A Protogara (486 a.C. – Mar Ionio, 411 a. C) figlio di Meandrio della città di Abdera che facendo di tutte le cose l’uomo “misura” lo consegnò alla responsabilità della scelta “migliore”… il mio fiore!
“Io, per me, sostengo che la verità sta come io ho scritto: esser cioè ciascuno di noi misura delle cose che sono e che non sono; certo che poi ci corre un abisso tra l’un individuo e l’altro, per la ragione appunto che, per uno, sono e appaiono certe date cose, per un altro, altre. E che esistano la sapienza e l’uomo sapiente, sono ben lungi dal negarlo; che anzi, colui appunto chiamo sapiente, il quale a uno di noi, a cui le cose appaiano ed esistano come cattive, riesca, invertendone il senso, a farle apparire ed esistere come buone. Perciò non confutare il mio discorso fermandoti alla lettera, ma cerca di capire più chiaramente che cosa intendo dire”.
( Platone- Teeteto)
Fedele, maestro Protagora, al tuo appello in epigrafe della mia lettera avanzerò e sarò tuo allievo leale e continuando non fermerò, come alcuni ancora oggi fanno,“alla lettera” ma cercherò invece di “capire più chiaramente “ che cosa hai inteso dire con quando scrivevi che :“di tutte le cose misura è l’uomo,delle cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono” !
Ed anche se tutto quello che di te sappiamo ci viene dai tuoi avversari in particolare dal tuo acerrimo nemico Platone che versando, nel dialogo a te dedicato ma ancor più nel “Teeteto” il suo sarcasmo a fiumi ti definì con offesa“sofista” ovvero un venditore di sapere a pagamento, io, maestro, resisterò e confortato dal giudizio certamente non generoso di Socrate che pur criticando il tuo relativismo gnoseologico non potè però non apprezzarne la responsabile e profonda tua attenzione all’agire civico dell’uomo,pure avanzerò e partendo dalla tua prima affermazione, riproposta in questi giorni dalla pubblicazione del“Corriere della Sera” nella famosa “Storia della Filosofia Antica” di Nicola Abbagnano, che non potensodi stabilire se una sensazione è vera o falsa in sé, non rimaneva altro all’uomo che affidarsi al valore del discorso migliore ovvero al valore, ed è questo, maestro, il tuo vanto, di quel discorso che andando nella direzione dell’“utilità” pubblica ma anche privata come leggeremo, farà dell’opera del “sapiente” ovvero del “sofista” ( in origine, prima che Pitagora inventasse la parola “filosofia” per indicare il sapiente si usava la parola “sofista”!) un riferimento politico – culturale fondamentale di quel che fu quel lontano, ma quanto veramente lontano, tumultuoso avvio della democrazia ateniese!
La tecnica della “retorica” che tu, maestro, inventasti e che il tuo grande discepolo Gorgia da Leontini, cui dedicheremo la prossima lettera, porterà alle altezze massime dell’arte, “facendo apparire giuste le cose buone in luogo di quelle cattive” fu una rivoluzione e facendosi strumento, discrimine politico per chi la possedeva, introdusse per la prima volta nella aristocratica solennità della tradizione politica ateniese il vanto ed il successo anche personale di uomini, uno per tutti Pericle, che proprio per le loro capacità oratorie seppero tenere ed ornare di tanta bellezza la “democrazia ateniese” che ancora oggi dopo tanti secoli sfida ancora solenne l’ingiuria dei tempi!
E fu davvero, maestro, una rivoluzione se oggi nel malinteso concetto della democrazia che uno vale uno, già allora, nel suo famoso discorso agli ateniesi dell’anno 461 a.C. Pericle potè affermare che “Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla”… lasciando chiaramente intendere che tutti possono giudicare la politica ma solo in pochi di farla e… quindi tu, che del maestro Protagora eri amico e conoscevi ed amavi il pensiero, tu che della democrazia ne sei stato l’alfiere più alto, tu pensavi, o Pericle che essendo la politica cosa assai importante e fondamentale al buon governo della città, dovesse essere come ogni buona scienza prima amata e poi faticosamente imparata nella pratica oggi diremmo delle sezioni e poi praticata e provata poiché gli uomini, sappiamo per natura non sono nè buoni né cattivi ma dovevano essere però convenientemente “educati” al rispetto della giustizia e dell’onore perché “penetrati”, come qualcuno ha scritto, finalmente“dell’altezza del compito del legislatore” potessero poi all’uopo riconoscere quello che era “utile” e “giusto” per la città, per la “polis” !
Scuola di preparazione e di formazione le tue lezioni che continuando negli anni i greci chiamarono “paideia” e che noi oggi chiamiamo, “educazione” scuola e chi vorrà praticarla non avrà solo da istruirsi per la sua personale formazione ma dovrà ancorchè farsi capace di convincere e persuadere il cittadino elettore ad elevarsi da“un discorso di minor valore in un discorso di maggior valore” !
Affermi infatti per le parole di Socrate nel “Teeteto” ,maestro,che non potendosi stabilire se un discorso è vero o falso in sé e quindi valido per tutti, non rimane altro, di trasformare ed ecco la potenzadella “retorica”, un discorso peggiorein uno migliore ovvero in uno più utile: “rammentati quanto si diceva più sopra, che cioè per l’ammalato il cibo appare, ed è, amaro, e per il sano,il contrario. Ora nessuno dei due è da ritenersi più sapiente dell’altro, che non sarebbe possibile, e neppure è da asserire che il malato sia un ignorante, perché opina in tal modo, e che usano sia sapiente, perché opina in modo diverso; ma sì invece è da scambiare il primo stato col secondo, perché il secondo è migliore. Così anche nell’educazione bisogna scambiare uno stato con l’altro migliore.. …e così i sapienti e valenti oratori fanno apparire come giuste alla città le cose oneste invece delle disoneste. Perché è vero che quanto appare giusto e bello a ciascuna città, tale è anche per essa, finché lo reputi tale; ma appunto il sapiente, in luogo di singole cose dannose per i cittadini ne fa essere e apparire di utili”. A te, maestro Protagora della tua scuola fondatore, in verità più che affermare , dichiarare un principio, una verità assoluta interessava l’uomo e non l’uomo che si perse poi nei meandri della polemica filosofica che ti seguì di chi lo voleva singolo, generale o come Teodoro Gomperz, addirittura simbolo della natura umana, ma l’uomo reale, vivo, temporale che avendo un inizio ed una fine e quindi una durata da esplicare, viveva in una città di Atene, che dopo la gloria delle guerre persiane, che si preparava a diventare la padrona della Grecia ed ad avviare quel primo difficile esperimento politico che sarà poi chiamato “democrazia”. E necessitava nella crudele lotta politica che ne sarebbe seguita non più di un sapere rivelato come la tradizione ostinatamente continuava ad imporre ma di un sapere nuovo che pur votato all’affermazione di sé si facesse pratico e controla pretesa “arroganza” della filosofia tradizionale di cercare verità assolute mettesse al centro della realtà l’uomo. Un uomo che pur consapevole del suo relativismo potesse rendersi utile alla città e partecipando potesse per la sua sapienza e la tua, maestro, fu immensa, orientare il governo della città, perché non si governa una città, una nazione e non si convince e la “retorica” (la tua invenzione ) né è un valore, una città a cambiare se con il “kairos” manca la cultura e… non fosti, maestro, in quella buona stagione che vide primeggiare Pericle ad Atene, tu forse colui a cui fra tanti che in Atene predicavano ad avere l’incarico di redigere la “Costituzione” della prima colonia panellenica in terra di Calabria, la città di Turi?
Eppure la città di Atene ancora ostinatamente abbarbicata alle antiche costumanze della aristocrazia come ben sperimentò prima di te Anassagora e poi dopo di te anche il saggio Socrate, non ti amò e contro la prorompente democrazia ti combattè etemendo la tua vittoria come lascia intendere lo sbeffeggio del tuo segreto ammiratore, Aristofane quando nel dialogo tra “Il discorso migliore e il discorso peggiore”scrive che: “presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di sposarsi amino e si congiungano con un uomo, e dopo le nozze, brutto; presso i Greci, è brutta l’una e l’altra cosa. Gli Sciti ritengono bello che uno, dopo aver ammazzato un uomo e averne scuoiata la testa, ne porti in giro la chioma posta dinanzi al cavallo, e dopo averne indorato il cranio, con esso beva e faccia libagioni agli dei; invece, presso i Greci neppure si vorrebbe entrare nella casa di uno che avesse compiuto tali cose. I Massageti squartano i genitori e se li mangiano, perché pensano che l’esser sepolti nei propri figli sia la più bella sepoltura; invece se qualcuno lo facesse in Grecia, cacciato in bando morirebbe con infamia, come autore di cose turpi e terribili. I Persiani reputano bello che anche gli uomini si adornino come donne, e si congiungano con la figlia, con la madre, con la sorella; per i Greci son cose turpi e contro legge. Presso i Lidi, che le fanciulle si sposino dopo essersi prostituite per denaro, sembra bello, presso i Greci, nessuno le vorrebbe sposare. Anche gli Egizi non s’accordan con noi su ciò che è bello; qui è ritenuto bello che sian le donne a tessere e filar la lana; lì invece gli uomini, e che le donne facciano quel che qui fanno gli uomini. Impastare l’argilla con le mani, e la farina coi piedi, lì è bello, ma per noi è tutto il contrario” riducendo la tua nobile arte della retorica ad una sterile tecnica antilogica e non invece a quella lungimirante “rivoluzione culturale” che solo molti secoli dopo di storia, la gloria dei “Lumi” di Francia coglieràmettendo al centro ed a misura dell’agire umano l’“utile” della città ovvero quel bene comune che allora fu il valore della autentica,appassionata “prassi politica” e che invece per mancanza di cultura ne è la dannazione!
Seguiva allora il cittadino che intendeva fare politica le tue lezioni anche a pagamento e poco importava se il solito Platone della aristocratica tradizione grande ammiratore dall’alto della sua sicumera ti accusava di guadagnare più denari di Fidia e di altri dieci scultori, perché a te, maestro, in verità e furono davvero tanti e tutti importanti i tuoi allievi, a te con la libertà di ogni uomo interessava contro ogni tirannia la libertà da ogni forma di prigionia anche quella degli dei e … quando poi contro di te, come prima di te Anassagora e poi dopo di te il grande Socrate ben sperimentarono, ad una accusa di un certo aristocratico con la paternità rivendicasti, nella casa del tuo amico Euripide, con fierezza la lettura di quel tuo scritto “Intorno agli dei” la città di Atene ti indispettì ed a nulla valendo di Pericle l’amicizia e di Democratico la grande ammirazione, ti condannarono e come griderà “lo aveteucciso, il tanto saggio,ahimè,l’innocente usignolo delle muse…nel “Palamede” il tuo grande amico Euripide ti uccisero chè fatale con la fuga ti fu il mare con i suoi flutti!
Così il filosofo Diogene Laerzio, cui molto della “chronica” devono le mie lettere, lo ricorda in suo epigramma: “Anche tu, Protagora, così udii, oramai vecchio doveste abbandonare Atene e moristi durante il viaggio. La città di Cecrope ti decretò l’esilio:e se tu potesti fuggire la rocca di Pallade, non sfuggisti però a Plutone”.
Questo nei giorni incerti dell‘ ottobre ebbro l’amore malinconico, maestro, il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno 3 ottobre 2018)