di Giuseppe Liuccio
Spartaco, gladiatore trace, nel 73 a.c. capeggiò la seconda guerra servile. Vinto da Marco Licinio Crasso, nella battaglia decisiva nella gola di Tremonti tra Capaccio, Trentinara e Giungano, morì nel 71 a.C. I sindaci della Kora Pestana con il “Patto del Fiume” puntano ad una progettualità di ampio respiro, di cui mi sono occupato ampiamente con riflessioni articolate nelle settimane scorse. Ritorno sul tema, perché la progettualità d’insieme, che coinvolge i comuni di Trentinara, Giungano, Capaccio Paestum, Cicerale, Ogliastro Cillento ed Agropoli, potrebbe segnare una svolta epocale per un vasto territorio che dalla pianura trasmigra, scollinando, verso le zone interne. Ritorno sul tema, perchè il tutto si muove anche nel segno della CULTURA, che trova nel liberto/eroe il punto di riferimento e perché sul progetto c’è anche la firma/garanzia dell’uomo forte, di idee e di determinazione, della Regione Campania. Franco Alfieri,l’unico sul quale il Cilento pone fondate speranze per una soluzione rapida dei suoi annosi problemi. Riprendo, perciò, una mia vecchia Lettera Postuma al liberto rivoluzionario, che è pubblicata nel mio romanzo/epistolario:TERRE D’AMORE:CILENTO E COSTA D’AMALFI, ma che torna di scottante attualità, alla luce della VIA DELLA LIBERTA’ e del PARCO DELLA LIBERTA, oltre che del PREMIO INTERNAZIONALE “SPARTACO”, che mi sono permesso di suggerire ai sindaci di Trentinara e Giungano, come responsabili giuridicamente del demanio in cui secondo la leggenda, sostenuta da pagine di storia,il liberto/rivoluzionario combattè la sua ultima eroica battaglia, e che quelle idee/progetto hanno entusiasticamente fatte proprie
Caro Spartaco,
facesti tremare tutta Roma, quando, nel 73 a.C., alla testa dei gladiatori partisti dalla postazione di Capua con l’intento di riscattare le classi più umili e desti anima e corpo alla rivolta, che reclamava giustizia e protagonismo sociale per gli uomini relegati al ruolo di schiavi senza la benché minima dignità umana.
Ci aveva provato prima di te Euno.Fallì, sopraffatto nelle battaglie di Enna e Tauromenio, e pagò con la vita la sua generosa battaglia di emancipazione sociale.
Ci riprovarono i Gracchi, Tiberio, prima, e Caio, poi, contestando ragioni e voracità delle classi abbienti, che, in nome del diritto dei potenti, difendevano con le unghie e con i denti, oltre che con discutibili norme legislative volute ed imposte dalla classe senatoria interessata e complice, se non addirittura asservita ai poteri forti dell’economia (nulla di nuovo sotto il sole ieri come oggi!), gli immensi latifondi illecitamente acquisiti e cinicamente amministrati. E, alla malora i diritti al lavoro ed alla vita dei più deboli! Suscitarono entusiasmo. Incendiarono cuore, anima e pensieri della plebe. Inseguirono l’esaltante traguardo di una più equa distribuzione della ricchezza, che avesse come obiettivo pace sociale e redditività economica della campagna.. Ma finirono per mano nemica, il primo, per omicidio/suicidio implorato dalla spada di schiavo fedele, il secondo. E con loro si chiuse in tragedia una delle tante sacrosante rivoluzioni della storia. Fu tumulata, così, anche la speranza di riscatto delle classi deboli e sfruttate. Correva l’anno 121 a.C.
Cinquant’anni dopo ci provasti tu con un esercito di valorosi, allenati alle armi per scelta di vita e di bisogno. E la fiammata rivoluzionaria divampò in incendio a scuotere guarnigioni sonnolente e a spaventare proprietari terrieri e senatori intenti ad allietare gli otia tra crapule ed alcove, negli accoglienti triclini delle lussuose villae extraurbane.
Ricorsero all’esperienza del più noto generale vivente, Marco Licinio Crasso, e non lesinarono risorse per armare truppe numerose e forti di mezzi e di esperienza militare. E cadesti anche tu sopraffatto dalla superiorità numerica dell’esercito nemico. E l’urlo di vittoria di Crasso rimbombò, dilatato dall’eco, nella gola di Tremonti, tra Capaccio, Trentinara e Giungano, come attesta la fonte autorevole, anche se non priva di ambiguità, di Plutarco. Sfuggisti alla cattura e, per non arricchire con il tuo corpo incatenato il trionfo di Crasso a Roma, con una ultima prova di dignità e coraggio finisti i tuoi giorni per mano propria, anche questa notizia discussa e discutibile, alle falde del Montestella, esaltando una morte da eroe nella solarità mediterranea e nel trionfo dei profumi della mia terra.
Ti amai anche per questo, oltre che per l’innata simpatia per i vinti, che hanno ingaggiato e combattuto con la forza della disperazione generose battaglie di giustizia sociale. Ho sempre parteggiato per i vinti della vita e della storia, nella consapevolezza che le ragioni stanno quasi sempre dalla parte dei deboli, forti però di passioni e di ideali, più che da quella dei potenti, arroganti di forza e di denaro.
E nel corso degli anni ho letto saggi che parlavano di te, ho visto film che esaltavano le tue gesta, ho gustato spettacoli che teatralizzavano la tua vita; ed il mio pensiero correva sempre a quel paesaggio bello ed accidentato del mio paese d’origine, dove il Solofrone accende iridescenze di sole nel salto ardito di una cascata da altari di pietra dirupanti nell’imbuto della gola di Tremonti. E ti ho immaginato furente di rabbia e folle di utopia ad ingaggiare l’ultima battaglia nel segno della giustizia.
A volte mi sono indignato quando registi con la fregola del kolossal magniloquente ti hanno trasformato, per esigenze di cassa, in un fenomeno da circo mediatico, puntando più sulla potenza dei tuoi muscoli e sull’abilità della tua spada che non sulle motivazioni profonde delle tue battaglie ideali.
Da qualche tempo ci provano anche i miei conterranei utilizzando la tua figura e le tue imprese per un evento che, simula battaglia alle radici dei miei monti ed a margine del mio fiume. L’evento mi suggerisce una qualche riflessione.
Il Mezzogiorno d’Italia in generale ed il Cilento in particolare hanno dato vita, nel corso dei secoli, a generose ed interessanti fiammate di ribellismo, individuali e collettive, a cominciare dal filosofo Zenone che si staccò la lingua e la gettò ancora sanguinolenta in faccia al tiranno Nearco per non cedere alle lusinghe ed alle minacce di svelare i nomi dei congiurati di Velia per finire agli eroi delle tante rivoluzioni dell’ottocento. Non abbiamo mai seriamente indagato e riflettuto sul fallimento del ribellismo, che genera e giustifica la reazione, e sulla necessità e l’utilità del riformismo, che, con gradualità, incide nella realtà e la modifica. Ecco un bel tema di dibattito e riflessione: Ribellismo e riformismo nel Cilento, che potrebbe e, secondo me, dovrebbe precedere e qualificare l’evento spettacolarizzato. Anche perché, caro Spartaco, il potere della classe senatoria, che volle la tua fine, ha cambiato nome, ma è ancora vivo e vegeto qui nel mio Cilento, dove vecchi e nuovi feudatari, politici e non, usano tutte le armi, lecite e meno lecite, per tacitare le voci dei tanti tuoi seguaci, che reclamano a viva voce giustizia e lotta al clientelismo ed al familismo imperanti.
Il dramma è, caro Spartaco, che nella mia terra, dove tu venisti a morire in nome della libertà, si insegue quasi sempre più la voglia dell’apparire che la concretezza dell’essere da parte di una classe dirigente ubriaca di protagonismo da passerelle di vanità. Eppure in tutto il territorio aleggia ancora lo spirito del tuo passaggio ingigantito e mitizzato dalla fantasia popolare che ti materializza tra ponti a scavalco di corsi d’acqua, in grotte a riparo/protezione da improvvisi assalti nemici, in grida di battaglia dilatate dall’eco nelle gole dei monti.
Per me continui ad essere mito e punto di riferimento per battaglie generosamente combattute e dignitosamente perdute.ma anche, e soprattutto, fonte di ispirazione per le mie creazioni poetiche. Parlerò ancora di te con entusiasmo e grande partecipazione emotiva nelle tante iniziative, che continueranno a movimentare le serate estive dei paesi della Kora Pestana, soprattutto nei miei paesi dell’’anima, Trentinara e Giungano, là dove il Solofrone dirupa, nella gloria della luce, nella gola di Tremonti, che ti vide protagonista nell’ultima battaglia.
Sarà anche questo un modo per accomunarci nella lotta di ideali generosi. A futura memoria. Tuo
Giuseppe Liuccio
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