EPIGRAFE
(Mi perdoneranno i miei venticinque meno uno lettori, ma ne valeva la pena, se “deragliando” dal mio costume non … un’epigrafe che del destinatario parli io riporterò ma del Divin Poeta alcuni versi, chè … o mio lettore, di Amicizia in questa lettera si tratterà!)
“Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento…cosicché il fortunale od ogni altra sventura / non ci potesse essere d’ostacolo, / ma anzi, avendo gli stessi desideri, crescesse il desiderio di stare assieme.
( Dante, ex sonetto “Guido i’ vorrei…”)
Ed anche per te, maestro Testore, figlio della città di Posidonia che del motto del Maestro “l’amico è un altro se stesso” ne facesti pegno vero … canterò il mio canto chè mai prima di te, maestro Testore, tra i mortali l’amicizia potè vantare nome più alto. Tu che, come l’elenco di Giamblico attesta, con Atamante, Simo, Prosseno, Cranio, Miete, Fedone e quel Batillo di cui di grazia con Brontino di Metaponto e Liside di Taranto, narra il mio antico maestro Laerzio, il grande medico di Crotone Alcmeone dedicò i suoi libri, di quella scuola pitagorica di Posidonia ne fosti uno dei figli migliori, che più di ogni altro insegnamento del Maestro tu onorasti quello dell’amicizia. E fu normale per te, maestro Testore, quel giorno che “per caso” saputo del fratello pitagorico in difficoltà di partire e di andare a … ma prima però con te, maestro, di giungere all’isola dove il tuo nome si fece grande ricoprendosi di gloria, urge, e tu mi capirai, che io dica della tua antica e nobilissima città di Posidonia e di quella tua scuola che non coltivò solo dell’amicizia il vanto ma anche quell’ altra grande arte della medicina come in soccorso, prossime al tempio del dio Apollo, sembrano confermare le rovine di quella vasta area pavimentata dedicata al culto del dio Esculapio, che istruito secondo il mito nell’arte della medicina dal centauro Chirone, di cui, meraviglia delle meraviglie, a conferma di tanta storia, ancora oggi, ritrovata presso il Santuario Meridionale dedicato al dio Apollo, si conserva, esposta nel suo museo, una stele di pietra con su il suo nome inciso. Una antica e nobile arte che se non fu, nella sua peregrinazione magnogreca prima di giungere a Metaponto, portata direttamente dal grande maestro Pitagora, certamente fu portata da qualche suo grande allievo, durando ancora a conferma al tempo del grande Alcmeone di Crotone, la sua dedica al tuo compagno Batillo e quella “silente” memoria condivisa che morta Elea, fosti proprio tu, o nobile citta di Posidonia divenuta Paestum, come sembra attestare quel tal abate di Germania Valafrido Strabone quando di te, qualcuno dice Salerno, scrive che eri in Campania la città dove abbondavano i medici (civitas Campaniae ubi abundant medici), che mantenendo sotto la cenere di quei secoli che furono detti bui, accesa quella antica “luce” pitagorica la facesti, narra la leggenda, risorgere ancora più luminosa quando in quella arcigna notte dell’alto medioevo fuggendo da un forte temporale al riparo sotto uno degli archi del longobardo acquedotto salernitano dell’”Arce” si ritrovarono quattro sperduti pellegrini: un ebreo di Betania di nome Isacco, un arabo di Aleppo di nome Abdul, un greco di Alessandria di nome Ponto ed un latino di Salerno di nome Romano, i quali scambiandosi consigli su come sarebbe stato meglio curare la ferita al braccio che il latino Antonio si era fuggendo procurato… si scoprirono tutti medici ed esperti dell’antica arte di Ippocrate. Quell’arte che sempre la tua scuola, maestro Testore, aveva coltivato con cura e grande dedizione molto sperimentando ed arricchendo del genio dei suoi filosofi il cammino, e …che ora non a caso rinasceva in una nuova, antica città che fattasi per re Ludovico principe di un nuovo regno darà vita a quella che sarà chiamata e riconosciuta come la gloriosa e famosa “Scuola Medica Salernitana” che di Salerno e della sua storia fu e sarà il vanto suo più grande! E tu, maestro Testore, che di quella antica scuola pitagorica, di cui il “divinamente ispirato Siro” come la Pizia vaticinò, nella sua “Vita di Pitagora” confermato qualche decennio dopo dall’”assai dotto Fenicio” ed è sempre la Pizia a parlare, potè scrivere che il tuo Maestro “amava assai i suoi amici, egli che aveva affermato che per gli amici tutto è in comune, e che l’amico è un altro se stesso” e tanto era grande ed immenso era ogni volta il dolore per la perdita di uno di loro che continua ancora il nostro ispirato Siro, quando scampato, per il generoso sacrificio dei suoi discepoli all’incendio che distrusse la sua scuola di Crotone il Maestro si salvò “egli si diede la morte, per il dolore di essere stato privato dei suoi amici” testimoniando di quanto alto era e solennemente vissuto nella tua scuola il sentimento dell’amicizia. E che tu, maestro Testore, non solo praticasti sempre ed in ogni luogo ma ne fosti pietra miliare e “colonna” se, oltre di te nelle fonti, dei tanti tuoi compagni solo di quel tal Simo ne rimane la memoria e particolarmente per quel“preteso epigramma dedicatorio di Arimnesto figlio di Pitagora” che riportato dal nostro siro Porfirio recita “E Simo, il teorico di accordi, distruttolo ed appropriatosi della formula, la divulgò come propria, ordunque erano sette le “sapienze” contenute nell’iscrizione, ma per via di quella sola che Simo sottrasse, sparirono anche le altre iscritte nell’offerta votiva” lasciando trasparire che il nostro grande Simo ”teorico degli accordi” allo stesso livello per l’elenco di Giamblico di Archita di Taranto e di Ippaso di Metaponto, non solo avrebbe distrutto le sette “sapienze” che nella “nota” che prelevo dal saggio “I Presocratici” edito dalla BUR e che riporterò, saranno chiamate “medietà”, ma ne avrebbe rubata immeritatamente assegnandola al suo genio. Accusa, come leggeremo dalla “nota” assolutamente falsa e calunniosa perché dopo di Simo le sapienze, ovvero le “medietà” come leggeremo non solo, per il contributo decisivo di Eudosso di Cnido, sarebbero diventate dieci ma di queste dieci Simo di Posidonia almeno di una ne fu certamente il padrone! Recita la nota in questione “le prime tre medietà erano fatte risalire a Pitagora e alla sua cerchia (l’aritmetica, la geometrica, e la subcontraria, poi detta armonica). Con Eudosso ed i successori di Platone si ritrovarono altre tre medietà (la subcontraria all’armonica e due subcontrarie alla geometrica), ma Ippaso ed Archita avrebbero contribuito alla loro scoperta. Alle ultime quattro sono collegati i nomi di Mionide ed Eufranore, ma la scoperta di una di queste era rivendicata come propria da Simo; i suoi rivali allora avrebbero inventato un dono votivo (anathema, probabilmente un disco metallico con inciso l’epigramma dedicatorio e le formule delle sette medietà, dalla quarta alla decima) attribuito al figlio di Pitagora, Arimnesto. Simo (di Posidonia) cercando di ritagliare la sua formula avrebbe completamente distrutto l’offerta votiva. Il suo scritto è molto probabilmente autentico, data la fonte, Duride di Samo che visse nella prima metà del III sec. a.C.” chiaramente dispiegando quanto grande sia stata la grandezza di Simo e quanto piccola invece sia stata l’invidia dei suoi rivali!
Ma ora che l’onestà e la genialità del tuo grande compagno di Simo è stata sistemata e la sua fama ha fatto più grande la tua città è tempo, maestro Testore, che io venga a quella che del tuo essere pitagorico fu la tua gloria più grande per la quale non mancarono poeti, scrittori e filosofi nelle loro linee di citarti, come il caso di quel tal “assai dotto il Fenicio” che nella sua “Vita pitagorica” di Pitagora e del suo insegnamento scrivendo dell’amicizia di cui “ne era provvisto Pitagora stesso, e quale ne era la natura, come egli la estendeva a tutti, quante forme ne stabilì e quali opere conformi ai costumi dell’amicizia i pitagorici compirono” non manca di esaltarne con i tanti saggi che i tuoi compagni compirono il grande valore. Prima fra tutti, maestro, quello tramandato da Aristossene di Taranto e riportato da Giamblico dei due amici Finzia e Damone che il tiranno di Siracusa Dionisio aveva voluto provare decretando la morte dell’uno nel pegno dell’altro e tanto ne uscì sbigottito dalla loro amicizia che abbracciandoli, continua il nostro “li baciò entrambi, e chiese di essere accolto da loro come terzo amico. Ma nonostante le preghiere Finzia e Damone non vollero in nessun modo accedere alla sua richiesta” chè troppo alta e grande era il dono divino dell’amicizia e nessuno poteva farne offesa come ancora dimostrò quel tal altro pitagorico quando ospitato da un oste onorò il suo debito solo facendogli esporre sulla porta una tavoletta con il simbolo della “tetraktys”. Chè davvero l’amicizia in quella tua scuola, maestro Testore, era misura alta e capitale, come, ed è sempre il nostro Giamblico che nel ricordare le più ”nobili e appropriate testimonianze dell’amicizia dei pitagorici” così mostra e narra di te, maestro, quando, non direttamente informato ma “appena saputo solo sentito dire” delle ristrettezze economiche in cui era caduto il pitagorico di Paro Timarida, di cui sempre il Nostro tramanda essere stato il primo che lasciò in eredità alla scuola una regola per la risoluzione di un dato sistema di n semplici equazioni simultanee in n incognite, tu, maestro Testore, senza esitare un momento ti accendesti e mosso di pitagorico ardore tra gli amici e come l’elenco del Nostro tramanda, a Posidonia erano tanti, raccogliesti molto danaro e sciogliendo le funi alla prima nave immantinente ti imbarcasti e affrontando i rischi di un viaggio periglioso veleggiando giungesti nell’isola di Paro dove all’amico Timarida ricostituisti il patrimonio. Queste le parole e la testimonianza di Giamblico, “e analogamente, anche Testore di Posidonia, a quanto si racconta, appena seppe solo per sentito dire che Timarida di Paro era un pitagorico, quando questi, da ricco che era, cadde in miseria, raccolse molto denaro e partì per Paro, ricostituendone il patrimonio” in cui non solo, maestro Testore, fulge il tuo nome per aver salvato un amico dalla schiavitù ma molto di più onorasti e per sempre la tua “eteria” posidoniate che di tutti egli “insegnamenti” del Maestro quello dell’amicizia di cui sempre il Nostro scrive “dunque una sola e sempre la medesima sia la parola in cui tutto questo è compreso e riassunto, vale a dire “amicizia”, è opinione unanime che Pitagora abbia scoperto ed attestato. E tanto mirabile è stato l’insegnamento concernente quest’ultima lui impartito ai discepoli, che ancora oggi molti dicono, riferendosi a quanti sono legati da particolare benevolenza reciproca, che si tratta di pitagorici” volle onorare di più confermando quell’antico adagio popolare che non solo chi trova un amico trova un tesoro ma che molto di più nella buona quanta nella cattiva sorte, l’amicizia sempre rende l’uomo migliore, vicino a dio, quasi … avrebbe concluso l’ultimo dei “Versi aurei” del Maestro “un dio immune da morte e corruzione, non più un mortale” ma… questo forse è troppo, però possiamo continuando accogliere il penultimo che con il quinto così ci comandava “degli altri fatti amico di chi sia ottimo in virtù, Cedi a consigli mansueti e asseconda azioni che diano buon frutto. Per quanto tu possa, non adirati con un tuo amico per un torto da nulla: infatti la Potenza risiede accosto alla Necessità. Sappi dunque questo ed abituati ad essere padrone… se osserverai parte di questi insegnamenti, otterrai quanto ti insegno riceverai la guarigione, e l’anima porrai in salvo da queste sventure. Astieniti da quei cibi di cui ti abbiamo parlato nelle purificazioni e nella liberazione dell’anima, considera ogni cosa con giustizia elevando al sommo la ragione, guida sublime”. Questo dunque dei veri amici il destino che tu, maestro Testore, risalendo le nebbie del tempo hai in dono recato fino a noi, che troppo distratti forse abbiamo dimenticato e che ora umilmente votando accogliamo e sia, maestro Testore, questa mia “tavola” il mio, il tuo canto perpetuo, ed… a te nobile e fortunata città di Capaccio che di questa storia ne sei tanta parte un invito: odi e vanta e saluta il tuo figlio prediletto Testore di Posidonia cui l’amicizia diede la gloria ed a lui, in un giorno luminoso, eleva una via e con una “pietra” scolpita addita alle future generazioni il suo nome e con il gran Lombardo, che alta tenne d’Italia la lingua:“ scrivi ancor questo, allegrati; chè più superba altezza all’amicizia giammai non si chinò”.
E se poi, ed è nostro costume, in congedo di ogni “tavola” certando se quel tal grande pittore di cui Vasari scrive “Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo collocando, anzi per meglio dire, riponendo et accumulando in una persona sola le infinite ricchezze delle ampie grazie o tesori suoi, e tutti que’ rari doni che fra lungo spazio di tempo suol compartire a molti individui, chiaramente potè vedersi nel non meno eccellente che grazioso Rafael Sanzio da Urbino” nella sua ”Scuola di Atene” ti tenne oppure ti mancò noi non ti troviamo non ti crucciare, maestro Testore, che dell’antico maestro Laerzio corre in umiltà l’allievo ed in dono ti reca non a conforto che la tua gloria fu molto più grande il suo epigramma e per te canta ”Splende sopra gli astri, maestro Testore, nei secoli la tua gloria che di tanta corona cinse dei Poseidonati la patria”
Questo, maestro, nei giorni del maggio a finire con il Coronavirus l’amore e tanto ancora… il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno di venerdì 29 maggio dell’anno 2020.
C’è poi un altro epigramma
“Con Posidonia tua patria ti consegnò, maestro Testore, alla gloria Paro e la sua amicizia pitagorica. “ la cinse di corona …