So d’Acciaroli /sì nun ci si venuto/vienimi trova/brinderemo amor fraterno/’ncoppa sta ponta si conserva ancora Acciaroli/. La frase ce l’ha detta la signora Amina Fedullo, che ha scritto oltre 500 poesie e che le ricorda quasi tutte a memoria, basta che non gli date fretta.
Con la sua barchetta, Antonio Masarone, detto “Il Vecchio” per la sua serietà, rientrava in porto sospingendosi a braccia con i remi e trainando pesci spada più grandi sella sua barca, saraghi e cernie. I colleghi pescatori lo guardavano ammirati. E così anche Hemingway. Masarone abitava in una parte dell’attuale bar pasticceria “Meeting”, il locale più conosciuto della marineria acciarolese. “Per decenni – racconta l’attuale proprietario Gennaro Esposito l’ho sentito raccontare ai turisti la sua storia con il premio Nobel. Mai nessuno si è permesso di metterlo in discussione, La serietà della persona andava per antonomasia.
LA BARCHETTA DEL VECCHIO
Ernest Hemingway, grande appassionato di pesca d’altura, pendeva dalle sue labbra. Angelo Vassallo era poi il nipote del “Vecchio”, questa storia l’aveva vissuta direttamente in famiglia. Lo racconta sua madre Giuseppina. “Così come mio marito”. “Papa”, come lo scrittore americano si faceva chiamare, nel 1951 alloggiò, per oltre 20 giorni, all’hotel “La Scogliera”, quello che affacciava sul porto. “I Petillo [i proprietari dell’albergo] smentiscono? E che ne sapevano? Lo stavano a Salerno. La gestione era affidata al potentino signor Lombardi”, Servendosi della mediazione del pescatore Achille Di Matteo, che costretto a sette anni di prigionia post bellica in Inghilterra, un po’ di inglese lo capiva, intervistava gli abitanti. Alto, segaligno, bruno come un’aringa del Baltico, pescatore e oracolo, le sue parole erano saggezza e memoria. Prendeva un pugno di sabbia, lo stringeva alla maniera di una clessidra, poi ne lasciava lentamente cadere i granelli, sciogliendo il responso sulla meteorologia del golfo.
MASARONE, IL MAESTRO DEI PESCATORI DI ACCIAROLI
Mai presa una cantonata: il suo segreto satellite conosceva ’u niro, il nido dei venti, il corso delle onde, gli umori del cielo”. Poi se il vecchio marinaio che per più di ottanta giorni insegue il pesce che gli squali gli mangeranno è Antonio Masarone, come dicono a Pioppi o Gregorio Fuentes, pescatore cubano, come si è sempre creduto diventa questione secondaria. Nel frattempo accumulò materiali per quel romanzo che stava meditando nella testa e non sappiamo se quella frase struggente: “L’uomo non è fatto per la sconfitta”, mentre si prepara a combattere contro gli squali, ” si può uccidere un uomo ma non sconfiggerlo” l’abbia pensata durante il soggiorno cilentano oppure altrove. In queste parole c’è l’essenza della cilentanità. Il mare, a Pollica, dà ancora da vivere? Qui ci sono i pesci più grandi del mediterraneo. In mare ci vanno i campioni, gente che ha cominciato a dieci anni e ha smesso vicino al secolo di vita, come Antonio Vassallo. In estate i 2700 abitanti diventano trentamila e i venti quintali di rifiuti giornalieri, duecento, e un poco le sta cambiando i connotati. Nel porticciolo i pescherecci sono sempre di meno, messi in un angolo dai diportisti. Ernest vi ritrovò davvero certe atmosfere e certi tipi umani? “Era un vecchio, che pescava da solo in una piccola barca nella corrente del golfo… Il vecchio era magro e secco, con profonde rughe sul collo… Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi, e loro avevano lo stesso colore del mare ed erano vispi ed imbattuti. ” Nelle prime pagine del suo bestseller “Il vecchio e il mare“, questo è il pescatore Santiago, un vecchio cubano. Ma i cilentani sono sicuri che possa essere stato uno di loro. Masarone, per esempio. Hemingway è l’autore più richiesto qui a Acciaroli, ci racconta la proprietaria della libreria “La Leggenda”, e del “Vecchio e il Mare” dice di aver venduto centinaia di copie. “E non solo ai turisti”.
TEMPESTA AL LARGO
Oggi c’è tempesta al largo. E difatti, la nuvolaglia nera fila dritto verso sud, a debita distanza dalla terra delle “Cinque Vele”. Al contrario del fantasma di Ernest Hemingway, che si materializza all’improvviso, e torna a salire e a scendere gli scalini dell’albergo ”La scogliera”. Quell’albergo è ancora lì, a pochi metri dal mare. Ha cambiato gestione, ma tutto il resto è rimasto tale e quale a cinquant’anni fa. Tre piani, l’insegna giusto sopra l’ingresso, i grossi finestroni centrali dai quali si scorge un’ampia scala che si arrampica su per i pianerottoli. Papa, come affettuosamente si faceva chiamare Hemingway, avrebbe alloggiato al secondo piano, insieme alla quarta moglie, Mary, per una ventina di giorni. ”Vede l’ultima finestra a sinistra?”, dice la gentile anziana che ci accompagna allungando il braccio in direzione dell’albergo ”Quella è la stanza di Hemingway”. Peccato non poterla visitare. È occupata. Ma tutti dicono che anch’essa, a parte il letto e l’armadio, non è cambiata per niente. Papa il macho, il toreador, il soldato, l’inviato di guerra, Papa il beone è stato qui. La gente del posto ne parla senza che li sfiori l’ombra del dubbio. I giovani non ci credono, non credono ai racconti degli anziani. Eppure, parlano tutti per sentito dire, ormai. Chi lo ha, meglio ancora chi lo avrebbe conosciuto, è morto da anni. Tutti tranne uno.
ACHILLE DI MATTEO, IL TRADUTTORE DI HEMINGWAY
L’ultimo, zio Achille Di Matteo, ha consegnato i ricordi al figlio Antonio e alle nipoti. Sono i proprietari della pescheria “Da Clementina” e a “CrudArt”, sul porto. Girava in Vespa anche a una età veneranda età ed era stufo di rispondere alle domande dei giornalisti. La prima intervista l’ha rilasciata ai giapponesi, verso la fine degli anni ’50 e, da allora, ha ripetuto ostinatamente la sua versione dei fatti, senza cambiarla di una virgola. ”Se ne stava tutto il giorno sulla darsena, in attesa dell’ arrivo di noi pescatori. – ribadiva Zì Achille Di Matteo, occhi vispi e baffoni brizzolati e puntuti, il viso spaccato dagli schiaffi della salsedine – Quando ormeggiavamo, gettava via i sandali e s’infilava in acqua per vedere il pescato e sentire le nostre storie di mare. Poi tirava fuori un taccuino e si metteva a scrivere. Se ne stava tutto il giorno sulla darsena o davanti al bar del porticciolo con un bicchiere di qualcosa in mano. Non faceva che prendere appunti e bere e girare su e giù per la darsena. Lo stesso ha continuato a fare “O viecchio” dalla sua postazione dal bar Meeeting. ” Racconto convincente, in sintonia perfetta con l’immagine che di sé ci hanno lasciato Hemingway e quelli che l’hanno conosciuto, se non fosse che a conferma del passaggio dello scrittore ad Acciaroli non c’è uno straccio di prova. Né uno scritto, né una foto, né un accenno di Hemingway con chicchessia, negli anni successivi.
LA FOTO E IL LIBRO DI SEAN HEMINGWAY CHE VENNE QUI
No, una foto forse c’è: è in mano al figlio, ma oggi non c’è, lasciando nello sconforto i giornalisti venuti da Miami. Eppure, tra il novero di chi crede alla storia di Hemingway da queste parti si conta un nome al di sopra di ogni sospetto: Sean Hemingway, nipote dello scrittore, che nel luglio di tre anni fa, ripercorrendo le tappe italiane del nonno, puntò dritto sul Cilento, per visitare di persona il comune di Pollica-Acciaroli e, stavolta sì , lasciando un segno del suo passaggio: un libro di memorie di guerra del nonno con tanto di dedica a Zì Achille e firma in calce. ”Acciaroli non ha bisogno di alcuna pubblicità”’, rispondeva anni fa il sindaco Vassallo a Fernanda Pivano, icona italiana della Beat Generation nonché traduttrice di Hemingway in Italia, che dalle colonne di un quotidiano aveva decisamente negato la possibilità di un viaggio dello scrittore dell’ Illinois così in fondo allo stivale. Erano i giorni immediatamente successivi all’ultima iniziativa dell’amministrazione del centro cilentano in onore del suo ospite più illustre: un cartello all’ ingresso del paese sul quale spiccavano il volto barbuto dello scrittore e la scritta a caratteri cubitali ”Acciaroli, il paese di Hemimgway”. ”Fu la volta che la Pivano andò in bestia – ricorda a distanza di tre anni Domenico Palladino, consigliere comunale con delega al Porto – Eppure, io continuo a credere ai miei concittadini e alle parole di Zì Achille. Perché dovrei dar retta alle dichiarazioni della Pivano? Questo vi raccontano se passate da Acciaroli, uno dei gioielli del Cilento, dove la Campania si impasta con il resto del sud. Vi raccontano del pescatore che ispirò Hemingway, vi raccontano del vecchio e del suo mare, altro che Cuba, altro che Gregorio Fuentes, il vecchio era Antonio, “‘u viecchiu”, perché già da giovane aveva i capelli bianchi. Vi raccontano che qui, nell’estate del ’51, lo scrittore americano si fermò per dieci giorni. S’era invaghito all’epoca di una ragazza italiana. La moglie Mary intuisce il motivo della sua improvvisa partenza per Venezia e lo segue, s’imbarca con lui. Allora Hemingway lascia perdere, punta verso Napoli dove ha degli amici, rinuncia a visitare Pompei e si spinge in Cilento. E là si ferma. Attratto dai pescatori locali, dai loro racconti di mare, dalla “morca” d’olio che attaccavano alla barca per perlustrare meglio i fondali. Vi raccontano ad Acciaroli che Hemingway si fermava con loro a chiacchierare, con Ciccio Prota, Tanino ’u Ndilliano di Scario, Peppe Vassallo di San Marco, Miniello di Agropoli. Poi riempiva taccuini e taccuini di appunti, di parole, e dicono che qualche volta sul gozzo di Antonio Masarone sia salito pure lui.
“Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce”. Perciò Il vecchio e il mare sarebbe nato qui, davanti al mare del Cilento, dove oggi passano le bici del Giro. Volete le prove? E cosa contano le prove, se conta la leggenda? Giuseppe Recchia ci ha scritto un libro “Hemingway for Cuba”, ha raccolto testimonianze su quel soggiorno cilentano. La moglie che abbandona Ernst perché lo scopre invaghito di una ragazza del posto. Lui che insegna a un barista come si prepara il Martini alla Hemingway, senza oliva, il vermut che appena appena accarezza il ghiaccio. Lui che si dà alle casse di Amarone, portato con sé perché al sud non se ne trovava. Dicono sia ripartito per quello, perché il vino era finito.
Qualche anno fa il Mattino rintracciò un altro testimone, Achille Di Matteo, dava interviste sull’argomento pure ai giapponesi. ”Se ne stava tutto il giorno sulla darsena, in attesa dell’ arrivo di noi pescatori”. E poi un giorno Sean Hemingway, nipote di Ernst, in Cilento ci è tornato. A zi’ Achille ha regalato un libro di memorie di guerra del nonno, con dedica e firma. Solo che non c’è traccia di un’incursione di Hemingway in Cilento negli studi da filologa della materia di Fernanda Pivano. Cosa importa? I cultori della leggenda hanno spiegazioni anche per questo, il mito non esige filologia. I lavori della Pivano sono basati sui ricordi di Mary, e la moglie Mary figurarsi se ha voglia di ricordare Acciaroli, e il mare, e quell’altra. Questo replicano. Non è più bello semmai ricordare che Hemingway dormiva alla Scogliera? Un albergo-ristorante sulla spiaggia . Ultima finestra a sinistra, dormiva lì. Oggi l’albergo è in disuso, non ci sono fotografie dell’epoca, non ci sono ricevute del pernottamento dello scrittore. Ma a Verona ne avrebbero fatto lo stesso un altro balcone di Giulietta. Il marketing non bagna Acciaroli. O forse al marketing basta il mistero. E’ la spiegazione di 67 anni di silenzio e di rivendicazione educata di una storia bella e struggente. Venti giorni o più, nell’estate del 1951. Hemingway ha davvero conosciuto il Cilento. Nonostante le smentite di Fernanda Pivano. Lo raccontò più o meno così: “Raramente sono stato nel vostro sud. Solo una volta e per puro caso. Dovevamo visitare Napoli ed incontrare un gruppo di amici che non abbiamo visto e così ci siamo messi in viaggio verso Pompei e invece ci siamo ritrovati io e Mary ad Acciaroli, un paesino di pescatori, con facce abbronzate da un sole a scorza di limone. Ricordo di Acciaroli una bella chiesetta secolare, i tetti rossi delle case, il mare azzurro spumeggiante e un buon vino che non ubriaca. E poi. . . beh spero di rivederla presto”. Ernest Hemingway racconta all’architetto materano venuto a trovarlo a Cuba i suoi incontri nel sud dell’Italia. L’architetto vuole portarlo a Matera, per fargli visitare i Sassi, ed immagina un suo racconto o articolo che faccia conoscere al mondo quell’incredibile scenario. Il ricordo di quest’aneddoto è stato tramandato da Bobo Ivancich, nipote di quell’Adriana che fu uno degli amori italiani del grande scrittore. Di lei lo scrittore s’ innamorò pazzamente e con cui visse una tumultuosa (ma per alcuni solo platonica) storia d’ amore che segnò la Ivancich per sempre, fino a condurla a un tragico destino. Giuseppe Recchia è l’autore del libro “Hemingway for Cuba”, edito da Shakespeare & Company, dove la rivelazione centrale è che nel ’59 gli americani obbligarono lo scrittore, con le “buone maniere”, ad abbandonare Cuba. L’ambasciatore statunitense Phillip Wilson Bonsal esercitò un forte pressione sullo scrittore affinché si dichiarasse contrario alla Rivoluzione Cubana e a Fidel, fino a trasmettergli la minaccia di convertirlo in traditore se non abbandonava l’isola. Recchia, allora Hemingway scoprirà Acciaroli per puro caso. Per via di un incontro con la bella Ivancich che saltò… Incontro? No, era qualcosa di più… Hemingway aveva programmato una fuga con Adriana andata a monte perché ci fu un malinteso fra i due a causa della presenza inaspettata di Mary Welsh, la moglie, che non volle restare a Venezia. Il periodo doveva essere fra il mese di agosto e settembre del ’51. Fu così che si mise in macchina con l’autista degli Ivancich per una visita a Napoli perché invitati da nobili napoletani (non vi è riferimento a quali nobili, forse amici del conte Carlo Kechler). Ernest e Mary, arrivati a Napoli, hanno un secondo contrattempo. Non riescono a prendere contatto con i nobili napoletani. Ernest s’infuria e si rimette in viaggio a caso verso Salerno. Vanno a far visita a Pompei e poi scendono per stradine varie a Salerno fino a Battipaglia. Qui si perdono ed arrivano per strade impervie fino ad Acciaroli. Sarà Ernest e lo stesso autista che racconteranno l’odissea a Adriana Ivancich. Ernest, a sua volta, ne accennerà qualcosa durante la visita di Adriana e di Dora Ivancich a Cuba nel ’53”. E quel poco viene riportato fedelmente nel suo volume “Hemingway for Cuba”. Perché non se ne parlò mai più di tanto? E la Pivano s’inalbera pubblicamente?
“Non poteva certo Hemingway dire in giro a chiunque di quello che era accaduto con Adriana e del pacco che gli fu tirato dai nobili napoletani. Nel mio“Hemingway for Cuba”, ho dovuto ricostruire alcune scene della vita sulla base di molte testimonianze e fatti che mi sono stati raccontati. Ho dovuto agire a volte come un restauratore di opere d’arte e a volte come un bravo enigmista con l’intuizione per quelle piccole parti mancanti. Certamente Hemingway è stato ad Acciaroli e, conoscendolo, se è rimasto una decina di giorni, vuol solo significare che si è trovato bene, fu accolto bene e questo è certamente un merito della gente di Acciaroli che non lo ha lasciato andar via dopo poche ore, così come lui era solito fare quando non si sentiva a suo agio. Certo posso immaginare anche altre cose. Ma quel che più conta ora è che è reale e non una chimera la sua permanenza nel Cilento”. “L’unica cosa che si sa, perché è documentata, è che Ernest e Mary rientrarono a Venezia dopo una ventina di giorni, dopo viaggi e soggiorni. Si suppone quindi che furono più o meno una decina di giorni quelli passati ad Acciaroli”. Lei però non crede all’ambientazione cilentana de “Il vecchio ed il mare”. “E certamente qualche influenza sul romanzo “Il vecchio e il mare” ci potrà essere stata, Hemingway era uno che si annotava ogni cosa utile al suo lavoro letterario. Io non credo che fu “solo” un pescatore di Acciaroli a fare da “modello” per il personaggio di Santiago nel romanzo che fu alla base del successo del Premio Nobel”. C’è però la decisa presa di posizione di Fernanda Pivano, che più volte ha decisamente negato questo soggiorno cilentano di Ernest Hemingway…Molti dei fatti che riguardavano le sue relazioni extraconiugali facevano parte della cassaforte mentale dello scrittore. Se poi Fernanda Pivano avesse ammesso il viaggio al Sud del suo “amato” scrittore, avrebbe dovuto ammettere tante altre cose che Lei, Fernanda Pivano, si negava non solo per mancanza di conoscenza (il che può accadere a qualunque biografo) quanto per un autocensura per quel che riguardava in particolare Adriana. E questo accade soprattutto oggi, contraddicendo persino molte cose che ha scritto a proposito appunto della stessa Adriana”.