Il recente festival di San Remo è parso a molti una gara senza pathos. Ha coinvolto una pletora di personaggi ed i più si sono segnalati per scemenze musicali emerse nel pallido luccichio televisivo. Tutti sembravano impegnati a conquistarsi l’attenzione del pubblico ricorrendo ai più sbracati travestimenti tra i quali il lauro va assegnato a chi ha imporporato di rosso sangue delle rose appiccicate sul petto villoso. Le grandi aspettative della vigilia hanno deluso e la disperazione del tutti a casa non è stata per nulla edulcorata. Non è emersa un’idea capace di ricoprire in vuoto, evidente non solo per l’assenza di spettatori nel teatro. Alla fine della estenuante maratona è rimasto ben poco, mentre la qualità delle canzoni proposte ha suscitato perplessità perfino nei vincitori, i quali nella loro prima intervista hanno manifestato sorpresa per la vittoria di un “tale” canzone!
Come capita ogni anno, si sono accavallate le polemiche, alle quali questa volta si è affiancata la presa di posizione del vescovo di San Remo, che ha denunciato le blasfeme manifestazioni di derisione nei confronti della fede cristiana con una costosa ed inutile epopea della volgarità. La televisione di Stato ha toccato il suo livello più basso non solo per il tricolore buttato a terra, ma per l’insulso primo piano di una corona di spine in testa, per la gratuita esibizione di un vestito da Madonna. Né sono riusciti a porre riparo a tanto sfascio alcuni testi, come quello che riassume il dolore di una famiglia per la perdita del padre con l’invito di creare attraverso l’arte nuovi mondi.
E’ un auspicio non solo condivisibile, ma deve impegnare tutta la società per porre riparo alla catastrofe educativa che si sta prospettando, denunciata con forza da papa Francesco. Non si può rimanere inerti. Dopo la scossa determinata dalla pandemia, l’unica alternativa è la riscossa. Gli adulti, qualunque sia il loro ruolo, devono operare in sinergia per coinvolgere come protagonisti giovani, ragazzi, bambini. Di conseguenza, il mondo della scuola deve sollecitare un gioco di squadra in grado di prevenire ogni rischio di emarginazione.
In questa quaresima, forzatamente divenuta una quarantena, la conversione sollecitata deve prevedere anche un nuovo e globale patto educativo per porre riparo alla condizione di tanti adulti ancora immaturi, i quali trascinano la loro esistenza senza responsabilità. Così i ragazzi ed i giovani si sentono più soli nell’affrontare le paure del futuro e controllare gli impulsi che sperimentano nel processo formativo. Occorre riscoprire la gioia di essere educatori, pur consapevoli dei conflitti, delle lotte, di cadute e ripartenze, di questa missione gustare l’altruismo, il disinteresse, la lungimiranza tessendo dinamiche reti relazionali rispettose delle diversità, quindi in grado di arricchire tutti perché, come ha testimoniato in papa nel recente viaggio: “Il mondo si cambia con la forza delle Beatitudini”.
Queste beatitudini sono a nostra portata se viviamo il tempo liturgico. E’ vero, non sempre evoca significati e sentimenti positivi. Ad esempio, si usa l’espressione “lungo quanto una Quaresima” per indicare la lentezza con la quale passa il tempo in situazioni poco piacevoli e certamente non è un complimento dire a qualcuno “mi sembri una quaresima”. Eppure per i cristiani è un periodo privilegiato. I fedeli sono invitati ad un pellegrinaggio interiore per incontrare la fonte di tutte le misericordie. Per questo si consiglia di fare deserto interiore per ritrovare se stessi e iniziare una nuova relazione di pace con gli altri. Il deserto, luogo di pericoli e di paure, si trasforma in un progetto di salvezza perché Gesù difende dal tentatore. Siamo invitati a vivere questo tempo come rinnovato vigore per testimoniare al mondo la verità di Cristo. La Chiesa intende educarci e propone la praticare del digiuno, l’elemosina e la preghiera, propizia occasione per confrontarci con Gesù e comprendere che non conoscerlo è la prima povertà dei popoli. L’acquisizione di questa dimensione dello spirito induce ad evitare l’errore di ritenere prioritaria soluzione di tutti i problemi il mutamento delle strutture esteriori invece di sperimentare la misericordia di Dio, riconciliazione che fa incontrare lo sguardo di Gesù pronto a scrutare nel profondo del cuore per restituire fiducia.
Per quaranta giorni, fino a Pasqua, si è invitati a pregare, per lottare contro i condizionamenti del male, e alla condivisione. La Quaresima è, quindi, kairos per accogliere il Vangelo ed alimentare la fede con la Parola, convinti che non si vive di solo pane. L’invito è seguire il percorso indicato dal vangelo nelle cinque domeniche è sintetizzato dell’andare nel deserto con Gesù, trasfigurarsi col messia, medico misericordioso e fedele servo di Dio. Così Gesù Maestro si fa chicco di grano per produrre frutti fecondi e sfamare l’umanità.
Nel deserto Gesù ha una duplice esperienza: incontra Dio ed è “messo alla prova” dall’avversario per eccellenza dell’Amore. Qui egli coabita con le fiere ed è servito dagli angeli, richiamo evidente alla condizione di Adamo prima del peccato. In seguito, dopo l’arresto di Giovanni, cosciente che il tempo è compiuto, inizia la missione ed annunzia che il Regno, al quale tutti sono invitati, è vicino. Gesù invita alla conversione nelle parole e nelle opere, all’atto di fede non solo come convinzione intellettuale, ma come manifestazione di fiducia e dedizione personale.
Tutto ciò abbiamo potuto meditare nella prima domenica di Quaresima. Nella seconda la liturgia ha invitato a riflettere sulla Trasfigurazione. Gesù sceglie tre testimoni per fortificare la loro fede. E’ interessante considerare la psicologia di Pietro, Giacomo e Giovanni e il ruolo avuto da ciascuno di loro dopo la Risurrezione. Una particolare attenzione va prestata ai simboli per comprendere meglio il passo. Il monte è il luogo per eccellenza della manifestazione del Signore. Le vesti bianche stanno a significare la partecipazione alla gloria divina. Elia è il grande profeta e Mosè il mediatore che ha concluso l’alleanza. La nube nell’Antico Testamento accompagna sempre la manifestazione di Dio. “Figlio prediletto” è l’espressione che si ascolta anche nella teofania del Battesimo. Col passare del tempo i tre compresero come ci si prepara alla morte e soltanto con la resurrezione si ha la piena dimensione della fede. Seguiamo il cammino degli apostoli fino al Tabor, un luogo appartato che richiede una salita faticosa; ne vale la pena perché si scopre che Gesù, uomo come gli altri, è il Figlio che bisogna ascoltare.
Domenica scorsa siamo stati invitati a riflettere sull’edificio di culto degli Ebrei, dove la gente vende e compra per offrire sacrifici. Gesù non può tollerarlo: è venuto per purificare questa pratica. Egli rappresenta il nuovo tempio, dove è chiamato a svolgere la funzione di sacerdote e di vittima; fonda questa sua pretesa sulla morte e la risurrezione, la Pasqua, appunto, atto salvifico e nuovo culto della umanità.
Nella quarta domenica è Nicodemo a sollecitare di notte l’incontro con Gesù. Questi lo invita a riflettere sulla necessità di rinascere per entrare nel Regno. Il passo evangelico mostra la funzione redentrice del Cristo e la dinamica del Giudizio, che si compie concretamente ogni giorno scegliendo tra tenebre e luce.
Con la quinta domenica si giunge alle soglie della Passione. Gesù arriva a Gerusalemme ed alcuni Greci chiedono di vederlo, disposti a credere in lui più degli ebrei. Il Maestro annunzia loro la sua glorificazione richiamando la parabola del chicco applicata a se stesso ed ai suoi seguaci; intanto, si prepara interiormente all’esperienza della Passione. Egli prova una sensazione di turbamento, che però non mina la sua sconfinata fiducia nella preghiera, cosciente della portata salvifica del suo sacrificio.
Quindi, nella prima settimana ci ha accompagnato l’immagine dell’arcobaleno che sembra unire cielo e terra, annunzio di pace per la fine del diluvio ed il ritorno del sole. L’irruzione luminosa di Dio nella storia, sorriso del Signore che bacia i battezzati, chiama a vita nuova. I cristiani devono rinvigorir la propria professione di fede; proiettati verso un mondo nuovo, portare germi di rinnovamento. L’appello quaresimale si concretizza nell’impegno di amore fraterno; con gesti di solidarietà occorre dimostrare che la conversione è una esperienza innanzitutto comunitaria.
Non si tratta di compiere azioni eclatanti o elaborare complessi propositi. Papa Francesco li ha riassunti in gesti semplici ma colmi di carità. Riempiamo queste settimane di sorrisi per esternare la nostra gioia, salutiamo calorosamente le persone che incontriamo, diamo loro ascolto, pronti a portare aiuto in caso di bisogno per rianimare la fiducia in chi l’ha perduta. Generosi nel riconoscere senza invidie i successi degli altri, se necessario manifestiamo finezza nel correggere chi ci vive accanto, soprattutto aiutiamoli a superare gli ostacoli evitando l’uso di parole negative e non gentili, sostituendo al malcontento la gratitudine, controllando la rabbia per far prevalere la pazienza. Così si supera ogni conato di pessimismo che aumenta le preoccupazioni e insidia la fiducia nella provvidenza, pronti al perdono che riconcilia e ci fa sentire figli di Dio rendendo veramente proficua la Quaresima.
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