Definiamoli “Sorprendenti” i fenomeni connessi con l’ipotetico raggiungimento di velocità relativistiche ossia velocità paragonabili a quella della luce c=300.000 km al secondo, la quale rappresenta l’unica grandezza assoluta, rispetto a qualsiasi riferimento che “osservasse” e valutasse tale grandezza “c”: se inquadrassimo i sistemi di riferimento come tachimetri (strumenti misuratori di velocità), riscontreremmo che tutti i tachimetri rileverebbero lo stesso valore di c. Dunque, nell’àmbito relativistico, fenomeni notevoli sono i 2 eventi: 1) dilatazione del tempo; 2) contrazione delle lunghezze. Iniziamo con il primo. Ipotizziamo 2 osservatori speciali: Albert Einstein e Olinto De Pretto; supponiamo che De Pretto sia alla guida d’un veicolo nel quale trovino sede uno specchio e una torcia elettrica, mentre Einstein è fermo. De Pretto sfreccia con la sua vettura, viaggiando con velocità V, e, ad un certo istante, preme il tasto/interruttore della torcia elettrica disposta verticalmente, dunque invia un segnale luminoso in alto, segnale che “rimbalza” impattando sullo specchio e ritorna indietro. Che cosa riscontra De Pretto? IL SUO OROLOGIO valuta il tempo t impiegato dal segnale luminoso per coprire il movimento verticale (andata verso l’alto + ritorno verso il basso, nel disegno sono le 2 frecce indicanti appunto il duplice percorso); applicando la semplice formuletta: velocità = d / t (velocità = distanza d, diviso tempo t), nel nostro caso avremo che la velocità è quella della luce, c, mentre la distanza d è pari al doppio percorso 2 H ossia H andata + H ritorno: c = 2 H / t; da questa formula possiamo ricavare il tempo t:t=2 H / c (se 2 = 10 / 5, ovviamente 5 è uguale a 10 / 2). Pertanto: il tempo t misurato da De Pretto che è in moto, è t = 2H / c, ed egli osserverà il movimento verticale del raggio luminoso. Ma Albert Einstein cosa rileverà? Einstein, con IL SUO OROLOGIO, misurerà il tempo, impiegato dal raggio luminoso, necessario per coprire la distanza dal punto iniziale di emissione (P in.), sino al punto finale di ricezione (P fin.). Ora, la Meccanica classica stabilisce l’uguaglianza dei 2 tempi, valutati da De Pretto e da Einstein: T (De Pretto) = T (Einstein). Eppure… il tratto di percorso osservato da Einstein (dal P in. sino al P fin.) è maggiore del percorso visto da De Pretto. Senza scendere in dettagli matematici un po’ pesantucci: quando siamo nell’àmbito di piccole velocità V, anche il quoziente tra i quadrati delle 2 velocità, ossia il termine V² diviso c², è assai piccolo (pari all’incirca a 0) per cui al denominatore risulterebbe 1 meno 0, che fornirebbe quale risultato 1, in definitiva otterremmo l’uguaglianza dei 2 tempi valutati da Einstein e da De Pretto, T(EINSTEIN) = T(DE PRETTO); nell’ottica relativistica risulta, attraverso passaggi matematici, che perveniamo a questo esito: per un osservatore in moto (De Pretto) il tempo T scorre più lentamente rispetto al tempo T fluente per un osservatore fermo (Einstein). Insomma, sintesi estrema della “dilatazione del tempo”: il tempo trascorre in misura minore per colui che viaggia, dunque il movimento funge da strumento donante quasi eterna longevità, da Elisir della giovinezza! Adesso esaminiamo la “contrazione delle lunghezze”, altro cardine della relatività ristretta: Ad un osservatore esterno fermo (Einstein) che guardasse un veicolo viaggiante con velocità V (De Pretto), apparirebbe una lunghezza minore dell’auto, rispetto alla lunghezza che gli si prospetterebbe qualora il veicolo fosse caratterizzato dall’assenza di moto. Vi è da aggiungere che tale diminuzione di lunghezza del corpo mobile, risulterebbe una riduzione significativamente apprezzabile qualora l’auto viaggiasse a velocità confrontabili con la velocità c della luce (300.000 Km al secondo). Per inquadrare meglio il fenomeno, è possibile definire 2 tipi di lunghezze caratterizzanti il sistema –ossia l’auto guidata da De Pretto– oggetto della nostra analisi: la lunghezza propria (Lp) e la lunghezza impropria (Li) del veicolo. L(p) è la lunghezza del corpo quando esso è in quiete ossia in assenza di moto, mentre L(i) è la lunghezza dell’auto viaggiante con una determinata velocità V. Consideriamo, al solito, Einstein e De Pretto; Einstein non si muove sulla Terra, invece De Pretto si dirige, con velocità V leggermente inferiore alla velocità c della luce, verso la Luna, e valutiamo il tempo impiegato da De Pretto per raggiungere l’astro tanto caro a Leopardi: tale tempo rappresenta un “tempo proprio”. Per Einstein, viceversa, tale tempo rappresenta un “tempo improprio”: dunque Einstein valuterà una “lunghezza ridotta” del “sistema mobile” nel quale si trova De Pretto, in quanto lo scienziato di Ulm è in quiete relativamente all’astronave, pertanto misurerà una lunghezza minore di quella effettiva, una “lunghezza contratta”. Anche in tal caso, tralasciando gli aspetti “fortemente” matematici del problema, è possibile ricavare il legame tra la lunghezza impropria e quella propria del veicolo, possiamo sintetizzarlo in tal maniera: la lunghezza di una sbarra, ad esempio L= 10 metri con la sbarra ferma (ovviamente V=0), diminuirebbe progressivamente al crescere della sua velocità, tale lunghezza di 10 metri, sino a diventare nulla (L=0) qualora la sbarra viaggiasse con velocità V prossima a quella della luce ossia qualora attingesse una velocità all’incirca di 300.000 chilometri al secondo; valore che rappresenta anche la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche e delle particelle prive di massa (sono i fotoni e i gluoni); nella Teoria della Relatività Generale, la velocità della luce, c, è anche la velocità di propagazione delle onde gravitazionali, che illustreremo nel prossimo articolo.
Giuffrida Farina