In un documento del 1869, recentemente recuperato, la compagna di Gaetano Tranchella denuncia un mugnaio, un prete, la locandiera ed il possidentedi Oreste Mottola Francesca Cerniello era povera ma bella. Analfabeta e contadina. Così raccontano le carte dei processi. E a ventott’anni è ancora senza marito, fatto singolare dei tempi di quando già a diciotto anni si era considerata zitella. Dai briganti, che avevano trasformato il bosco di Persano nel loro Supramonte, la conducono delle amiche dalle quali raccoglie l’invito – sfida “ad andare a conoscere” quegli uomini così temuti che qualche volta, di notte, si spingevano fin dentro l’abitato di Altavilla. Avevo già descritto il suo profilo nel mio libro “I paesi delle ombre”. Ora, grazie alla collaborazione dello storico Giuseppe Melchionda, aggiungo la sua “confessione”, resa dopo cinque anni dopo la cattura, che apre squarci nelle complicità che gli assicuravano quattro “eccellenti”: un mugnaio di Postiglione, Biagio Vecchio; un parroco di Castelcivita, don Giuseppe Vincenzo; una locandiera di Scorzo, Concetta Campagna; e Sabato Chiaviello, ricco possidente di Serre. Francesca eviterà di fare i nomi dei suoi compaesani o di altri briganti “semplici”. Quest’ultima circostanza gli permetterà, ormai in tarda età, di tornare nel suo paese, e di trascorrervi la vecchiaia. Dove ritrova la figlia Gaetana. Francesca Cerniello è l’amante di Tranchella, ma nelle carte lei si definisce “sposa”, pur senza averlo mai potuto sposare ufficialmente. In altri verbali è chiamata concubina o druda. La Cerniello, da noi detta Francesca “di Costa”, forse per la zona del paese dove era andata ad abitare, dove sin dal settembre del 1863 seguì il Tranchella e già il 13 dello stesso mese, nel bosco di Persano prese parte attiva ad uno scontro con un drappello di fanteria e con militi della Guardia Nazionale d’Altavilla: alla prima scarica di fucileria, segui uno scontro a corpo a corpo, con i calci delle pistole e dei fucili. Le grida ed i lamenti dei feriti riempivano l’aria di quella limpida giornata settembrina. Dopo il primo scontro, i briganti si dileguarono nel folto della boscaglia, come nebbia al mattino con la forza pubblica non riuscì più a rintracciarli. Nel giugno del 1864 la Cerniello custodì persone danarose di Altavilla che erano state sequestrate e per le quali aspettavano che fosse pagata la taglia per il rilascio. Era una donna molto ben voluta da Tranchella. di cui godeva la massima fiducia e simpatia. Era rispettata e temuta dai briganti, i quali la consideravano la loro padrona. Una volta “non contenta dei molti doni che il Tranchella le faceva, tra i quali v’era una collana d’oro che una famiglia dovette mandare ai briganti per ottenere la liberazione di un sequestrato, essa mandò a dire alla moglie di questi che voleva anche la collana d’oro che portava la signora di Antonio Marruso, pur essa di Altavilla”. La Cerniello stette con la banda per ben quindici mesi e non si allontanò se non quando fu ucciso il Tranchella. Incinta di lui, dette alla luce una bambina che volle chiamare Gaetana. Dopo l’uccisione del capobanda, essa si presentò alle Autorità ufficialmente spontaneamente, nei fatti spinta dal prete di Castelcivita. Di questo suo comportamento, assieme al fatto di “essersi data al malfare spinta alla miseria in cui versava” ne tennero conto i giudici nel processo a suo carico. Le altreA 15 anni di lavori forzati, come la Cerniello, furono condannate le altavillesi Giuseppa Cantalupo, Anna Rocco, Giuseppa e Carminella Arietta, le quali furono sorprese il 17 ottobre del 1863 mentre si recavano nel bosco di Persano, portando limoni, prugne, mele ed altro al capobanda ammalato Tranchella, avendone avuto incarico il giorno precedente. Queste donne erano, secondo quanto risulta dagli atti processuali, dedite alla prostituzione ed erano state viste più volte da Marchese Giovanni in “epoca non ben precisata dello scorso mese unite a sei briganti che erano sortiti dal bosco di Persano e che al punto, detto Pilato, avevano predato un montone, e che quindi insieme alle dette donne rientravano nel Bosco, traducendo l’animale predato, per banchettare dopo averlo cucinato”. A Persano furono arrestate e poi condotte nel comune di Altavilla. In seguito ad una perquisizione nelle loro case, vi furono rinvenute due lettere inviate alla Cantalupo da Gennaro Rubbino, soldato sbandato, che aveva già fatto parte di una comitiva armata che infestava il territorio di Altavilla nel 1861 e che si trovava allora nelle carceri. Anna Maria Polito, fu Gaetano, contadina, condannata per “esser si prestata non solo a soddisfare i loro piaceri carnali, ma eziandio a cucire, rattoppare e lavare loro la biancheria”. Fu condannata a cinque anni di reclusione perché i giudici considerarono che a “tale mestiere infame fu quasi indotta dai mali trattamenti del marito e dalla miseria in cui versava”.La “parlata” di Francesca “Francesca Cerniello, fu una fiancheggiatrice importante. Figura di primo piano dell’universo femminile che ruotava attorno a Gaetano Tranchella ed alla sua banda”. Così la descrive Giuseppe Melchionda, storico di primo piano degli Alburni, autore di romanzi e saggi, ricordiamone alcuni, “Ladro di cuori” e “Cafoni in rivolta”, sempre rivolti al periodo dell’unificazione italiana e del brigantaggio..”Sì, non era una ragazzina che si prende la sbandata romantica”. Dopo la cattura, indotta a presentarsi dal prete Giuseppe Vincenzo, che così se la “vende” alle autorità piemontesi, resta cinque anni in carcere. Il sacerdote in quegli anni fa il doppio gioco, usa spregiudicatamente un salvacondotto per muoversi liberamente fra Castelcivita e Persano. Don Giuseppe Vincenzo si prende le sue private vendette quando fa ricattare “donna Cecchina”, proprietaria di vacche nella montagna di Castelcivita, e soprattutto – con il pretesto di gestire una sorta di cassa comune – si intasca i bottini della banda Tranchella. DICHIARAZIONE del 28 luglio 1869La dichiarazionde la raccoglie Vincenzo Damiano, all’interno del carcere di Montelupo Fiorentino. “I miei genitori e parenti mi hanno abbandonato. Sicché non ho altra speranza che nell’aiuto della Vostra Signoria Illustrissima. Chiedo di poter ottenere una diminuizione della pena. Perciò supplico di poter rivelare i nomi di alcuni dei manutengoli del brigantaggio che io conosco”. E continua: “Sono Francesca Cerniello, figlia di Carmine. Ho circa 34 anni. Sono nata e domiciliata ad Altavilla. Sono nubile e facevo la contadina. Sono stata per un anno con i briganti che scorazzavano nella mia provincia. Ed ero l’amica del capobanda Tranchella, che fu poi ucciso. Sono in grado di dire il nome di alcuni che si prestavano a nostro favore. Premetto però che sono ora circa cinque che sto in carcere come condannata a 15 anni di reclusione per brigantaggio e non so se attualmente saranno viventi le persone che andrò a nominare e se siano stati già arrestati per i delitti che accennerò ed altri commessi di poi. Faccio questa premessa perché non si creda che io voglia ingannare la giustizia, semmai le mie dichiarazioni non potessero dare utili risultati. Conobbi, quado stavo con Tranchella, un certo mugnaio che ha nome Biagio Vecchio, abitante a Postiglione. Costui, oltre a partecipare alla preda che faceva la banda Tranchella, indicava anco chi si doveva ricattare. Fu questi che fece prendere il prete di Albanella, uno sposo ed una sua sorella, e certo Benedetto, sarto, del quale non so il cognome, mentre tornavano da Salerno dov’erano stati a fare la spesa per il matrimonio. Questi venni a conoscere perché io con alcuni componenti della banda avevo più confidenza del Tranchella stesso. Egli mi diceva che Biagio era una buona spia, o per servirmi di una sua espressione, una spia serrata. Questo Biagio una volta si è vestito anche da brigante ed io gli detti il mio fucile e cappello e prese parte al ricatto dei signori Raffaele Contini, Carlo Guarino e Giuseppe Olivieri, che fu eseguito nella chiesa del Bosco di Persano. Uno dei manutengoli che erano a noi più fedeli, per quanto mi ricordo, era un certo Sabato Chiaviello, proprietario alle Serre, presso di cui furono depositate diverse casse di roba portate via a certo Guarnaldi e contenenti più che altro fucili, polveri, munizioni e vestiario. Questa roba fu portata via a Guarnaldi da certo Carmine Romano, del paese della Rocca che fece brigante e che fu poi condannato a 15 di anni di carcere. Oltre a questi tali ho da segnalarvi don Giuseppe Vincenzo, che è un prete che stava a Castelluccio, che veniva sempre a trovare la banda e l’incoraggiava a proseguire nelle scorrerie dicendoci che presto sarebbe cambiato Governo. Egli ci recava del mangiare, ci portava fucili e li aggiustava, ci faceva la spesa e ci prestava suoi altri servizi. In nessun caso sono stato a casa sua, fu lui che mi presentare al Prefetto di Salerno. Quel prete istigò la banda a ricattare donna Cecchina che tiene le vacche nella montagna della Castelluccia. Quando poi fu rubato dai briganti don Gennaro Ricci, del mio paese, essendo stato ricattato assieme ai figli, un anello fatto con lamine e tre pietre fu dato a detto don Vincenzo perché ne facesse fare dei compagni giacché era molto piaciuto ma egli se lo ritenne dicendo che lo voleva come ricordo del capo della banda. Venne poi arrestato e ci raccontò di essersi liberato promettendo che ci avrebbe fatto costituire. Ma non si adoprò per questo. Mi rammendo anche che una certa Concetta Campagna che abitava allo Scuorzo, vicino al luogo detto La Duchessa che teneva bettola ci provvedeva di tutto il necessario. Ci stirava e lavava la biancheria, questo mi raccontavano i briganti che una sera volevano condurre anche me da costei. Un certo Antonio Viggiano, di Postiglione, che ha una vistosa cicatrice sul viso, ci teneva mano, avvisando quando veniva la forza. Fu lei che ci supplicò di ricattare don Pietro Mottola, parimenti di Postiglione, quando questi decise di andare a prendere moglie ad Altavilla”.