“Mandato ambasciatore dagli Ateniesi a Roma, (Carneade) discusse con abbondanza d’argomenti intorno alla giustizia in presenza di Galba e di Catone il Censore, che erano allora i piú grandi oratori. Ma il medesimo all’indomani capovolse la discussione ed annientò quella giustizia di cui aveva tessuto l’elogio il giorno precedente, non certo con quella gravità filosofica che deve essere salda e coerente di pensiero, ma alla maniera, per cosí dire, retorica, propria dell’esercitarsi nel discutere il pro ed il contro di una tesi; cosa che egli era solito fare per poter confutare gli avversari qualunque cosa affermassero”.
( Cicerone, De Re Publica, III )
Come avrei potuto, maestro Manzoni, senza di te tu che, in quella lontana stagione liceale, facendo entrare in classe la tua Perpetua “ad annunziare la visita di Tonio” al tuo “non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno” don Abbondio “seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti” per la prima volta ci avvisasti di quell’anonimo Carneade! Chi era costui? che sarebbe diventato il nostro tormento? Chi “intra di quei ch’ebbi compagni dell’età più bella” mi avrebbe mai seguito se continuando a scrivere di “questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico” non avessi confessato che solo allora, ammonito dal professore, io stesso imparai a conoscerlo e continuando poi a “ruminarlo” nei miei studi lo avanzai raccogliendo di quella sua nuova misura “probabilistica” di cui “ben s’impinguò” con la “Terza Accademia” la sua alta, sottile eloquenza e quel mio primo peccato “epistolare” che avanzando ancora più impietoso nell’età che si fa sempre più tarda , a voi, miei affezionati “venticinque lettori meno uno”, umilmente si commenda perché alla consegna con benevolenza l’accogliate !
Fosti di Cirene, maestro Carneade, in Libia e fosti filosofo di tanta sapienza “ che anche i retori, scrive Diogene, abbandonarono le loro scuole per venire a sentire le tue lezioni” mentre di quella “Terza Accademia” che seguì al grande Arcesilao e che del tuo “probabilismo” si colorò ne fosti il primo fondatore… sostenendo che se nella conoscenza teoretica vale sempre la ”sospensione del giudizio” perché nessuna cosa è comprensibile, nella vita pratica però poiché non tutte le cose sono “non evidenti” e talvolta conferma tutto questo l’esperienza vale e solo per l’azione di ammettere un criterio non di “verità” certamente ma di “credibilità” possibilmente. Scrive a tuo, nostro intendimento Nicola Abbagnano: “È pertanto, un criterio, non di verità, ma di credibilità. Se non si può dire quale sia la rappresentazione vera, cioè corrispondente all’oggetto, si può dire qual è la rappresentazione che appare vera al soggetto. Questa rappresentazione è detta da Carneade plausibile o persuasiva (pithanon). Se una rappresentazione persuasiva non è contraddetta da altre rappresentazioni dello stesso genere, essa ha un grado maggiore di probabilità; così i medici, ad esempio, diagnosticano una malattia da vari sintomi concordanti. Infine la rappresentazione probabile, non contraddetta, esaminata in ogni sua parte è il terzo e più alto grado di probabilità” confermando quindi che alla vita reale si può, contestando le accuse degli stoici, rispondere per “probabilità” e quindi distinguere e di conseguenza “agire” alla conquista di quella felicità che rimane ancora e sempre sia per gli stoici che per gli scettici il sommo bene. Non scrivesti nulla, maestro, e come perSocrate provvide il suo grande discepolo Platone così per te, scrivendo “più di quattrocento libri” provvide il tuo laborioso discepolo Clitomaco chè…tu, maestro, proprio come Socrate, amavi sopra ogni cosa la parola viva quella che interrogata risponde e fu alle tue idee la tua eloquenza veicolo potentissimo e robustissimo tanto che Cicerone d’intesa con Numenzio di Apamea insieme concordano: “che niuna cosa egli sostenne mai senza provarla, nè mai cosa impugnò senza distruggerla da cima in fondo. Incantava talmente i suoi uditori, che li traeva cattivi all’ubbidienza de’ suoi sentimenti, e per forza o per astuzia soggiogava le persone medesime, le quali aveano prese contro di lui tutte le precauzioni più esatte. Niuno de’ suoi avversari potea resistergli: egli solo trionfava. Tutte le sue operazioni allignavano salde, erano quelle degli altri tutte disdegnate. Il partito contrario si struggeva dinanzi alla sua eloquenza, come la cera davanti il fuoco” E fosti, maestro, davvero superbo quando ambasciatore insieme a Critolao e Diogene di Babilonia a Roma inviato dagli Ateniesi che erano stati multati per avere saccheggiato la città di Oropo, tu non solo difendesti le loro ragioni ma con il tuo “scandalo scettico”, sostenesti infatti con la stessa potenza e verità di argomenti il bene della giustizia il giorno prima ed il giorno dopo il male, tanto inquietasti i vecchi ed attirasti i giovani che si narra che … trovandosi tra i tuoi uditori, quel tal Catone detto il Censore spaventato dalla tua melodiosa “sirenica,” eloquenza che avrebbe potuto “ far germogliare prima del tempo, in una nazione giovine e sincera, la filosofia di un popolo (greco) vecchio e tralignato” abbia così apostrofato il senato “ si dia loro risposta al più presto… e si rimandino alle case loro, sono genti, che persuadono quantunque cosa vogliano, nè si saprebbe scorgere la verità a traverso de loro argomenti” e tanta fu reale e avvertita la paura della tua eloquenza demolitrice, maestro Carneade, che ancora un secolo dopo Cicerone nel suo “Trattato delle leggi” così esclamava scrivendo della tua Accademia: “Ma di questa nuova accademia perturbatrice di tutte le cose, fondata da Arcesilao e da Carneade, imploriamo il silenzio; mentre se dessa si precipitasse sui principi, che ne sembrano abbastanza saldi, ella li diroccherebbe. Non sono vago di provocarla, desidero piuttosto di calmarla” e tanto, maestro, ti spandesti, ricevendone gloria (tu stesso, maestro, andavi dicendo che senza lo stoico Crisippo non saresti stato nessuno!) contro gli stoici e fosti grande da non solo rovinare, ammettendo che non c’era ragione di considerare un dio più di un altro, il loro politeismo ma anche contestando la loro stessa fiducia nella necessità degli sacri oracoli, avanzando e di molti secoli quella che sarà poi la “vexata questio” medioevale sul libero arbitrio. Inoltre anche quella loro idea di “rigorosamente” uniformarsi all’armonia della natura non reggeva secondo te, maestro, perché imponendo di fuggire dalla società e da tutto quello che è esterno e che la natura non comanda, non solo ci si condannava all’isolamento ed alla “peregrinatio” perenne ma ci si sarebbe privati anche di tutti quei vantaggi che la società poteva comportare e dove talvolta per te, maestro, a cercarla nella saggezza si poteva annidare quella felicità che sola è per ogni filosofo il sommo bene! E tanto furono le tue argomentazioni potenti e convincenti che lo stesso Antipatro scolarca al tuo tempo degli stoici si narra che : ”Non osò mai comparire dinanzi a te, nè in pubbliche lezioni, nè in passeggiate, nè in conversazioni: si taceva; neppure una parola usciva dalla povera sua bocca, e ti provocava soltanto da lungi, e di nascosto con alcuni libri, che componea” e quando di lui poi apprendesti, maestro Carneade, tu che la vita amavi e che pure rassegnato alla necessità “che la natura che mi compose mi scioglierà” mai avresti voluto lasciare, “aveva posto fine alla vita, bevendo un veleno… dicesti ”datelo dunque anche a me” e mentre gli altri si chiedevano, che cosa ? tu serenamente rispondesti “Vino melato” deridendo quel “pazzo” che volontariamente si era tolta la vita e che tu invece continuasti a coltivarla ed anche se come scrive nel suo epigramma, in “metro logaedico e archebuleo” il nostro amato Dionigi : “Che cosa, o Musa, che cosa tu vuoi che io rimproveri a Carneade ? Che è davvero ignorante chi non conosce come aveva paura di morire. Tuttavia, quando fu ammalato di tisi, della peggiore delle malattie, non volle spontaneamente dissolversi. Ma quando udì che Antipatro si era spento bevendo un veleno, esclamò: “Che beva anch’io “. “ Che cosa dunque ? Che cosa ?” “Datemi vino melato “. Aveva sempre pronta questa frase :” La natura che mi compose, mi scioglierà “. Nondimeno se ne andò sotto terra. Eppure gli era possibile giungere all’Ade irridendo i numerosi mali della vita”… tu difronte alla morte, maestro, talvolta tentennasti, pure quando : “Secondo Apollodoro, via dagli uomini – te ne andasti – nel quarto anno della CLXII Olimpiade all’età di ottantacinque anni” la luna si eclissò “quasi che l’astro più bello, dopo il sole, avesse voluto far intendere la sua partecipazione al tuo dolore” e ti rese onore oltre gli uomini nel cielo dove regna eterna e sovrana dura la memoria della tua grandezza e di chi, come te, maestro, con il suo talento accresce la gloria di un’arte che ancora oggi dopo tanti secoli continua a commuovere ed scuotere l’animo di chi ascoltando si nutre dei suoi frutti migliori e… se poi nella Scuola di Atene il grande Raffaello mancò non ti calere che corse alla tua fama il Gran Lombardo che tornando ora volentieri a chiudere questa mia lettera pure mi scolpisce ancora di traverso il tuo nome e…a riparare, dettato da te, maestro, per il tuo amato discepolo Clitomaco mi regala il mio epigramma: “Ah sorte maligna che sprofondi nell’oblio chi per me scrisse quattrocento e più libri ed elevi alla gloria quel curato di campagna “non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno” curato di campagna che se ben avesse letto in quel suo “libricciolo” la mia arte mai mi avrebbe così ridotto alla celebrità”.
Questo, maestro, nel dicembre che non si racconta l’amore in contumace … il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di domenica 1 dicembre 2019)
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