I borghi della Valle del Calore, come conchiglie sulla battigia, vengono spesso abbandonati e lasciati in preda ad uno spopolamento selvaggio. In estate vivono il loro momento di apparente gloria, con sagre, feste, attività di promozione del territorio e quant’altro, ma dai primi scampoli di settembre in poi, il nulla. Lo spopolamento si può addurre ad una miriade di ragioni, le più interessanti e significative di carattere lavorativo e socio-economico, data l’emigrazione robusta di molti autoctoni dal proprio borgo natìo. Ma quando invece l’abbandono è vero, reale e tangibile e diventa la cifra costituiva e il tratto pregnante della fisionomia di un paese? Stiamo parlando di Roscigno Vecchia: la sua storia è tanto affascinante quanto suggestiva, e nel ripercorrere la storia del suo abbandono e dei suoi tratti caratteristici si rimane ammaliati nel rendersi conto delle vicissitudini del borgo fantasma. La storia di frane e alluvioni di Roscigno è nota a tutti gli abitanti dei paesi limitrofi, che nel corso dei secoli hanno sempre osservato la riedificazione progressiva del cosiddetto “paese che cammina” (appellativo che Roscigno si è conquistato per via della sua mobilità): è stato riedificato e ricostruito per ben tre volte, nel corso del 1600 e del 1700. Nel 1776, nella zona interessata dalla frana in località “Molinello”, si formò un piccolo laghetto a causa della forte depressione del terreno, il signore Mazzeo Francesco pensò di tuffarsi per misurarne la profondità, ma si persero le sue tracce per ben otto giorni, dopo dei quali venne ritrovato il suo cadavere.
Roscigno Vecchia, ad oggi è completamente disabitata per via dei pericoli dati appunto dalle diverse frane, e la popolazione negli anni è migrata a Roscigno Nuova: il centro storico di Roscigno Vecchia cominciò a svuotarsi attorno al 1902 per via di ordinanze da parte del genio civile (la legge speciale n. 301 del 7 luglio 1902 e la legge n. 445 del 9 luglio 1908). L’unico abitante rimasto è Giuseppe Spagnuolo, di cui siamo già occupati, che trascorre le sue giornate da ultimo rivoluzionario abitante (dopo la morte di Dorina, ultima residente) e facendo da guida a tutti i turisti incuriositi da questo borgo fantasma. Ogni sasso, ciottolo e sanpietrino che percorre le vie di questo luogo fantasma sa di solitudine, di millenni passati e di secoli che non si ripeteranno più, e che tramandano la memoria storica di un borgo che è rimasto spogliato dei suoi abitanti per ragioni naturali, come un corpo invecchiato che ha dovuto abbandonare le sue funzioni. Ma la vita continua a ribollire nelle viuzze, una vita smaltata e dipinta di solitudine, che si affida al vento e che continua a narrare le sue storie per bocca di Giuseppe. Spesso i borghi disabitati raccontano più storie e incrementano la cultura personale rispetto a qualasiasi sagra ed avvenimento culturale strictu sensu, perché aggirarsi tra le vie deserte e contemplare l’aria vuota, come un simulacro spoglio, è un’esperienza che lascia nell’anima un impatto più forte e distruttivo di qualsiasi parola ben spesa e confezionata.