“Ma ciò che, a quanto si racconta, inventò e combinò il pitagorico Archita, se non è meno stupefacente non va tuttavia giudicato altrettanto fatuo…Archita fabbricò, in base a certi princìpi d’ingegneria, un oggetto di legno in forma di colomba, e questa colomba volò; è evidente che essa era accuratamente equilibrata mediante contrappesi e celava nel suo interno dei fiotti d’aria che le conferivano il moto”. ( Aulo Gellio”Notti Attiche” lib. X cap. XII)
Sono qui, maestro Archita, davanti alla tua casa a chiederti di entrare perché io, inesperto
amante, del tuo amore per gli antichi: “si deve in effetti, o per averle apprese da altri o
ritrovate da se stesso, delle cose di cui eri un non intenditore, diventare intenditore. L’appreso deriva dunque da altri e risiede altrove, il ritrovato invece è attraverso se stessi e risiede in una prestazione personale; ritrovare poi senza cercare è impervio e raro, cercandolo è invece pervio e facile, ma senza intendere è il cercare impossibile.( Stobeo, “Florilegivm”) possa farne tesoro e scrivere di te, che coltivandolo con studio e meraviglia ne avanzasti di tanto la misura da conquistarti la palma del mio primo Petrarca, quando giovane liceale leggendo per la prima volta quella sua lettera al cardinale Giovanni Colonna mi ritrovai nel suo amore per gli antichi, nel quale mare poi presto tentando, più volte naufragai cercando invano di mantenere la rotta chè troppi erano di quella acerba età tanti gli scogli e la voglia di mari sconosciuti mai navigati. Anni intensi di avventure e tante esperienze che fattisi alla vita soma, poi inesorabile vengono al tempo della resa e come il vaglio al suo ufficio così anch’io vengo al mio setaccio e lasciando del mio grano passare la farina ne faccio tesoro e“ intrattenendomi con i nostri maggiori” trovo questo mio tempo più sopportabile e “la memoria di questi, le loro magnifiche imprese, i loro nomi illustri mi riempiono di piacere incredibile e inestimabile” tanto che “se queste cose fossero note a tutti, molti certo stupirebbero perché io tanto mi compiaccia dello stare con i morti piuttosto che con i vivi… e rimanga pure questa eterna lite …io seguirò il mio proposito” tanto che confortato da tanta altezza insisto e se … queste mie lettere dovessero non giovare agli altri sicuramente gioveranno a me che leggendo per te, maestro, “a belle cognizioni a me pare che quanti hanno atteso ( tra gli antichi) alle discipline matematiche siano arrivati; e non è strano che corretti pensieri essi delle cose, quali esse sono, su ciascuna singolarmente nutrissero; arrivati infatti, sulla natura delle cose nella loro interezza, a belle cognizioni, dovevano certo anche sulle singole cose partitamente, quali esse sono, avere belle vedute” imparo che risolti gli antichi all’amicizia nella costanza del rispetto e della virtù, ti chiedo di entrare per te nella loro casa e di farmi umile discepolo del tuo tempo in ascolto del tuo grande amico Platone che lodandoti ti ringraziò quando… venuto per la terza volta in Sicilia nel tentativo di realizzare la sua riforma, il tiranno di Siracusa Dionigi il Giovane insospettito dalla sua troppo amicizia con Dione lo fece rinchiudere nella casa di Archedemo nel quartiere dei mercenari che mal sopportandolo continuamente lo minacciavano di morte e tu, maestro Archita, dall’alto del tuo governo intervenisti e inviando …ma ascoltiamo lo stesso Platone che ricordando qualche anno dopo quel triste episodio, così scrive nella sua VII lettera:“dopodiché, io vivevo ormai fuori dell’acropoli, fra i mercenari; vennero in molti da me, fra cui alcuni servi di origine ateniese, e quindi miei concittadini, i quali mi informarono che presso i peltasti mi si calunniava, e alcuni di loro addirittura mi avevano minacciato di morte, se mi avessero preso. Riuscii ad escogitare questa via di salvezza; inviai ad Archita e ad altri amici di Taranto notizia della situazione in cui mi trovavo, e quelli, col pretesto di organizzare n’ambasceria per conto della loro città, mandarono una nave a trenta remi con Lamisco, uno dei loro, che appena arrivato si recò da Dionigi per intercedere in mio favore, dicendo che era mio desiderio andarmene, e pregandolo che non si opponesse. Dionigi dette il suo consenso, e mi mise a disposizione l’occorrente per il viaggio” potendo così per te, maestro Archita, tornare in patria il tuo grande amico, erede di eterna gratitudine. O quale meraviglioso uomo è colui che anteponendo alle sue ricchezze il bene dell’amico si artefice della sua libertà, o quale fortunata città di Taranto che facendo nido ad un’ aquila desti natali a tanta gloria… chi mai oserà sfidarti e con te di gareggiare, tu che con Aristossene poi in tutta la Grecia con Archita il pitagorico alzasti alla musica un monumento “aere perennius” più duraturo del bronzo? E raccogliendo nel tetracordo antico il suono alto e solenne di un tempo lontano di quando con la musica la virtù governava le città e furono tutte grandi…tu “uomo fra i primi grande e illustre” sulla terra incarnasti quell’ideale filosofo che fu del tuo amico Platone e che voleva il vero sapiente sposato con la teoria alla pratica. E tu, maestro Archita, davvero lo fosti rotondo e totale quel sapiente se, come mi ricorda il mio saccheggiato maestro, contro le regole della tua stessa città, fosti stratega per bene sette volte mai vinto in battaglia e mancando ai tuoi doveri ma difendendola sempre la tua città e facendola grande solo e solamente seguendo quel saggio ed antico consiglio che il dio Apollo diede al vostro fondatore Falanto quando interrogato su quale attività dovesse crescere la città, profeticamente così l’oracolo sentenziò “con la buona agricoltura, con la migliore agricoltura, con l’ottima agricoltura” ah…quale opulenta e meravigliosa città saresti stata anche oggi, o Taranto, se, oltre la cassa del Mezzogiorno e l’industrializzazione forzata degli anni persi, i tuoi attuali concittadini avessero con te seguito quel saggio consiglio. Ah, quale stupenda città dal cielo più azzurro tu saresti stata se, sciolta dai miasmi della modernità, con il tuo Archita,avessero quei tuoi due Mari continuato ad abbracciarti stringendo forte nel porto all’ultima brezza e a seguire quell’ultima scuola che oltre Pitagora anteponendo ancora per te e solo per te, maestro Archita, la geometria all’aritmetica, per prima ti parasti alla soluzione di quella “vexata questio ” della duplicazione del cubo, conosciuto al mondo come il “Problema di Delo” anticipando per la tua curva e per le tue “terne” di molti secoli di Cartesio la geometria e della matematica nuovi orizzonti … perchè come tu stesso, maestro, scrivevi “ a quanto pare solo l’arte del calcolo, in riferimento alla sapienza, si distingue, e molto, non solo dalle altre arti, ma anche più brillantemente di quella geometrica sa trattare quel che vuole” solo l’arte del calcolo sposata alla meccanica genera figli fecondi allacittà e fa con il sonaglio della raganella giocare per la prima volta nel mondo antico, i bambini e con la “carrucola” alleviare all’acquaiolo la fatica o… ancora meraviglia delle meraviglie quella tua meccanica “colomba” prima automa della storia, che tentando per la prima volta il volo tolse di Cecere il vanto al grande Leonardo!
Austero nella tua morigerata vita votata alla sapienza ed al governo della città, amasti il cielo e i suoi spazi verso cui levando un giorno il tuo sguardo ti chiedesti: “se venuto all’estremità, al cielo mettiamo delle stelle fisse, potrei forse stendere ancora la mano o la bacchetta verso l’esterno, o no? E dunque, non aver da stendere ancora, è strano, ma se stendo ancora, sarà o corpo ovvero spazio l’esterno (e non farà nessuna differenza, come apprenderemo).Via via dunque si procederà allo stesso modo verso ciò che via via assume definito limite e si farà lo stesso quesito, e se via via vi sarà altro, verso cui si stenda ancora la bacchetta, è chiaro che è anche indefinito” affermando con l’infinito dell’universo, ogni sua sponda e quella arcana musica delle sfere celesti che non udibile dagli uomini, pure insiste nell’universo e regna come sulla terra, maestro, ancora le tue tre scale dell’enarmonico, del cromatico e del diatonico intervallate, che piacquero tanto al tuo illustre concittadino Aristosseno, che ricorrendo più e più spesso al tuo magistero, non potè nei suoi “Elementi di Armonia” che lo consegnarono alla storia, esserti debitore e forse primo artefice di quella colossale statua che la tua città volle innalzarti quando per la tua patria combattendo un’onda ti rapì trascinandoti nell’atro Ade, dove in solitudine continuando, oltre la Scuola di Atene che ti mancò, ti vide il grande Orazio a misurare e accendendo di poesia il suo genio così tristemente cantò “o misuratore del mare e della terra e delle immensurabile arene, coprono, o Archita, pochi pugni di polverepresso il lido Mattino”.
Questo, maestro, nei giorni che lenti inclinano al sole d’autunno l’auro amore decadente … il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore pomeridiane del giorno 23 settembre 2019)