“L’Uno è tutte le cose e al tempo stesso non è neppure una di esse; principio di tutto, voglio dire, non è tutte le cose in una maniera qualunque, ma è tutto in una maniera trascendente”. (Plotino, Enneadi)
Non so quale demone facendoti allievo fedele di quel saggio Ammonio Saccoforos ti rapì ma io ringrazio gli dei, maestro Plotino, che riempendoti di tutta la sapienza d’Occidente e d’Oriente, oggi me la rimandi per questa mia nuova lettera e posso, oltre quel primo nostro acerbo incontro giovanile finalmente rileggere il tuo pensiero e capire quel tuo “mestiere “ di filosofo che quella troppo velocemente lessi in quella “summa” delle tue “Enneadi” apposta in appendice a quell’esame di filosofia morale che superai ma certamente non studiai… imperando allora troppo i fuochi di quel primo “sessantotto” che vide la mia università infiammarsi e darsi all’occupazione. Io non fui tra quelli ma mi distrassero lo stesso la protesta e i fumi di quelle barricate e fui comunque tra quelli che disdegnando la misura corsero a prendere posizioni estreme chè …
nessun uomo, peggio ancora un filosofo ed ero studente di filosofia, tu scrivevi, deve farsi dispensatore di verità. Il tuo “mestiere” , maestro, combattere il disordine spirituale di ogni estremismo ti fece infatti discepolo dell’Uno e fu mistero la sua indicibilità, la sua trascendenza, la sua potenza creatrice o quel suo accadere volto ad armonizzare non il banale contrasto tra gli opposti, come era accaduto ed accadrà ancora e più chiaramente nella prossima “Scolastica” quanto per lanciare invece una sfida alta alla stessa ragione umana, perchè se affermare ,come tu affermavi, maestro, e può sembrare un paradosso, che “l’uno è tutte e al tempo stesso non è neppure una di esse” esso invece a proprio ragionare non lo è se ….portandosi oltre l’uomo oserà sfidare proprio con l’assurdo l’infinito ben sapendo che nulla potrà mai definirlo perché“ nulla è in lui ma tutto deriva da lui” anche la sua stessa definizione. Egli infatti è “l’uno fisso ed è eternamente mobile” ancorché indefinibile e paradossalmente ellittico. E per quanto può sembrare assurdo non proveremo a cercarlo navigando per gli sterili pelaghi della metafisica ma sulla terra, vicino a noi, intorno a noi, nei luoghi dove viviamo perché è lì che si mostra spandendosi per irraggiamento (ah quanto amavi, maestro, il sole e la sua metafora luminosa!) o ancora come ti piaceva e più volte scrivevi per “traboccamento” … Orbene, proprio perché nulla fu mai in lui, proprio per questo, dico, tutto deve sgorgare da lui; anzi… egli trabocca, per così esprimerci, e la sua esuberanza dà origine a una realtà novella; ma l’essere così generato si rivolge appena a lui ed eccolo già riempito; e nascendo, volge il suo sguardo su di se stesso ed eccolo Spirito. Precisiamo ancora: il suo fermo orientamento verso l’Uno crea l’Essere; la contemplazione che l’Essere volge a se stesso, crea lo Spirito; ora, poiché lo Spirito, per contemplarsi, deve pur stare orientato verso se stesso, Egli diviene simultaneamente Spirito ed Essere. Così, dunque, l’Essere è un “secondo Lui” e perciò crea ciò che gli è simile, versando fuori la sua forza esuberante; ma, immagine anche questa dell’Essere, corrisponde a Colui che già prima dell’Essere s’effuse. E questa forza operante che sgorga dall’Essere è “Anima” che diviene quello che è, mentre lo Spirito è fermo; poiché anche lo Spirito sorse mentre “Ciò che era prima di Lui” perseverava nell’immobilità” quasi a declinare per pienezza di sè quel misterioso cammino graduale da cui deriveranno tutte le cose e che sarà poi la realtà ovvero lo stesso mondo e noi stessi uomini e cose perché “tutte queste gradazioni sono Lui ( l’Uno) e non sono Lui: sono Lui poiché da Lui derivano; ma non sono Lui poiché Egli, fermo in se stesso, non ha fatto altro che dare. Concludendo gli è come un corso lento di vita che si protenda in lunghezza: ognuno dei tratti successivi è un “diverso”, ma il tutto è compatto in se stesso e se, per via di differenze, ogni cosa sorge perennemente nuova, l’antico però non si perde nel nuovo” sempre rimanendo egli inviolato ed uguale a se stesso, fisso, immutabile in una realtà che pur traboccando contiene e trattiene in una nuova, originale forma di trascendenza che non fu mai quella “creativa” dei cristiani che pure qualche Grande ti volle a forza assegnare, ma prima “necessità” che facendosi “principio di tutto” si apre a quella misura “immanente” che ti farà, maestro, precursore di quel grande Campano che in alto gettando tra i tanti iperuranici mondi possibili il suo eretico sguardo bruciò sfidando con la lingua in “giova” l’ignoranza di un secolo che pure si apriva alla scienza…e ci affascina come ieri del tuo grande maestro Platone oggi il tuo di pensiero, maestro Plotino. Quel tuo ineffabile “Uno” ineffabile di cui nulla si può dire nemmeno che è per essere, come tu dici, maestro, già in sè determinato e quindi di conseguenza non abbisognevole di alcuna definizione mi porta con te “lassù, (dove) le cose tutte devono trovarsi come dopo una corsa” perchè come tu stesso, maestro, affermavi nulla a questo mondo è separato, ”nulla è scisso da ciò che precede” ma tutto mira a ricongiungersi all’Uno anche la stessa materia che allontanandosi si era fatta principio del male. Sempre ”le cose non si trovano ancora nell’Uno, ma vi si troveranno” e tutto nell’Uno dovrà essere ricompreso, risolto in quella “patria” donde tutto venne e tutto deve in una rinnovellata forma di “eterno ritorno” deve tornare…chè nulla per te, maestro, come per gli stoici alla conoscenza aggiunge la filosofia se non una vita virtuosa!
Tornare all’Uno che tu, maestro, identifichi con il Bene è la vera scelta “etica” dell’uomo perché solo inseguendo il Bene l’uomo potrà fare del suo cammino l’artefice stesso dell’Uno ovvero della sua stessa essenza ontologica che altrimenti dall’uomo abbandonato rimarrebbe chiuso in una sterile forma di paralizzante autarchia tautologica, incapace di rendersi esistente alla sua stessa esistenza ed invece … il tuo uomo e siamo noi con lui, consapevole di tanta altezza potrà con il “Pellegrino cherubico” del mistico Silesio, con fierezza esclamare che :”senza di me Dio non può vivere un istante”. Se io mi anniento egli deve di miseria morire”.
Io posso e lo pensavi davvero, maestro Plotino, quando consegnando all’uomo suo destino, dicevi puoi essere tu colui che sulla terra eliminando ogni cosa materiale si eleva fino a “ toccare quella luce e contemplarla mediante quella stessa luce, non con la luce di un altro ,ma con quella stessa con la quale vede . Poichè la luce, dalla quale è illuminata, è la luce che essa deve contemplare” nella quale l’uomo annullandosi in una forma di mistica aspirazione che tu, maestro, chiamavi “estasi” si congiungeva finalmente con il suo principio e tanto ti ingombrava,maestro, in quella suprema visione il peso del tuo corpo che il tuo fedele discepolo Porfirio, a te che ti opponevi, ti dedicò con la sua una tua “Vita”, dove è scritto che : “Plotino, il filosofo della nostra epoca,sembrava si vergognasse di essere in un corpo. Con questo sentimento egli non volle raccontare mai nulla né della sua origine né dei suoi parenti né della sua patria. E neppure volle mai accanto a sé pittore o scultore, sicché ad Amelio che gli domandava il permesso di fargli fare il ritratto disse: «Non è abbastanza portare questa immagine che la natura ci ha messo intorno, e bisognerà anche permettere che di questa immagine rimanga un’altra immagine più duratura, come se essa fosse degna di uno sguardo?» E così rifiutò e non volle posare…. egli non ha confidato a nessuno né il mese in cui era nato né il giorno della sua nascita; neppure volle mai che si facesse un sacrificio o un banchetto per il suo compleanno; invece ad ogni ricorrenza natalizia di Platone di Socrate sacrificava e invitava gli amici a un banchetto, e allora bisognava che i più bravi leggessero un discorso dinanzi ai convitati” e tanto lo disprezzavi e ne avevi poca cura, continua ancora il tuo devoto discepolo, che : “Benché egli soffrisse spesso di disturbi intestinali, non volle mai assoggettarsi a lavaggi dicendo che simile cura non conveniva ad un uomo anziano e nemmeno volle ricorrere al rimedio della triaca, dicendo che non si nutriva neppure della carne degli animali domestici …. Finché io fui presso di lui, non apparve nulla, ma dopo la mia partenza la malattia si aggravò a tal segno che …quando fu in punto di morte, Eustachio, che abitava allora a Pozzuoli, arrivò da lui troppo tardi, come mi narrò egli stesso. Plotino gli disse: “Io mi sforzo di ricondurre il divino ch’è in me al divino che è nell’universo”; e mentre un serpente passava sotto il letto sul quale egli giaceva, scomparendo poi dentro un buco della parete, Plotino rese lo spirito, nell’età, come mi disse Eustachio, di sessantasei anni, quando s’era già compiuto il secondo anno del governo di Claudio”… e mentre che il tuo corpo partiva, si apriva per te, maestro, per l’occidente a rivoluzionare quel secolo nuovo che raccogliendo della tua lungimirante istanza soteriologica la portata vedrà con le persecuzioni prima il trionfo poi del cristianesimo che regnando in appresso poi sicuro, ti volle, distante da tutti gli altri filosofi, fieramente a confermare in quella Scuola di Atene che avvolto nel tuo mantello rosso ti tiene in silenzioso isolamento assorto guardare verso quel tuo primo maestro che in segno di chiaro disprezzo del mondo sembrava già molti secoli prima additare il cammino …Diogene di Sinope fu il suo nome e questa è la sua ciotola!
Anche per te, maestro Plotino, alla maniera del mio maestro Diogene c’è un mio epigramma: “Per sessantasei anni ti trattenne prigioniero sulla terra il tuo corpo non il tuo spirito che libero se andò avvolto dalla luce nell’universo dei secoli a venire in eterno fra i grandi!”
Questo, maestro, nei giorni dell’aprile che mi trattiene, l’amore mio prigioniero … il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno 17 di aprile 2019)