EPIGRAFE
Ora, se il Giudizio, che nell’ordine delle nostre facoltà di conoscere fa come da termine medio tra l’intelletto e la ragione, abbia anche per se stesso principii a priori;, se questi principii siano costitutivi o semplicemente regolativi (e perciò non attestino un proprio dominio); e se il Giudizio dia a priori la regola al sentimento di piacere o dispiacere, come al termine medio tra la facoltà di conoscere e la facoltà di desiderare (proprio come l’intelletto prescrive leggi a priori alla prima, e la ragione alla seconda):ecco di cui si occupa la presente critica del Giudizio.
(E. Kant,.“Critica del Giudizio” )
Comincia de la Epistola a Kant la terza ed ultima parte, ne la quale, chiamata a“tribunale” ancora una volta la ragione, come già nella“Prima”e poi nella “Seconda” anche in questa “Terza ” si tratterà di esaminare, seconda la sua misura, se l’attività “sentimentale” ed il “giudizio” suo conseguente, che termine “medio” si pone tra l’intelletto e la ragione, possa quell’annoso “dualismo” che “l’un contro l’altro” oppone la attività “teoretica” e quella “pratica”, superare. Tu stesso, maestro,in verità non rassegnato, tentavi “ora, sebbene vi sia un immensurabile abisso tra il dominio del concetto della natura…e il dominio del concetto della libertà,… in modo che non è possibile nessun passaggio dal primo al secondo… quasi fossero due mondi tanto diversi” pure “vi deve essere … un fondamento … che permette nondimeno il passaggio dal modo di pensare secondo i principii dell’uno al modo di pensare secondo i principii dell’altro” … passaggio che, maestro, individuasti in quel termine “medio” del “giudizio” che strettamente connesso al “sentimento del piacere e del dispiacere” tu intenderai come “facoltà di pensare il particolare come contenuto nell’universale” e della quale “si ha ragione di presumere, per analogia, che contenga anch’esso, se non una sua propria legislazione, almeno un principio proprio di ricercare secondo le leggi” tanto che “sebbene la filosofia non possa essere divisa se non in due parti principali, la teoretica e la pratica … a vantaggio della possibilità del sistema stesso, resta divisa in tre parti: la critica dell’intelletto puro, la critica del giudizio puro e la critica della ragione pura”. Assicurato con la sua facoltà al “giudizio” la legittimità “filosofica” ci mettiamo ordunque in cammino, avvisando fin da subito che “se è dato l’universale, il giudizio che opera la sussunzione del particolare è “determinante” … se invece è dato soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l’universale, esso è semplicemente “riflettente” ed apprendendo, maestro, che due sono i suoi “modi” i suoi operare. E che l’un giudizio, che hai, maestro, chiamato “determinante”, in realtà è lo stesso che nella “Critica della ragion pura” con altro nome chiamavi “giudizio sintetico a priori” e che ben abbiamo già imparato a conoscere e che per determinare ovvero “sussumere” un fenomeno sotto una legge universale è di valore “conoscitivo” ,mentre quello che hai chiamato “riflettente” tendendo a “proiettare” sugli oggetti le proprie esigenze “sentimentali” cerca invece e per questo “riflettente”, di trovare un universale che in esso “rispecchi” tali sue esigenze sentimentali, nulla aggiungendo alla nostra conoscenza, ma che disponendosi a leggere la natura come se fosse organizzata secondo un “fine”, aprirà, potremmo con te, maestro, dire una nuova, diversa, “weltanschauung, visione del mondo che tanto piacerà al secolo che verrà, anche se, come già per l’agire morale, anche questa “finalità della natura” non potrà mai essere razionalmente dimostrata ma sola “postulata” . Due poi di questo “giudizio riflettente” saranno le tipologie e precisamente : 1) i “giudizi riflettenti estetici” e 2) i “giudizi riflettenti teleologici”. I primi sono quelli che, oltre l’opposizione che riduce “l’un contro l’altro armati” la necessità contro la libertà, diremo poi con le parole dell’idealismo di “natura contro spirito”, cercheranno nel “bello” e nel “sublime” ed in quella che tu, maestro, chiamerai “arte bella”, quell’ accordo, quell’armonia che avanzando velocemente sulle tue orme si farà ancora più grande in quella “intuizione estetica” di quel grande di Germania che solo all’”arte” diede il potere di conciliare la natura con lo spirito consegnando all’uomo l’”assoluto”, ed … a te, maestro, debitore il Romanticismo!
Chè il “ponte” sarà quel tuo “giudizio di gusto” ovvero, quella “facoltà, scrivevi, di giudicare un oggetto o un tipo di rappresentazione mediante un piacere o un dispiacere, senza alcun interesse” che non sarà mai “un giudizio di conoscenza, cioè logico, ma è estetico; il che significa che il suo fondamento non può essere se non nel soggettivo” e di conseguenza “bello non è l’oggetto che si ammira ma la bella rappresentazione” che in armonia di quel principio di “finalità” che avevamo postulato, noi “disinteressatamente” senza uno scopo ci procuriamo. “La bellezza” confermavi “è la forma della finalità di una cosa in quanto questa vi è percepita senza la rappresentazione di uno scopo” ed il cui “piacere è sempre legato con la rappresentazione della qualità” ma anche la “quantità”, scrivevi, maestro, nella sua incommensurabilità, o “illimitatezza” informale, ci colpisce e di contro avanza quel diverso “sentimento” che chiamerai del “sublime” del quale segnandone con quello del “bello” la differenza, così fai luce “il bello della natura riguarda la forma dell’oggetto, la quale consiste nella limitazione; il sublime, invece, si può trovare anche in un oggetto informe, se però la mancanza di limiti che è in esso, o da esso occasionata, sia rappresentata insieme con la sua totalità: sicché pare che il bello debba essere riguardato come l’esibizione d’un concetto indefinito dell’intelletto, e il sublime come l’esibizione d’un concetto indefinito della ragione. Nel primo caso il piacere è legato alla rappresentazione della qualità, nel secondo della quantità” e se… “il bello produce direttamente un senso di esaltamento della vita,…il sublime invece è un piacere che ha un’origine indiretta, cioè è prodotto dal senso di una momentanea sospensione, seguita subito da una più forte effusione, delle forze vitali” che invece di armonizzarsi, si contrastano. Come accade quando di fronte all’incommensurabile per grandezza (sublime matematico) o per la forza (sublime dinamico) come l’immensità di un cielo stellato o un oceano in tempesta o come talvolta poetando ti piacque, maestro, di fronte a “rupi ardite e scoscese, quasi minacciose, nubi di tempesta che si accumulano nel cielo, avanzando con lampi e tuoni, vulcani in tutta la loro potenza distruttrice” noi sentiamo che il “nostro potere di resistenza, a confronto della loro potenza, si riduce una piccolezza insignificante” e pure attratti, ancor più se ci troviamo al sicuro, ci sentiamo insufficienti ed incapaci per la sola “immaginazione” di abbracciare tale incommensurabile immensità se, oltre il“contrasto armonico” non ci soccorresse la “ragione” che nell’uso “trascendente” delle sue idee ci permette di osare e di attingere a quella dimensione dell’infinito che altrimenti prima ci sfuggiva e che ora per la potenza della “ragione” avvisiamo, come tu scrivi, maestro, risiedere in noi :“la vera sublimità non dev’essere cercata se non nell’animo di colui che giudica, e non nell’oggetto naturale, il cui giudizio dà luogo a quello stato d’animo” e quanto più l’animo nostro sconfina e nell’infinito precipita tanto più prepotente dentro di noi si avanza il desiderio dell’assoluto e di quel principio di “finalità”, che ora più dettagliatamente urge, in quelli che hai chiamato i “giudizi teleologici riflettenti “, di esaminare.
Ma non prima però, come tu stesso fai, ed io discepolo fedele raccolgo, nel capitolo dell’“Osservazione generale sull’esposizione dei giudizi estetici riflettenti” di tornare ancora un momento su quel particolare sentimento del “bello” che “ci prepara ad amare … senza interesse” e che per tramutarsi per il “genio” , di cui diremo, in opera, che tu chiamerai, maestro, ”arte” o ancor di più “arte bella” che sempre ha “per iscopo di accoppiare il piacere alle rappresentazioni come modi di conoscenza … nondimeno pur non avendo altro fine, favorisce la coltura delle facoltà dell’animo” e diversamente dalla natura che è solo “necessità” essa è al contrario “spontaneità e regola, finalità e necessità” e campo prediletto di quel “genio” che tra “immaginazione ed intelletto” porrà “a fondamento della sue azioni, la libertà”. E di cui, maestro, tu notavi “da ciò si vede quanto segue: il genio è il talento di produrre ciò di cui non si può dare una regola determinata….per conseguenza, l’originalità è la sua prima proprietà… i suoi prodotti debbono essere insieme modelli, cioè esemplari…servire per gli altri…il genio stesso non può mostrare scientificamente come compie la sua produzione …non sa esso stesso come le idee se ne trovino in lui, né ha la facoltà di trovarne a suo piacere… o di fornire agli altri precetti che li mettano in condizione di eseguire gli stessi prodotti…la natura mediante il genio non dà la regola alla scienza, ma all’arte, e a questa soltanto in quanto dev’essere arte bella”. Ed a misura, oltre lo “scienziato”, di quanto sia straordinaria ed eccezionale la grandezza di un “genio” e diversa , così continuavi “ tutto ciò che Newton ha esposto nella sua immortale opera dei principii della filosofia naturale, per quanto a scoprirlo sia stata necessaria una grande mente, si può bene imparare; ma non si può imparare a poetare genialmente, per quanto possano essere minuti i precetti della poetica, ed eccellenti i modelli”… ché il “genio” non mai è replicabile, tanto la sua natura è unica e irripetibile e,“finché la natura un giorno non darà il dono ad un altro” tutta la terra ne rimarrà miseramente orfana!
Non …qui, vicino a noi, dove, in sorte di dei, ci accadde di godere e da tanto di questo prezioso “dono”, e chi leggerà capirà, che, continuando in una solitaria cantina a brillare, “ennallumina” il cammino con la sua luce ed in silenzio dice la bellezza vincerà, ed … oltre ancora continuando a perseverare in queste mie poche “linee” in cui volentieri mi attardo benedicendo quei suoi lontani “rimarchi rossi” ,in esame di un suo vecchio libro della “Critica del Giudizio” rinvenuti, e che, voti preziosi alla mia meta, molto “giovaro” alla gloria che verrà di questo breve “intercursus” a lui dedicato!
E se tanto fu e grande il dono e la bellezza, urge però, oltre la sorte che benigna volle toccare questa nostra amata terra meridionale, di continuare e per concludere questa mia terza parte dell’epistola di tornare ancora a quel principio di “finalità” che se nel “giudizio riflettente estetico” lo avevamo avvertito come una nostra esigenza “soggettiva” ora invece nel tuo “giudizio riflettente teleologico” lo avvertiremo come tu, maestro, ci indichi la strada come se fosse un principio “oggettivo” della natura, teso appunto a superare quel cieco “legame causale pensato dall’intelletto” per approdare a “pensare una relazione causale secondo un concetto della ragione (dei fini)” e qui, tra i primi del tuo tempo, maestro, dell’infante biologia avvisando quella sua nuova concezione “organicistica” in cui le parti sembrano organizzarsi in funzione della “totalità”. E che a differenza di quel tuo “orologio” dove “la causa produttrice …non è contenuta nella natura (di questa materia), ma sta fuori di esso, e… una ruota non produce l’altra, ancor meno un orologio produrrà un altro orologio” la natura sembra invece onorare per quel principio di “finalità”, se come scrive un nostro contemporaneo filosofo napoletano sembra che “tutti i suoi regni, minerale, vegetale e animale, siano costruiti, organizzati, al fine di rendere sempre migliore la vita dell’uomo e sempre più possibile l’espressione dell’umano” e ammonendo la scienza a non insuperbirsi “che mai un giorno sorgerà un Newton che possa far comprendere sia pure la produzione di un filo d’erba per via di leggi naturali non ordinate da alcun intento” chè, ed era il suo mestiere, maestro, “la tecnica della natura è prodotta dalla natura stessa secondo una propria finalità” o come nel tuo “orologio, ad opera di un “artefice” esterno e forse di un Dio, che, fiorendo in quel lontano tempo della gloria “Scolastica”, venne alla mia parte ma, come ben dichiarano i tuoi “100 talleri” non alla tua, maestro, ma sedendo tuttavia e regnando su quel secolo “illuminato” che fu tutto tuo, gioisti invece per quella “dea ragione” e quella sua “rivoluzione” che tanto amasti e per la quale, in quella lontana primavera dell’anno del Signore 1795, in cui un trattato di pace fu a Basilea firmato, non esitasti per i suoi ideali di sognare una grande “federazione di stati” che così, nella tua “Per la pace perpetua” auspicavi “questa federazione non si propone la costruzione di una potenza politica, ma semplicemente la conservazione e la garanzia della libertà di uno stato preso a sé e contemporaneamente degli altri stati federati, senza che questi si sottomettano (come gli individui nello stato di natura) a leggi pubbliche e alla costrizione da esse esercitata. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere progressivamente a tutti gli Stati e che conduce cosi alla pace perpetua!
Questo, maestro, il tuo sogno e questo della tua “Terza Critica” il mio epigramma per te: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, anzi… tre e fu all’uomo improvviso con l’infinito il sublime !”
Questo, maestro, nel novembre che muore il Corona virus l’amore debitore… il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di lunedì 30 novembre 2020