Narrativa. “Cade la terra”, un romanzo di Carmen Pellegrino per Giunti
In Italia e nel mondo molti paesi vengono abbandonati e diventano disabitati. A questa realtà la giovane scrittrice salernitana Carmen Pellegrino ha dedicato il romanzo Cade la terra (Giunti Editore, pp. 224, euro 14). In questo romanzo, con il suo modo particolare e umano di osservare le rovine del tempo e degli uomini, si intrecciano tante altre storie e vicende umane e politiche.
Il paese abbandonato è Alento (che nella realtà è un fiume che attraversa il Cilento, ma un altro fiume con lo stesso nome è in Abruzzo), che nel romanzo è un immaginario borgo abbandonato, per una frana, dagli uomini, dalla storia e dalla civiltà. Il paese abbandonato vive e si popola nella fantasia dell’autrice, che da ragazzina — come confessa — nel suo paese, Postiglione, «dove il passato e il presente si toccano», amava varcare le soglie di una casa abbandonata, immaginando il ritorno di quanti l’avevano abitata per poi cambiare i loro destini. In realtà, come dichiara nell’opera, voleva raccontare la storia di Roscigno, un paese vero della provincia di Salerno, i cui abitanti in virtù di due decreti regi del 1902 furono costretti dall’esercito ad abbandonare il paese, proprio per una frana che trascinava giù il paese, che venne dichiarato pericoloso per un paventato ed imminente crollo. Però il paese è sopravvissuto fino agli anni Novanta senza mai crollare. Una sola casa rimase abitata, perché Dorina si era rifiutata caparbariamente di andarsene ad abitare nella nuova Roscigno, costruita poco più su, su terra ritenuta più ferma.
Nella finzione letteraria della Pellegrino, Alento, il paese che si muove, che frana, che precipita, diventa l’emblema di tutti i paesi abbandonati d’Italia; e — perché no? — del mondo, che hanno subito o stanno subendo spopolamenti che uccidono la memoria di comunità millenarie. Il racconto — intessuto di una lingua ricca ed evocativa — è fatto di voci, storie, fantasmi, capricci, crudeltà, sfruttamenti e dialoghi, che costruiscono tante storie taciute e sepolte che si sovrappongono al ritmo della narrazione. A casa di Estella, un’ex suora che ha abbandonato il convento di Napoli, ritornando ad Alento, un paese «in mezzo allo sprofondo, accerchiato dai bifolchi, un odore pungente di carne in putrefazione», si incontra la povera gente, donne che partoriscono da sole sul ciglio di una via solitaria, emigranti, contadini e soldati della prima guerra mondiale, uomini che lavorano sodo, povertà che si trasmettono da padre in figlio, case e negozi inghiottiti dalla frana, i profumi straordinari del pane e dei fichi secchi, amore e speranza, prepotenze e ribellioni, vita e morte.
L’autrice, dopo aver conseguito la laurea all’Università di Napoli, si è inventata il lavoro dell’abbandonologa e in questa veste visita, esamina e studia i paesi abbandonati del mondo, perché è convinta che in fondo ognuno si porta dentro un paese abbandonato