EPIGRAFE
Allorquando i filosofi seguiranno finalmente la via naturale del comune buonsenso, ricercando in primo luogo quel che sanno di certo circa il concetto astratto di un oggetto (per esempio, lo spazio o il tempo), senza sollevare altre pretese di spiegazioni; allorquando fonderanno le loro deduzioni soltanto sopra questi dati sicuri; allorquando in ogni mutamento di applicazione del concetto faranno bene attenzione se il concetto stesso, malgrado l’uguaglianza del termine, non sia forse mutato, può darsi bensì che essi non riescano più a fornire tante conoscenze a buon mercato, ma almeno quelle che presenteranno, avranno un valore sicuro.
(E. Kant, “Scritti Precritici”)
Ed anche per te, maestro Kant, figlio di Johann Georg della città Konigsberg che della “ragione” ne facesti “tribunale” fecondo canterò il mio canto … ed a te, maestro, che queste tre semplici domande “cosa posso sapere, cosa devo sapere e cosa ho diritto di sapere” alla filosofia ti resero “gigante tra i nani” cosa poteva mai la mia scarsa epistola alla tua gloria portare? Tu che traendo l’uomo dallo “stato di minorità” lo spingesti a servirsi della propria intelligenza comandandogli di “sapere aude”, di osare di conoscere sempre? Tu che assidendoti “arbitro” sul tuo secolo “illuminato” al secolo venturo consegnasti il destino? Cosa poteva mai l’incerta mia luce “epistolare” di osare se non in debito perenne della tua stessa luce le tue stesse parole?
Era, in verità, l’anno del Signore 1783 e tu, maestro Kant, con questa confessione davi della tua “Critica della ragion pura” al mondo il conto: “lo confesso francamente: l’avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, primo mi svegliò dal sonno dogmatico e dette un tutt’altro indirizzo alle mie ricerche nel campo della filosofia speculativa” indirizzo che mettendo al centro il “soggetto” chiudesti l’illuminismo ed aprendo nuovi “varchi fecondi” alla filosofia, da questo momento mai più in verità la filosofia si sarebbe interessata dell’”oggetto” realizzasti la tua “rivoluzione” e determinando i limiti e le condizioni delle nostre capacità conoscitive facesti del nostro “io” e l’idealismo che verrà ne farà sua gloria assoluta, il “donno” della realtà che proiettando sull’oggetto il suo “ordine mentale” si farà della natura novello “legislatore”. E di ”dogmatismo” inquinato tacciasti la filosofia precedente, con forza dichiarando che la natura non solo non contiene leggi dentro se stessa ma poco di noi si interessa chè anzi siamo noi che modellandola a “nostra immagine e somiglianza” la rendiamo per la nostra rappresentazione conoscibile riconoscendosi unica in quell’”appercezione pura” che derivasti da Leibniz o meglio dal suo allievo Wolff e che tu , maestro, chiamasti “io penso” e che avanzando nella tua “Critica della ragion pura” così definivi: “io la chiamo appercezione pura, per distinguerla dalla empirica, o anche appercezione originaria, poiché è appunto quella autocoscienza che, in quanto produce la rappresentazione “io penso”, che deve poter accompagnare tutte le altre, io ed è in ogni coscienza una e identica, non può più essere accompagnata da nessun’altra, l’unità di essa la chiamo pure “unità trascendentale” (intendendo, come tu stesso scrivevi, per “trascendentale” ogni conoscenza che si occupa non degli oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti, in quanto questa deve essere possibile a priori) dell’autocoscienza, per indicare la possibilità della conoscenza a priori che ne deriva” facendolo “garante”, come tu ben ci avvisi, maestro, non della conoscenza della “realtà in sé” che dal greco chiamerai “noumeno” e di cui, come leggeremo, si può solo pensare ma non conoscere, ma di quella realtà “apparente”, che ancora dal greco chiamerai “fenomeno” e che altro non è che la nostra stessa rappresentazione della realtà e… come Copernico “non trovò conveniente procedere nella spiegazione dei moti celesti in base all’assunzione che l’intera volta stellare ruoti intorno all’osservatore, cercò se ciò non poteva riuscirgli meglio facendo ruotare l’osservatore e all’incontro stare in quiete le stelle” così anche tu, maestro, non trovasti “conveniente” che il “soggetto” ruotasse intorno all”oggetto” e signore rendesti l’uomo del mondo che lui stesso si rappresentava (fenomeno) e che era l’unico che avrebbe potuto conoscere . E come quel re Mida, ed è tua la metafora, maestro, che tutto in oro trasformava le cose che toccava da quel giorno con il “soggetto” in trono avviasti la tua “rivoluzione copernicana” che deviando il cammino cambiò alla filosofia il suo destino. Ed oltre l’inglese che per aver voluto applicare la sua relazione di “causa” alle cose in sé, al “noumeno”, si era fatto “scettico” tu al contrario, maestro, gli consegnasti il “fenomeno” e ribaltando l’antico assioma solennemente dichiarasti che non più “tutte le nostre conoscenze si dovessero regolare secondo gli oggetti” ma“gli oggetti si dovessero regolare secondo la nostra conoscenza” e … chiamando la “ragione” (non sei forse stato tu, maestro, il signore ultimo e più solenne dell’illuminismo!) al suo stesso “tribunale” ma non, come precisavi, ad “una critica dei libri e dei sistemi, bensì alla critica della facoltà di ragione in generale, riguardo a tutte le conoscenze, cui la ragione può aspirare indipendentemente da ogni esperienza” una volta per tutte stabilisti quali fossero con i limiti le effettive possibilità conoscitive della ragione e contro, come leggeremo di seguito, la “metafisica” che si voleva fondare per scienza scrivesti che essa è ”una conoscenza speculativa della ragione del tutto isolata e che si innalza totalmente al di sopra dell’ammaestramento dell’esperienza” accampando diritti che non le spettano ti chiedesti “se sinora non avessimo sbagliato strada” e non fosse invece necessario “di procedere meglio ritenendo che gli oggetti dovessero conformarsi alla nostra conoscenza” e impostando “criticamente” (per questo la tua filosofia fu definita “criticismo”) il nostro cammino verso la conoscenza del mondo sicuro ti avviasti e … denunciando dei “giudizi sintetici a posteriori” dell’empirismo la mancanza di universalità e la tautologia nascosta dei “giudizi analitici a priori” del razionalismo, entrambi li condannasti per la loro solitaria arroganza alla fallacia e ricomponendoli nei tuoi “giudizi sintetici a priori”, maestro, indicasti loro la strada. Una strada nuova e feconda che fondando come tu scrivi la sua conoscenza “ su due fonti principali dello spirito”, la prima delle quali è la facoltà di ricevere le rappresentazioni (la ricettività delle impressioni) che viene assicurata dalle “intuizioni pure” di spazio e tempo di cui nella tua “Estetica trascendentale” così scrivevi, maestro, “lo spazio non è un concetto empirico, ricavato da esperienze esterne … lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, la quale sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. Non si può mai formare la rappresentazione che non vi sia spazio, sebbene si possa benissimo pensare che in esso non si trovi nessun oggetto. Lo spazio vien dunque considerato come la condizione della possibilità dei fenomeni…una intuizione pura” e poi del tempo di cui alla pari scrivevi: “il tempo non è un concetto empirico, ricavato da una esperienza. La simultaneità o la successione non cadrebbe neppure nella percezione, se non vi fosse a priori a fondamento la rappresentazione del tempo. … il tempo è una rappresentazione necessaria, che sta a base di tutte le intuizioni… il tempo dunque è dato a priori. Soltanto in esso è possibile la realtà dei fenomeni. Questi possono sparire tutti, ma il tempo stesso (come condizione della loro possibilità) non può essere soppresso. Su questa necessità a priori … il tempo non è un concetto discorsivo o, come si dice, universale, ma una forma pura dell’intuizione sensibile”. La seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni, ed è la tua “Analitica trascendentale” e che sono i “concetti puri” o le categorie dell’intelletto. “Intuizioni e concetti, continui maestro, costituiscono dunque,gli elementi di ogni nostra conoscenza ed… entrambi sono puri ed empirici. Empirici, quando contengano una sensazione(che suppone la presenza reale dell’oggetto) puri, invece, quando alla rappresentazione non sia mescolata alcuna sensazione. La sensazione si può dire materia della conoscenza sensibile. Quindi una intuizione pura contiene unicamente la forma in cui qualcosa è intuito, e un concetto puro solamente la forma del pensiero di un oggetto in generale…e se noi chiamiamo “sensibilità” la ricettività del nostro spirito a ricevere rappresentazioni, quando esso è in un qualunque modo modificato, l’intelletto è invece la facoltà di produrre da sé rappresentazioni, ovvero la spontaneità della conoscenza …queste due facoltà o capacità non possono scambi arsile loro funzioni. L’intelletto non può intuire nulla,né i sensi pensare. La conoscenza non può scaturire se non dalla loro unione”… che esulando dalla pretesa di conoscere la cosa in sé per l’azione “trascendentale” del nostro “io penso” si farà conoscenza unitaria e lungi dall’indurre le proprie leggi dalla natura tutte le deduce dal suo intelletto fondando prima con la matematica e poi con la fisica la conoscenza scientifica e … questo avrebbe potuto bastare all’esperienza,alla scienza ed alla vita di questa nostra piccola “isola” ma la“ragione” che oltre accarezza e coltiva di abbracciare la totalità non si accontenta ed ecco avanzare la critica della tua “Dialettica trascendentale”, oltre questa nostra “isola” che tu dirai essere“chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili” vuole andare e nella vana illusione di conoscere la cosa in sé si avventura e forzando di Ercole le colonne pericolosamente si arrischia per quel “vasto oceano tempestoso, impero proprio dell’apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l’illusione di nuove terre e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo” … eppure,continui, questa “illusione trascendentale” è talmente presente ed insopprimibile che ogni uomo pur verso il baratro vuole tentare di conoscere il “nuomeno”. Ed è così pungente nell’animo questo nostro il desiderio che anche la nostra stessa “ragione” che per sua natura già tenta di andare oltre, ne rimane affascinata sicchè raccogliendosi in se stessa lancia il dado e facendo dei concetti puri dell’intelletto non un uso empirico bensì un uso “trascendente” si allontana pericolosamente dal “fenomeno” e nell’illusione di una impossibile sintesi delle stesse categorie, tenta, con le sue tre “idee” (le chiamerai così e non categorie perchè non potendo esse mai diventare contenuto di esperienza sono quindi “trascendenti” come trascendenti erano le “idee” di Platone ) di “anima” di “mondo” e di “Dio” di afferrare il “noumeno” inesorabilmente consegnandosi così a quel regno delle “scienze” metafisiche che giudicate per il suo stesso “tribunale” la ragione giudicherà assolutamente fallaci non potendo mai senza l’esperienza fondarsi una scienza!
Ed in verità, così, maestro, ammonivi il lettore scrivendo che: “se l’intelletto può essere una facoltà dell’unità dei fenomeni mediante le regole, la ragione è la facoltà dell’unità delle regole dell’intelletto sottoposte a principi. Essa dunque non si indirizza mai immediatamente all’esperienza o ad un oggetto qualsiasi, ma all’intelletto,per imprimere alle conoscenze molteplici di esso un’unità a”priori” per via dei concetti; unità che può dirsi unità razionale,ed è di tutt’altra specie da quella che può essere prodotta dall’intelletto” e quindi destinata al fallimento. Il falso paralogismo che presiede infatti all’esistenza della sua prima idea, l’”anima” o le tante antinomie che in chiaro contraddicono la sua seconda idea del “mondo” e particolarmente la terza la più grande e più importante quella di Dio che capitola rovinosamente di fronte all’attacco dei tuoi “cento talleri” rivelano,maestro, palesamente che la pretesa boriosa ed arrogante della “metafisca” di costituirsi per “idee” come scienza è una illusione e come tale “tutta la fatica e lo studio posto nel tanto famoso argomento ontologico sull’esistenza di un essere supremo fosse dunque perduto” allo stesso modo di chi “mediante semplici idee, potrebbe arricchirsi di conoscenze né più né meno di quanto un mercante potrebbe arricchirsi di quattrini se egli, per migliorare la propria condizione,volesse aggiungere alcuni zero alla sua situazione di cassa” perché,ripetiamo, mai senza l’esperienza ci può essere conoscenza e la pretesa della “metafisica” di conoscere “a priori” in una malcelata tautologia nulla aggiunge alla conoscenza umana se non, come quel mercante alla sua condizione, degli zero. Questo però, continui, maestro, non significa, che quelle “idee” della ragione che a livello gnoseologico non possono avere nessun fondamento non possano però, proprio per quell’inestirpabile “illusione trascendentale” che cova profonda dentro, avere un’altra più positiva funzione: chè se è vero che quelle tre “idee” nulla aggiungono alle nostre conoscenze, pure però spronano l’uomo ad “agire” secondo un “ideale” che sembra guardare alla cosa in sé e che altrimenti ci sfugge.
E così come per la conoscenza venne la tua “Critica della ragion pura” a rivoluzionare il campo così ora anche per l’agire umano verrà la tua “Critica della ragione pratica” con il valore a segnarne i limiti e gli ambiti e facendo di nuovo il “soggetto” e solo il soggetto titolare delle sue azioni verificare se dentro di lui esista una “legge morale” e se mai universale, necessaria ed autonoma, oltre la sua “finitudine” empirica gli permettesse agendo di spandersi oltre i confini del mondo “fenomenico” con la sua azione morale di sfiorare quel “noumeno” che altrimenti ci sfugge e che solo il secolo che verrà in quella sua prospettiva “romantica” coglierà pienamente facendo di te, maestro, della filosofia il Giano bifronte, colui che chiude un’epoca quella dell’illuminismo e ne apre un’altra. Ed allora si avanzi dunque e venga allora alla mia porta, maestro, la tua “Critica della ragione pratica” e si costituisca ancora per una volta della ragione il “tribunale” e sia all’uopo di giudizio l’agire dell’uomo e la sua ”legge morale” il problema da esaminare, che … per essere, lettore, però troppo arduo, duro ed irto, urge di ben equipaggiarsi e l’ora che dalla prima “Critica” mi guida si è fatta tardi ed il “pollice” mi duole quindi mi fermo e domandandoti intervallo, prendo tempo e giurando di tornare riposo e mi congedo ché … al Grande Maestro per seguire una sola epistola non basta!
Questo il mio prima epigramma per te: “La ragione illuminò il tuo cammino e fosti alla falsa scienza maestro al secolo venturo il destino”
Questo, maestro, nell’ottobre amaro il Corona virus imperante l’amore prigioniero … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di sabato 24 ottobre 2020