EPIGRAFE
A Francesco Lo Monaco
Come il divo Alighier l’ingrata Flora / Errar fea, per civil rabbia sanguigna,
Pel suol, cui liberal natura infiora, / Ove spesso il buon nasce e rado alligna,
Esule egregio, narri; e Tu pur ora / Duro esempio ne dai, Tu, cui maligna
Sorte sospinse, e tiene incerto ancora / In questa di gentili alme madrigna.
Tal premj, Italia, i tuoi migliori, e poi / Che pro se piangi, e ’l cener freddo adori,
E al nome voto onor divini fai? / Sì da’ barbari oppressa opprimi i tuoi,
E ognor tuoi danni e tue colpe deplori, / Pentita sempre, e non cangiata mai.
(A. Manzoni, “Per la vita di Dante” )
Ed anche per te, maestro Lo Monaco figlio della città di Montalbano Jonico, che della “libertà ne facesti morte e voto”… canterò il mio canto!
Tu, che nato il primidì della prima decade di Frimaio dell‘anno XX prima della Libertà, nel giorno del raperonzolo … non vedesti il tuo corpo sfiorire chè prima ancora di invecchiare al fiume lo affidasti. E di quel tuo grande amico che in te specchiandosi in quel tanto sonetto che ti dedicò, ti avvisava di quando “Francesco, e’ non fu mai chi per sentiero / Sparso di fronde e fior fino a verace / Gloria franco poggiasse, o bello o vero / Quaggiù cercando, o s’altro ai savi piace” fosse arduo nel mondo di varcare della “verace gloria” il sentiero” ed ancora di quanto l’ostilità e l’invidia del “vulgo” richieda di ravvolgersi “nell’irto manto di Stoa” non valsero né le cure né i voti né gli ammonimenti e nemmeno il ristoro di quella cattedra di storia e geografia nella Scuola Militare di Pavia, che ancora il tuo grande amico perorò al potente Vincenzo Monti quando intercedendo per te scriveva: “ Ignoro troppo della materia di cui egli ( Lo Monaco) vuolsi far dottore, non posso nulla predire del progresso che essa può fare nelle sue mani, ma ti ringrazio delle premure che prendi a favore di un uomo, che stimo ed amo per la sua probità, e se i miei preghi valgono appo te, te ne fo perché tu le continui”, chè troppo grande fu il tuo dolore e troppe e molte e gravi furono alla tua condizione di “rifuggito” le maldicenze . E non solo perché per un errore di trascrizione, tra i tanti tuoi compagni “patrioti” che furono dalla barbaria borbonica vittime, salvasti la vita, ma in particolare perché, in quel tuo puro e duro“Rapporto al Cittadino Carnot”, passando dall’illusione alla denuncia, osasti, della gloriosa capitolazione di quella brevissima e per il tributo di sangue alla libertà versato, eppure immortale “Rivoluzione Napoletana”, denunciare non solo “l’indole del poter arbitrario, e ‘l carattere feroce de’ re” che per il re Borbone di Napoli, continui “ non si risparmiò né l’innocenza dell’infanzia, né l’impotenza della vecchiaia,né gl’incanti del sesso, né l’eminenza del merito e del talento. ma anche e soprattutto la secolare e velenosa frammentazione politica dell’Italia che la rendeva vittima perenne dell’egemonia straniera. Scrivevi, infatti, auspicando quel Risorgimento che sarebbe venuto “qual riparo a tanti mali? Qual rimedio a piaghe sì profonde? Come imprimere alle depresse e avvilite fisionomie italiane il suggello dell’antica grandezza e maestà?” E sempre auspicando già allora una Europa “in bilancia” dei suoi stati, sognando quell’Italia che il tuo grande amico Lombardo di lì a pochi anni avrebbe chiuso in quei due versi di “una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor” rispondevi “uno de’ principali mezzi, secondo me, è l’unione. Perché termini il monopolio inglese, e i vili isolani cessino di arricchirsi su le rovine del continente; perché si oppongano argini all’ambizione dell’Austria, la Francia abbia una fedele alleata, la condotta della Prussia sia meno equivoca, il gran colosso dell’impero russo stia immobile ne’ghiacci del Nord, la Spagna divenga stabile amica della gran repubblica; perché, in una parola, vi sia in Europa bilancia politica e si dissecchi la sorgente delle guerre, è d’uopo che l’Italia sia fusa in un sol governo, facendo un fascio di forze” e continuando aggiungevi solo “realizzandosi questa idea, gl’italiani, avendo nazione, acquisteranno spirito di nazionalità; avendo governo, diverranno politici e guerrieri; avendo patria, godranno della libertà e di tutt’i beni che ne derivano; formando una gran massa di popolazione, saranno penetrati da’ sentimenti della forza e dell’orgoglio pubblico, e stabiliranno una potenza che non sarà soggetta agli assalti dello straniero!”
E se ti fu nemica la sorte e molti anni ancora dovranno passare, perchè l’Italia, come tu scrivevi, “poco si stimava”, divisa come era ancora tra napoletani, lombardi e toscani, pure però continuasti (non fosti forse tu,maestro, un allievo di quel grande illuminista napoletano che insieme all’americano Benjamin Franklin aveva concorso alla scrittura della“Costituzione Anmericana !) a sognare quel tempo venturo di libertà e di felicità e perché il sogno si facesse sempre più solerte, con le tue due opere, l’una dal titolo “Vite degli eccellenti italiani”e l’altra “Vite dei famosi capitani d’Italia”, senza risparmio, non mancasti di rincuorare e di incitare gli italiani alla lotta perché dell’Italia “cangiasse” il destino. E così non mai smettendo quel sogno così all’Italia cantasti “ a te, dunque, Italia mia, io intitolo questo lavoro. In porvi mano ebbi per iscopo di mostrare ai miei concittadini, come in un quadro, la gloria di comuni egregi avoli…che sempre …”per eterna legge della natura, le cose tutte di questo mondo dall’ordine inabissano nel disordine, e dal disordine all’ordine risalgono…e per …” i voti del più pio e a un tempo del più derelitto dei tuoi figliuoli, qual io sono, si compiano una volta pel cangiamento delle sorti tue.” Ma troppi erano ancora, ma tempo verrà, dell’Italia i costumi provinciali e corrotti e per quanto su tutti ti elevassi tu novello “Plutarco Italiano”, a nulla valsero i tuoi appelli e dei tuoi grandi gli“exempla” chè morta era,e fu Napoleone la tua sventura, la libertà, uccisa dal rinnovellarsi della recente tirannide, come ben sperimentasti, quando lasciando la tua amata terra lucana ti recasti per gli studi a Napoli. Dove visitando e frequentando quel che già il tuo “indomito” spirito ti dettava, ti facesti compagno e “patriota” di quella migliore “intellighentia” non meridionale ma italiana (l’Illuminismo fu gloria napoletana non milanese!) che tradita (e mi piace qui di fare, a tuo riscatto, maestro Lo Monaco, in pompa magna e sonante il nome del traditore che si svelò e non tanto nascostamente per essere stato il grande (sic!) ammiraglio Orazio Nelson: agli Inglesi grato ma non certamente all’Italia) decapitata dalla ferocia borbonica fu lutto non solo per Napoli e per tutto il Meridione ma dell’Italia intera ed ancor più forse dell’Europa . Una tragedia di uomini e di idee alla quale anche la mia piccola patria cilentana pagò il suo tributo di sangue ed alla quale tu, nello spirito libertario che sempre ti connotò, rimanesti per sempre legato, quando fuori dal coro del“servo encomio”, in quel tuo libello “Analisi della sensibilità” osasti dalla gloria del Corso di prendere le distanze nonché avanzare “sentenza” di riserva sulle sue azioni: “Bonaparte, se volesse, sarebbe nelle circostanze di eclissare la gloria degli antichi e moderni ordinatori di stati: egli sovrasta i destini di due grandi nazioni. Ma prima di vedere lo scopo delle sue segrete mire politiche, le meta dei suoi nascosti progetti, il totale compimento delle sue strepitose imprese, non conviene profferire su di lui una definitiva sentenza, giacché potrei essere o servilmente adulato, o ingiustamente maledetto. Gli egiziani non giudicano gli uomini che dopo la loro morte”. Posizione che non dispiacque al tuo amico Foscolo, al quale annunciandogli la sua futura grandezza “la tua fisionomia, mio caro, mio dolce amico, Foscolo, la tua sublime, ardita e melanconica fisionomia non annunzia al filosofo la grandezza de’ tuoi pensieri, la tua forza di carattere, l’energia delle passioni che ti animano? Il fuoco che si ravvisa nel tuo portamento, il tuono della tua voce, le tue stesse mosse non indicano ciocché tu sei, e ciocché sei disposto a divenire” rimase sempre al tuo fianco, condannando anche lui il suo vile tradimento di Campoformio, ma che di contro non piacque invece ai tanti “paladini” del nuovo signore francese che vilmente piegati alla“novella tirannide” contro di te si scagliarono quando pubblicando la tua ultima opera “ I discorsi letterari e filosofici”, tu dichiaravi di contro il linguaggio corrente, affettato e lambiccato del vuoto conformismo lombardo, di volere seguire, e tu ne fosti grande ammiratore e studioso , il linguaggio “tosco” del grande fiorentino che all’Italia “ non più donna di province, ma bordello” così l’ammoniva “ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta” spingendola al riscatto: che non mai più nessun linguaggio, si ricordi, dovrà farsi strumento di schiavitù!
E fu così,maestro, che nell’affermare quella verità e nel chiaro intento di condannare quel vuoto formalismi linguistico che favoriva la schiavitù, con forza dichiarasti che “in vece di dire cortigiano” avresti detto “ servitore” ed in vece di “damerino” avresti scritto “pappa mosche” ed in vece di “donna galante” avresti detto “puttana”. Troppo avanti forse e troppo ardite le tue critiche, e quella sterile e vuota società che la sottile ironia del Cigno di Bosisio aveva cantato e che pure ti aveva “benevolmente” accolto, non capì o meglio forse non volle capire e così chiusa nei suoi “cicisbeismi”,accusò i tuoi “Discorsi” di spargere “proposizioni contrarie ai principi del governo e della politica non senza frequenti allusioni, ingiuriose e maligne, atte a fomentare principi sediziosi, quando imprudenti e false, quando sudicie ributtanti, e cariche di lascivia e laidezza intollerabili” e fu per te che da quest’opera ti aspettavi la maggiore fama il diluvio delle“maldicenze, della delazione più infame e della calunnia”… troppo ed anche per un uomo che ancora giovane, avrebbe potuto sopportare pesi maggiori,tu che da sempre avevi condannati suicidi, cominciasti seriamente , come a pensare di “troncarti la vita” fatalmente avviandoti verso quel che fu poi il tuo destino. Sicchè, come ebbe a testimoniare anche il tuo grande amico Lombardo in quella sua rievocazione sul “Corriere della Sera” pubblicata del 12-13 ottobre dell’anno 1866 : “all’ora solita” di quello che,secondo il calendario della tua “Rivoluzione, sarebbe stato il giorno della trota (sic!) ovvero il quintidì della seconda decade del mese di Fruttidoro dell ‘anno XVII della Libertà, ti levasti dal letto ti avvicinasti allo scrittoio e quella che da sempre era stata l’ora più bella ed assaggiandola tra le dita, con il pensiero determinato allo scopo, prendesti la tua amata penna d’oca dal calamaio e battendola più di una volta lentamente prendesti a scorrere sul foglio bianco e scrivesti: “Caro ed amato fratello, dopo l’epoca della stampa del mio ultimo libro Discorsi filosofici e letterari, io sono stato il bersaglio della maldicenza, della delazione la più infame e della calunnia. I miei fieri e implacabili nemici, non contenti di tutto ciò, muovono ora tutte le macchine per perdermi …. ma perché ciò non accada, ho destinato di troncarmi la vita. Se vissi sempre indipendente e glorioso, voglio morire indipendente e gloriosissimo: so che questo passo fatale vi amareggia immensamente, ma col fato non lige dar di cozzo” firmandoti, come eri solito fare quando alla tua famiglia scrivevi, “Ciccio” ti alzasti e … avremmo potuto continuare noi che di quei fatti pure fummo edotti, ma poiché, come ho già scritto, più grandi “altezze” scrissero, io ristagno e volentieri in un umiltà a “quel tal Sandro, autor d’un Romanzetto, ove si tratta di Promessi Sposi” cedo la penna e sarà lui, maestro, per te a narrare di quei tuoi ultimi istanti: “si vestì degli abiti da festa; uscì di casa e andò al caffè del Barilotto, dove bevve un bicchiere di vino,e quando fu su la riva del Navigliaccio presso S. Lanfranco, luogo molto solitario, si tuffò nella corrente, in quel giorno rapidissima. Un soldato
cercò di salvare il suicida, ma lottò invano con le onde, e per poco non ne
fu inghiottito anche lui” fu tutto inutile e per sempre quel mattino i tuoi “ capelli e ciglia castagni scuri, occhi cervoni, viso bislungo, tarlato di vajolo, naso grosso” (fu questo il ritratto che la polizia borbonica ne fece) furono alla gloria della storia consegnati! E fu quel giorno “giorno d’ira e di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità,” che cadendo su di te, maestro Lo Monaco, recise l’ultimo “fiore” di quella corona insanguinata che fu l’alba di qull’Italia Unita che sarebbe venuta.
Niuno in quel giorno santo alla Libertà votato,venne al tuo funerale né mai il fiume restituì il tuo corpo, e chi della tua maligna sorte si fece artefice e padrone ora io, in congedo da te, dichiarerò e rubando dall”Ode” che il tuo grande amico Lombardo in morte gli dedicò, io “farò sacco” e della sua ultima strofa e non alla“Bella immortal, benefica Fede ai trionfi avvezza” inneggerò ma alla “Libertà” e per te, maestro, canterò “Tu, Libertà, dalle stanche sue ceneri / sperdi ogni ria parola” e domanderò all’invitta Libertà di posare sul suo cenotafio il suo stendardo, chè se del Corso fu grande il “nome, ancora più grande “ove fia santo e lagrimato il sangue / per la patria versato”sarà il tuo, maestro lo Monaco, ed … ora per sempre varrà in ogni luogo il suo, il tuo epitaffio: “hic cineres ubique nomen” e … più non dico e non traduco!
Questo,maestro, il mio epigramma per te: “Bevesti al Barilotto quel mattino ma non fu il vino a rapirti ma l’acqua del Ticino!
Questo, maestro, nel giugno che mi accompagna, chi libertà agogna … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore pomeridiane del giorno di domenica 26 giugno dell’anno del Signore 2023