EPIGRAFE
E’ futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno.
(Guglielmo di Occam, “Summa Logicae”)
Ed anche per te, maestro Guglielmo, figlio della città di Occam che degli enti che non si devono più del necessario moltiplicare, ne facesti principio … canterò il mio canto e discepolo reso fedele alla tua misura che “è’ futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno” anch’io tenterò e se cedendo talvolta al mio antico “vizio” qualche linea, artefice di vieti ed abusati sillogismi, dovesse al tuo“rasoio” sfuggire, non mi rimproverare, maestro Occam, chè anche tu una volta urgendo la conoscenza ella che era una, doppia la facesti anzi quattro, chè sempre “le pinzochere” ardono “bussano e sono sempre quelle”. Perciò nella promessa e nell’augurio che “la strada sia lunga, fertile in tante avventure e in esperienze” io, maestro Occam, vorrò seguirti e tu sii benevolo, chè aspra ed irta rimane la via della conoscenza, come ben sperimentasti quando ancora venerabile principiante (venerablis inceptor) in cammino, in quella lontana università di Oxford, per quel magistero delle arti che ti avrebbe laureato “magister” per l’invidia di quel tal “cancelliere” che di eresia ti accusò, non mai salisti in“cathedra”, chè anzi convocato nella“Nuova Babilonia” da quel papa, che della vigna del Signore fu detto il “guastatore”, furono sulle “Sentenze” di quel tal Pietro non solo interdette le tue lezioni ma “scomunicato” con Bonagrazia e Michele da Cesena, tuo generale, che degli “spirituali” difendevano di Cristo l’assoluta povertà, dovesti fuggire e costretto all’esilio presso l’imperatore che al “Mida di Avignone” osò opporre l’antipapa Niccolò, ti rifugiasti ed in terra di Baviera raccogliesti la tua nuova patria e fu tutta gloria, maestro, la tua strada!
E rifiutando ogni tentativo che la “fede” volesse con la “ragione” conciliare, veloce ti incamminasti sulla via della sapienza più certa, quella che passando per il rigore della “logica” ne stabiliva modi e percorsi ed acclarato per te, maestro, che tra il “pensare” e l’“essere” esiste un rapporto e che il problema non è più di studiare il “perché” quanto piuttosto il “come” questi due mondi tra di loro si corrispondano chiamasti alla tua parte quel grande Ispano che papa si fece,il quale affermando che la “logica verte sulle nostre proprie operazioni…che sono perciò interamente nostre proprie attività” scienza “pratica” la diceva, senza quindi alcuna implicazione metafisica, degli “universali”, di cui Aristotele non aveva detto ma la Scolastica troppo discuteva, assalisti la “vexata quaestio”. Ed interrogandoti sulle tre annose questioni: “la prima questione è se i generi e le specie sussistano fuori dell’anima o esistano solo nell’intelletto. La seconda se siano corporei o incorporei. La terza è, posto che siano incorporei, se siano separati dai sensibili o siano nei sensibili stessi” da cui scrivi Porfirio si sarebbe astenuto “per la ragione che esse riguardano il metafisico e non il logico” così procedesti ed affermando che anche se “ tali questioni, e altre simili, non riguardino il logico ma il metafisico, ne daremo in breve (poiché ne abbiamo trattato altrove più diffusamente) alcuni chiarimenti circa ciò che si deve dire e insegnare, secondo il pensiero di Aristotele e secondo verità” oltre, maestro ti portasti. E convinto che “ qualsiasi cosa si possa immaginare esistente, tale cosa è per se stessa una cosa singola, una di numero, senza che nulla le venga aggiunto per esser tale”… ed …. ogni cosa è se stessa per se stessa, oppure è diversa da un’altra” continuasti sostenendo che“nessun universale esiste realmente fuori dell’anima, e cioè nelle sostanze individuali, né appartiene alla loro sostanza o alla loro essenza. L’universale esiste solo nell’anima, vale a dire è universale, per convenzione; così, la parola “animale”, e similmente la parola “uomo”, sono universali perché sono predicabili di molti individui; cioè sono universali, non per se stesse, ma per le cose significano” avviando quella che fu la tua “rivoluzione”!
E concludendo che “da ciò che si è detto risulta allora chiaro” che in quanto alla “prima questione, bisogna tener per fermo che i generi e le specie non sussistono fuori dell’anima; essi esistono solo nell’intelletto, perché non sono altro che atti intenzionali, ovvero concetti dm l’intelletto forma per esprimere l’essere delle cose. Essi significano le cose, ma non sono essi stessi cose, così come un segno non è la stessa del suo significato; e non sono una parte delle cose, così come una parola non è una parte della cosa che essa significa” e che gli “universali” di cui tanto si è travagliato la Scolastica, non sono altro che “dei termini (e fu questo il tuo “nominalismo”) predicabili delle cose, e non predicabili di se stessi; quando il genere viene predicato della specie, infatti, il genere e la specie non stanno per se stes¬si, ma stanno al posto delle cose che essi significano, cioè al posto delle cose singole. In altre parole, i generi e le specie vengono predicati al posto delle cose stesse che significano”. Le parole, o meglio i “termini” di cui tu scrivevi “un termine può essere scritto, orale o mentale. Un termine scritto è la parte di una proposizione tracciata su un corpo fisico, che sia visibile da un occhio corporeo. Un termine orale è la parte di una proposizione pronunciata dalla bocca e destinata ad essere intesa da un orecchio corporeo. Un termine mentale è un’intenzione, o una passione dell’anima che significa naturalmente qualcosa, destinata ad essere parte di una proposizione mentale e a supporre per questo qualcosa. Quindi i termini concettuali e le posizioni da essi composte sono espressioni mentali … che non appartengono ad alcuna lingua particolare, poiché rimangono solo nella mente” non sono più quindi, come l’annosa questione comandava “forme” ,”idee” o “specchi” delle cose, ma solo delle “intenzioni dell’anima” che, senza alcuna mediazione e “moltiplicazione” chè “gli enti, scrivevi, non devono moltiplicarsi al di là di quanto è necessario”, non uno di più nè uno di meno, come la gloria del tuo “rasoio” comandò. I termini infatti non sono che “segni” si mettono, ed ecco avanzare la tua “suppositio” al posto degli “enti”, ma non possiedono alcun valore conoscitivo essendo, come più volte ci ricordi, la conoscenza sempre affidata all’esperienza diretta, ovvero a quella conoscenza “intuitiva” sensibile,la solo che “empiricamente” ci può dire se una cosa è o non è e che … nella tua patria inglese tanto frutto partorirà!
La “logica” infatti trasportando per la “suppositio” che nel tuo “Compendio di Logica” così chiarirai “una volta trattato della significazione dei termini resta da parlare della supposizione, proprietà che conviene al termine, ma solo quando è all’interno della proposizione. Si dice dunque supposizione lo stare in un qual modo al posto di qualcos’altro, così che quando un termine in una proposizione tiene il posto di qualche altra cosa, in modo che, nel caso in cui lo usiamo per qualche cosa, il termine stesso o il suo nominativo, se è un caso obliquo, si verifica della cosa stessa o del pronome dimostrativo che la designa, il termine suppone per essa” mettendo i suoi “termini”, i suoi “enti logici” posto degli “enti reali” e dividendola ”bisogna inoltre sapere che la supposizione si divide primariamente in supposizione personale posizione semplice e supposizione materiale” per quei tuoi tre modi di porsi, avanzi a sostenere il suo valore di semplice “strumento” operativo della logica che nel desiderio però di consegnarsi ad una conoscenza più alta di quella dei sensi, anche tu, maestro, dovesti salire e se pur ben radicato e sull’esperienza ripiegato, dovesti“moltiplicare”. E fu così che di contro la tua “aurea” regola, oltre la conoscenza“intuitiva” che “è la conoscenza mediante la quale si può sapere se la cosa esiste o non esiste” e “ci fa conoscere che una cosa è, quando è e che non è, quando non è” ti spingesti e “causando” venne dalla prima la seconda e poi la terza con la quarta, pagando anche tu, maestro, il tuo conto a colui che “tra color che sanno siede” o forse ancor più a quel suo santo allievo che le cinque vie tentò!
Scrivevi infatti “si chiama invece astrattiva quella conoscenza in virtù della quale non si può sapere con evidenza di una cosa contingente che esiste o non esiste. In questo senso, la conoscenza astrattiva prescinde dall’esistenza e dalla non esistenza, poiché per mezzo di essa non si può sapere con evidenza di una cosa esistente che esiste, né di una cosa non esistente che non esiste, in opposto alla conoscenza intuitiva” e che “si deve tuttavia sapere che la conoscenza astrattiva è di due tipi, c’è una conoscenza astrattiva in rapporto a qualche cosa di astratto da molte cose singolari, e la cono-scenza astrattiva così intesa coincide con la conoscenza di un universale, che si può astrarre da più cose, di cui si parlerà in seguito, e … c’è un altro tipo di conoscenza astrattiva, quella che prescinde dall’esistenza e dalla non esistenza e dalle altre condizioni che si accompagnano come accidenti contingenti di una cosa o che di essa si predica che “la distinzione fra di esse è la seguente: la co¬noscenza intuitiva di una cosa è quella conoscenza in virtù della quale si può sapere se una cosa esiste o non esiste, di modo che, se una cosa esiste subito l’intelletto la giudica esistente e conosce con evidenza che essa è, a meno che non ne sia impedito dall’imperfezione di quella conoscenza” e se poi tutto questo a qualcuno che volle osare sembrò che cacciati dalla porta gli “universali” rientrassero dalla finestra, non ti crucciare, maestro Occam che non fu vera gloria, chè, afferrando l’eccezione per le corna, così ribattevi con forza riaffermando che essi, proprio perché prescindono dalla realtà, non aggiungeranno mai nessuna conoscenza alla conoscenza della cosa “contingente”, cui la vera scienza è interessata e sempre dunque alla sola conoscenza “intuitiva” che, ricordiamo, non è solo una semplice sensazione materiale ma sempre contiene un atto intellettivo, spetta e resta la palma della conoscenza scientifica!
Quella palma che altri dopo di te, maestro, nella tua patria inglese raccogliendo faranno ancora più grande e legando per sempre alle sensazioni (esse est percipi) la nostra di conoscenza e lontano ricordo di un tempo in cui con gli “universali” regnava con Dio la Scolastica, fu per sempre licenziata la “vexata quaestio”!
Ed ora che il tempo e la misura di questa mia epistola mi avvicina al congedo e per altri maestri devo andare, ti ringrazio, maestro Occam, chè insieme mi concedesti di tenere con te un lungo viaggio che, come già il poeta si augurò, fu “fertile in avventure e tante esperienze” e poiché, oltre la “logica”, cui il mio breve genio mi incatenò, il tuo pensiero avanzò e molto ancora, maestro, avremmo potuto continuare e superando di Ercole le colonne con te navigare in quella tua sconfinata onnipotenza di Dio “potentia Dei absoluta” che nulla chiedendo intermediari tra lui e le sue creature, il tuo “rasoio” fece “semplice” e sciogliendolo da tutti quegli antichi vincoli che lo avevano prima per Aristotele e poi per Tommaso legato, senza “impedimenta”,lo liberasti rendendolo, nella sua stessa volontà di essere Dio, assolutamente libero. E convinto, di contro di chi prima di te aveva creduto che Dio non può non volere il bene, decisamente affermasti pagandone il fio che Dio non vuole qualcosa perché è bene ma è bene ciò che lui vuole,tanto che lo stesso mondo se avesse voluto avrebbe potuto essere diverso o ancor di più, e fu, maestro, il tuo paradosso, che se Egli avesse voluto che gli uomini lo odiassero anche l’odio sarebbe stato un bene!
O ancora, maestro, seguirti, in quella terra di Baviera, dove traducendosi in un libro i tuoi gloriosi “novanta giorni”, avremmo potuto continuare per la scienza della “politica” che fu il tuo secondo amore e raccogliendo di Cristo le parole “date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio” separando “Cesare da Dio” tutto separasti ed assegnando all’imperatore“la spada” ed al papa “il pasturale” della teocratica teoria che voleva come la“luna” l’impero dal “sole” del papato illuminata, ne atterrasti le pretese e da quel giorno due “soli” sorsero ad illuminare il mondo e fu vera gloria se poi tu sciogliendo con il tuo amico “figlio del diavolo” la “politica” dalla “religione” entrambi poi i “soli” ne fecero utile e qualcuno dura ancora!
E se poi, maestro Occam, per il “peso” che quel tal “Mida di Avignone” ti volle imporre fosti costretto a fuggire ed una lapide senza fonti ti vuole in Italia a salire al cielo in uno sperduto convento campano, presso il Bavaro imperatore invece ti riparasti colà continuando … fino a quando venuto il compimento dei tuoi ultimi giorni con onore in quell’abside dell’antica chiesa di Francesco venisti sepolto, e dove ancora oggi, maestro, insieme con Michele e Bonagrazia continui a glorificare Cristo nella sua povertà e quella nostra umana “contigenza” che con lo Scoto in cammino ora cede alla fatica lasciando sulla pergamena cadere la stanca mano ed io che senza ali ho osato nel tuo mondo di volare, ti chiedo, maestro, indulgenza chè, colma per te di “tutta merce fine” la mia “navicella” vuol ora riposare ed in un porto sicuro trovare finalmente riparo. “I vespri” avanzando la sera si sono già da tempo consegnati alla preghiera di “compieta” ed è notte nello scrittoio, il pollice mi duole ed io devo andare, e … tu, lettore, chiunque tu sia, vieni, seguimi, riposa con me, chè … domani una nuova epistola ci attende ed il Maestro, come sempre, “lui dirà e noi ascolteremo!”
Questo, maestro, il mio epigramma per te “ Questo, straniero, è il tumulo di colui che, Invincibile tra i filosofi, la gloriosa terra d’Inghilterra partorì e accolse la fortunata terra di Baviera.
Questo, maestro, nel luglio che muore, l’amore e il suo dolore … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno di lunedì 26 luglio dell’anno del Signore 2021