosticare e seguire l’evoluzione durante la terapia dei tumori. La risonanza magnetica sfrutta invece i campi magnetici per sviluppare l’immagine; tramite l’accensione di un grande magnete vengono prodotti questi campi che modificano l’orientamento degli atomi di idrogeno presenti nelle singole cellule dei tessuti, per poi tornare alle condizioni iniziale quando il magnete viene disattivato. L’energia emessa dalle cellule in questo passaggio, viene captata tramite i rilevatori e tradotta grazie ad un computer in immagini. Tra le due, la più sicura resta la risonanza magnetica, in quanto i campi magnetici a cui è esposto il paziente non sono dannosi per l’essere umano, per cui può essere ripetuta più volte nel corso della vita. Pur essendo le apparecchiature di ultima generazione più sicure, la TAC espone il paziente ad una certa dose di radiazioni ionizzanti che sono note per essere un fattore favorente lo sviluppo di tumori, perciò deve essere eseguita solo se strettamente necessaria.
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