di Oscar Nicodemo
Domenico Monaco, da Trentinara: contastorie. È un ventinovenne artista della New Age cilentana. Sereno, allegro, estroverso, brillante e diretto come lo sa essere chi ha qualcosa da raccontare, lascia intravedere una vena creativa che fa leva su contenuti importanti, tanto intimistici quanto attribuibili ad una tradizione magnificamente popolare. Per quanto mi riguarda ho sempre distinto nei trentinaresi un’ironia sottile, talvolta tagliente, tante altre bonaria e ricreativa. Domenico, ne rappresenta un interprete genuino, che ben sa coniugare la naturalezza del racconto (re lu cunto) con l’accorgimento del ritmo della parola. Intrattiene in maniera leggiadra, con un intelligente approccio confidenziale, che man mano prende a scorrere in uno stile cabarettistico di chiara matrice dialettale, recuperando quell’atteggiamento apparentemente pacioso e rilassato dei vecchi contadini di una volta, quelli seduti davanti ai portali delle case nelle miti serate, intenti a raccontare aneddoti distensivi. È solo un ragazzo, ma in lui si scorge l’anima dell’emigrante, la postura fiera del mietitore, la poesia di chi vuole regalare una sana e salutare distrazione. Le sue performances danno autenticamente conto di una caratteristica narrazione paesana, borghigiana, campestre, che supportate da una elaborazione sapientemente moderna, danno la sensazione del “nuovo” attraverso il recupero del “vecchio”. Ecco, come il nostro artista si presenta:
“La prima volta che mi sedetti (sedecqui, sessi) a terra per suonare fu a Brema, in un fresco giorno di settembre del 2010. Non fu facile quando, pieno di esitazione, individuai un posto dove potermi posizionare. Non l’avevo mai fatto, ma poi pensai: “Ma che me ne fotte, so arrivato fi’ cca e me tiro arreto? Tanto chi le sape a chisti!” (Ma cosa mi importa! Sono venuto fin qui e proprio ora mi viene in mente di desistere?). Mi sedetti (secqui, sessi) e cominciai a intonare, con le mie non eccelse doti canore, un semplice “So nu craparo e so de le Cchiaìne (Piaggine)”. Il primo quarto d’ora fu quel quarto d’ora che non auguro a nessuno: nemmeno un euro ‘ngristo, nel tamburello che avevo messo a terra per le offerte. La prima cosa che riuscii ad ottenere fu una busta di plastica vuota, sapientemente messa là dentro da un barbone figlio di ‘ndrocchia, quasi a volermi dire qualcosa del tipo: “Ne’ ‘uagliò, ma che bbuò cunchiure? Chesta è zona mia! (Ehi tu ragazzo, ma cosa pensi di fare? Questo è il mio territorio). Poi cominciarono ad arrivare le prime monete dei passanti, e la mia autostima cresceva di pari passo agli euri dentro al cuonzo (contenitore). La gente cominciava a fermarsi, forse colpita dalla lingua neolatina, o come diceva Giovanni, perché stava ascoltando la melodia che aveva sempre cercato e mai trovato. Una ragazza mi chiese: “Ist das portugisisch? (E’ portoghese?), e io pensai: “Ma si mo te l’aggio ritto ca so de le Chiaine!”. “E’ musica tradizionale del Sud Italia”, risposi. Era una giornata ventosa e un altro uomo, con aria da maniaco sessuale, si fermò a fissarmi per 10 minuti, mentre io pensavo “Ma che bbole chisto mo? (Cosa mai vorrà da me, codesto uomo?). Poi mi sorrise, si avvicinò, e mise 10 euro nel tamburello: io dissi grazie, e non appena lui fu abbastanza lontano, lassai re sunà e me feccai li sordi inda la sacca, sinò se le futtìa lu viento (Riposi la banconota in tasca, onde evitare che volasse via col vento). Il terzo fu un signore siciliano: si fermò, si sedette (secque, sesse) al mio fianco e cominciò a parlarmi degli interminabili anni vissuti in Germania, “una terra che mi ha dato tanto, ma che comunque non è casa mia”. Dopo avermi parlato dei suoi figli, mi regalò una barretta di cioccolato. Poi sparì, come tutte le persone, incontrate solo per qualche minuto, ma mai inutilmente. Il primo giorno da Strassenmusikant guadagnai una trentina d’euro, che andai subito a spendere in una locanda che avevo puntato, recandomi “sul posto di lavoro”. Fu quello il mio svezzamento all’arte di strada.
Io mi presento come artista completo al 66-67%, contastorie e non cantastorie perché devo ancora imparare a cantare. Non artista, ma evangelista di trentinaresità: con la mia chitarra porto in giro l’essenza, gli aspetti più piacevoli della cultura, in cui sono cresciuto, nella quale, dopo un po’ di peregrinaggio, sono voluto ritornare, perché dà un senso alla mia vita”.