di Manlio Morra
Serata di grande interesse culturale quella svoltosi sabato 19 marzo a Vallo della Lucania, come capita ormai sempre più di rado. Un pubblico numeroso si è dato appuntamento nella sala attrezzata comunale per sentire parlare di storia. Rallegra che, nella pigrizia intellettuale dei nostri tempi, appiattito sul presente, la storia possa ancora appagare la curiosità di non pochi. L’occasione era la presentazione del volume, curato da Luigi Rossi, Notizie storiche intorno alla Baronia di Novi Velia e della città di Vallo della Lucania pel Canonico Arcip. D. Giovanni Maiese delegato della Curia vescovile di Vallo – 1911, vol. II.
Stampato per i tipi dell’Edizioni del Centro di Promozione Culturale per il Cilento di Acciaroli, il volume reca un titolo di altri tempi che svela quasi per intero il contenuto delle sue circa 230 pagine. Si tratta, infatti, di un manoscritto inedito risalente agli inizi dello scorso secolo che riporta una versione provvisoria delle ricerche storiche composte dal sacerdote vallese nel corso dell’intera sua vita. È una sorta di antefatto rispetto alla versione successiva, più ampia e più matura, degli scritti storici del Maiese già pubblicata più di trent’anni fa nel volume ormai introvabile Vallo Lucano e suoi dintorni, raccolta di notizie storiche, pubblicato dallo stesso curatore. A distanza di decenni, Rossi ritorna sui luoghi del suo primo lavoro per completare un percorso rimasto sospeso.
I relatori Luigi Labruna, Armido Rubino e Antonio La Gloria ne hanno discusso col curatore, confrontandosi sugli aspetti più diversi del testo. Labruna si è ampiamente diffuso sulle suggestioni richiamate dalle dense pagine del canonico, in un discorso sviluppatosi tra storia e memoria, tra eventi collettivi e ricordi personali. Mentre Rubino ha rimarcato l’impegno storiografico e civico di Maiese tradottosi in un grande sforzo di conservazione della memoria e ha individuato pari impegno nel lavoro del curatore, anch’esso volto a trasmettere la memoria racchiusa nelle inedite carte. La Gloria ha puntato la sua attenzione sulla personalità dell’arciprete, riscontrando in lui un uomo dai molteplici interessi letterari ed artistici, come ha ritenuto di poter sostenere dal confronto tra le due versioni dei suoi scritti. Entrambi hanno rimarcato il valore identitario della conoscenza storica, che è il vero lascito del canonico Maiese, ancora intatto a oltre cento anni dal manoscritto e a quasi 90 dalla sua morte.
L’interesse del volume, in effetti, sta tutto nel suo valore documentario, nella capacità di un prete provetto ricercatore di compiere un’operazione di recupero di un’enorme massa di dati storiografici sparsi in archivi pubblici e privati del suo tempo; dati e archivi già in gran parte perduti o di difficile reperibilità per l’incuria e il tradizionale disinteresse verso il passato nei nostri territori. Lo ha bene evidenziato Rossi quando, pur rimarcando la scarsa capacità del sacerdote di compiere una ricostruzione storica di ampio respiro e di inserire le dinamiche nel contesto generale, ha parlato di un lavoro divenuto documento, tanto più prezioso quanto maggiore è stata la dispersione archivistica negli anni che ci separano da lui. Pur peccando di orgoglio municipalistico, pur non riuscendo mai a spogliarsi dei suoi panni di sacerdote, né a uscire dai limiti cultuali del suo tempo e della sua mentalità, che lo inducono a cercare negli uomini illustri e nelle famiglie più rimarchevoli il passato del suo paese e della baronia piuttosto che nelle dinamiche economiche e di ceto di lungo periodo, Maiese coglie le cause che hanno influito sulla storia della valle di Novi soprattutto nel ‘700 e nell’800 e che sono all’origine delle condizioni novecentesche ed attuali. Attraverso l’amore o il documento, per il suo paese, per il passato, egli lascia a noi suoi posteri, un messaggio di passione civile e di partecipazione sociale. Nelle sue conclusioni, il curatore ha invitato a riflettere sul fatto che spesso nel nostro territorio sono stati quasi solo i sacerdoti a lasciare scritti, diari, documenti, storie e testimonianze di un passato altrimenti perduto. In questo ruolo di “custodi della memoria” si evidenzia il tentativo di lasciare una traccia vitale di una terra che non era, né è, la terra dei tristi, dei briganti, degli straccioni emigranti, degli orridi e impraticabili luoghi descritta da una secolare pubblicistica, ma una terra di uomini che hanno curato se stessi e salvato la memoria di tutti nell’assenteismo di molti notabili locali.