EPIGRAFE
Desideriamo raccogliere i diversi detti dei santi Padri ogni volta che ricorrano alla nostra memoria alcune opinioni discordanti, o che tali ci sembrano o che inducono alla discussione, in modo da provocare i lettori inesperti al massimo esercizio nella ricerca della verità e da renderli acuti grazie alla stessa analisi. Infatti la ricerca, e cioè il dubbio assiduo e frequente, è considerata come la chiave di volta della sapienza, e per raggiungere questo obbiettivo con tutto lo zelo possibile il filosofo più acuto di tutti, Aristotele, esorta gli studiosi dicendo nelle Categorie: “Forse è difficile dare una visione chiara e attendibile in cose di questo genere se non le si sono messe in discussione più di una volta”. Non sarà quindi inutile dubitare su ogni singola cosa. Con il dubbio si giunge alla ricerca, con la ricerca si giunge alla verità secondo quanto dice la Verità stessa: Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.”
(P. Abelardo,“Sic et non” )
NUOVO INCIPIT
Ed anche per te, maestro Abelardo, figlio di Berengario della città di Le Pallet, che del “sic et non” ne facesti metodo, canterò il mio canto … e principierò da quei “chierici vaganti” cui tu, maestro, desti il nome ed erano ancora vivi in quel maestoso ateneo “neapolitano” dove io, novello studente, ne fui“vittima”. Ricordo era appena entrato e stavo per salire il primo gradone di quella monumentale scala che portava alla segreteria per iscrivermi, quando all’improvviso mi si parò davanti, con tutta la sua corte, un uomo, che, spalancando a mo’ di impedimento il suo lungo mantello nero, osta il mio passaggio, chiedendomi di mostrargli il“papiello” , scoprii solo dopo ed a mie spese che quell’uomo era della “goliardia” il “lupo mannaro” ovvero il magnifico rettore e che il “papiello” era il loro permesso a liberamente circolare nella università. E quando poi alla mia meraviglia per tanta strana richiesta gli risposi che non l’avevo, prima rise insieme ai suoi compagni e poi con tono di padrone imponendomi degli strani“balzelli” e non dico quelli delle ragazze, strappa da uno dei tanti sacchi di cemento che erano lì abbandonati, un pezzo di carta e sottoscrivendolo con molte “croci” (seppi dopo che le croci erano i tanti “luminosi” anni “fuoricorso” del “lupo mannaro” ) vi impresse di suo pugno sopra queste parole “Nos Magnifici concedamus ad fetentissima matricula ut transcat per totam universitatem neapolitanam usque die…” concedendo a me, che per la prima volta entravo in quella immensa e sconosciuta università “neapolitana”, senza alcun “impedimenta” di liberamente “transcare” fino a … quando venne poi improvviso il vento del “sessantotto” e tutto cambiò e di quel “goliardico” mondo, cui sparuta resiste qualche traccia nella “ippocratica universitas” , di cui tu, maestro Abelardo, fosti il titolo ed il primo, non rimase altro che un ricordo!
E fu così che, sbattuto da quel “vento” che soffiava forte, e non fu, maestro, certo il tuo martirio, anch’io mi ritrovai solo con il poeta a piangere la mia“lacrimata speme” e più ti amai,“o cavaliere errante della dialettica” e “ nostro Aristotele” e venendo alla tua parte, in un tempo in cui (sic!) ad un “maestro” non si perdonava l’amore per una allieva, “amor, ch’a nullo amato amar perdona” di una tua bellissima discepola ti volle amante sfortunato e “magister” su quella cattedra di Notre Dame che fu già del tuo maestro, che gli “universali” credeva reali. Cattedra a cui, tanta era, in verità, già grande, come ebbe a scrivere un tuo amico e compagno, la tua fama, maestro, che “né la distanza, né l’altezza dei monti, né la profondità delle valli, né le difficoltà del viaggio per strade irte di pericoli e infestate di briganti, potevano trattenere i tuoi discepoli dall’accorrere a te” e che, quotidianamente onorandola in quel solitario “scriptorium” , ti vide, “galeotti”,come tu stesso confesserai nella “Storia delle mie calamità”, gli “angoli segreti che lo studio delle lettere offriva”, cadere travolto dall’amore e dei “ libri aperti” furono “più numerosi i baci che le frasi”. E non valse, maestro, la tua “abilità nelle risposte” chè Amore quando viene non bussa né chiede né sente preghiere e così, continui, maestro, travolti“non trascurammo nessun aspetto dell’amore, ogni volta che la nostra passione potè inventare qualcosa di insolito subito lo provammo e quanto più eravamo inesperti tanto più ardentemente ci dedicavamo ad essi senza maia stancarci” e di quel “folle amore”che tenne alto il canto dell’amor cortese, tu ed Eloisa, foste i primi. E quando poi, fatto oggetto di “immensa invidia” cadde su quel tal grande che “tutto ei provò” il silenzio, tal cadde su di te la mano sicaria e privandoti “dei mezzi con cui quella passione esercitavi” tu ancora di più, maestro Abelardo, l’amasti e fatto “monaco”,come in congedo di questa epistola leggeremo, fino alla morte l’attendesti!
Ah come avrei voluto con il mio cambiare, maestro, il tuo destino ma tutto comanda il fato e volge il tempo ed io ero e sono e ora come allora rimango solo un tuo umile discepolo!
E così come urgeva allora ed urge oggi al mio vecchio ufficio di ostinato “glossatore”, continuo e “quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare” e spinto poi dalla “lucidità del tuo ingegno, dalla soavità del tuo eloquio, dalla semplicità e dalla scioltezza del tuo modo di esprimerti e dalla sottile profondità della tua scienza” come “i giovani d’Inghilterra non si lasciavano spaventare né dal mare né dalle tempeste, ma una volta sentito il tuo nome disprezzavano ogni pericolo e correvano presso di te in folla e … bramavano tutti di venire alla tua scuola, come se non vi fosse nessun altro in grado di insegnare loro” anch’io accorro ed assumendo, come tu insegnavi, maestro, che nulla si deve credere senza prima averlo compreso, (nihil credendum nisi prius intellectum) mi faccio tuo umile discepolo e continuando per quel tuo “metodo” che nel prologo del“Sic et non” recita che solo “dubitando perveniamo alla ricerca e cercando percepiamo la verità” e, come già per la “Scolastica”, che tanto lo criticò, sarà il mio cammino. Un cammino ed un metodo, che reclamando di porre in primis la“quaestio” e le varie tesi da dibattere avanzava alla verità per un rigoroso e puntuale confronto “dialettico” ed in un tempo, maestro, in cui la “fede” ancora molto ostava la “ragione” troppo osasti, se … poi“dialetticamente” trattando, nel tuo“De unitate et trinitate divina”,dello scottante tema della Trinità, le ire ti attiraste di quel tal grande santo di Chiaravalle che strenuo difensore dell’autorità e della tradizione pubblicamente ti accusò. E non solo perché avevi ritenuto che anche alcuni, per tutti Platone, filosofi pagani avevano già intuito la “Trinità” ma cosa ancora più grave che avendo tu affermato che“Dio Padre è potenza perfetta, il figlio potenza solo in certo modo, lo Spirito Santo in nessun modo potenza; e parimenti che il Figlio sta al Padre come una certa potenza sta alla potenza, la specie al genere, ciò che è materiale alla materia, l’uomo all’animale, il sigillo di bronzo al bronzo” le altre “Persone” della Trinità sarebbero apparse solo degli “attributi”. Ed a nulla valse di replicare che “in quanto a ciò che mi è stato malvagiamente attribuito, cioè di aver sostenuto che il Padre è piena potenza, il Figlio è potenza limitata e lo Spirito santo non è affatto potenza, dichiaro che aborrisco e detesto queste affermazioni non solo come eretiche, ma addirittura come diaboliche, e le condanno insieme con il loro
autore; anzi affermo che se qualcuno riuscirà a ritrovarle nei miei scritti, confesserò di essere non solo un eretico ma un eresiarca” chè il santo monaco, che il divin poeta promuove alla gloria all’Empireo dove “solo amore e luce ha per confine” presagendo in te un nuovo “Ario”, in quel concilio di Soissons, come tu stesso ricorderai, ti fece condannare “umiliandoti con la condanna al fuoco del libro di cui ero particolarmente orgoglioso”e sebbene “da lì ebbero inizio le mie disgrazie, che ancora oggi durano” convinto dal dovere che ti veniva “soprattutto dalla mia cultura e dalla mia scienza”, maestro, tu continuasti ed in un tempo in cui con i santi imperavano i papi e la “fede” troneggiava sulle cattedre, tu “paladino della “ragione” ti ergesti e fosti di quel medioevo inquieto il fiero “golia”. Ed irrompendo poi con forza in quella “disputa” che per i dubbi di Porfirio aveva avuto inizio, scriveva nell’ “Isagoge” il filosofo di Tiro”per il momento, mi rifiuto di parlare, per quanto riguarda generi e specie, se essi sussistano o se siano nudi e isolati concetti puri; e, se sussistono, se siano materiali o immateriali; o se siano separati o incorporati negli oggetti sensibili, ed altri argomenti correlati. Questo tipo di problema è uno dei più profondi che vi siano, e richiede indagini più ampie” e che tra i “realisti” vedeva primeggiare il tuo antico maestro, al quale “dapprima discepolo assai gradito” per aver “cominciato a criticare le sue teorie” diventasti poi “molestissimo”, tu, con le tue “Logica”,maestro, contestando sia i“realisti”, che volevano gli“universali”, vere e proprie“realtà metafisiche” (Platone!) “prima delle cose, nelle cose e dopo le cose” esistenti che i “nominalisti”, cui il divin poeta “con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose, sì come è scritto (nomina sunt consequentia rerum) darà il canto, che di contro ritenevano fossero solo dei “flatus vocis”, delle semplici emissioni di voci, tu, maestro Abelardo, apristi una nuova strada avanzando quella “terza via” che non “res” o “voces” fossero gli universali ma, alla maniera degli stoici, invece dei “sermones” ossia delle parole intese non come un semplice insieme di suoni fisici attratti da relazioni di significato. Scrivevi nelle tue “Glosse a Porfirio” confermando che“vi è un’altra teoria degli universali ancor più razionale, la quale non attribuisce l’universale né alle “res” né alle “voces”, ma assegna al “sermo” la funzione predicativa (singolare o universale). Cosa che, del resto, Aristotele, primo fra i logici, apertamente suggerisce nella sua definizione di universale, là dove afferma “universale è ciò che,“nativamente”, è atto a essere predicato di più individui” avviando quella nuova dottrina del “concettualismo”, cui già per te il tuo antico maestro nella sua terza fase era venuto e che tanta fortuna ebbe, continuando nei secoli a venire frutti a portare. Non“res” dunque sono gli “universali” ma nemmeno“voces” ma “sermones”, ossia costruzioni della mente : “gli universali non si vedono con gli occhi, ma con la mente” scrivevi legittimamente assegnandoli a quel processo di astrazione conoscitiva della mente che sola è capace di distinguere e di separare i diversi elementi ed in una condizione di affinità individuare quello che tu, maestro, chiamerai lo“status” ovvero il loro modo di porsi in “relazione”. Un percorso logico in cui la “funzione predicativa” si traduce in “sermo” ed il “sermo” non è una “relazione” né fisica né metafisica ma semplicemente“logica”,dove “l’universale è un vocabolo trovato in modo da esser capace di essere predicato singolarmente di molti, come per esempio il nome uomo è unibile ai nomi particolari degli uomini, per la natura dei soggetti reali ai quali è imposto” in quella dimensione “razionale” che sarà la “pietra angolare” di tutta la tua filosofia, e che… ancora ti costerà, quando avanti negli anni arriverà il tuo “Scito te ipsum” ossia quel conosci te stesso che riproponendo l’antica via socratica alla ricerca di sé, osasti per l’“intenzione” (per questo, maestro, la tua morale fu detta “etica dell’intenzione”) di distinguere il vizio dal peccato, ritenendo che il “vizio” fosse solo una “inclinazione naturale” è quindi senza colpa mentre il “peccato” essendo al contrario una scelta volontaria, fatta quindi con “intenzione” comporta la colpa, però, poiché l’”intenzione” , aggiungevi, maestro, è imperscrutabile agli uomini e solo Dio può conoscerla, non alla Chiesa ma a Dio solamente spetta il giudizio. Scrivevi nel tuo “Scito te ipsum” confermando “gli uomini giudicano di quello che appare, non tanto di quello che è loro nascosto e non tengono conto tanto del reato della colpa quanto dell’effetto dell’azione. Solamente Dio, il quale guarda non alle azioni che si fanno ma allo spirito con cui si fanno, valuta secondo verità la colpevolezza della nostra intenzione ed esamina la colpa con giudizio esatto: per questo si chiama “scrutatore del cuore e dei reni” e si dice che “vede in ciò che è nascosto” era troppo e … fu così che scorgendo l’eresia quel tal monaco belga si portò preoccupato da quel tal santo, che già in Soissons ti era stato ostile e strenuamente convinto che “non di argomentare, indagare,discutere, e pertanto dubitare si tratta ma semplicemente di credere o non credere” fosse il dovere di ogni uomo ancora una volta, in quel giorno fatidico del 3 giugno dell’anno del Signore 1140, ti assalì ed intervenendo in quella cattedrale cattedrale di Siens , presente il re di Francia, pubblicamente ti accusò di eresia. Cosa ne sarebbe stato, infatti, del magistero della Chiesa e di tutti coloro che“credendo di fare piacere a Dio” avevano ucciso Cristo e perseguitato i martiri o cosa ancora più grave ne sarebbe stato del nostro“peccato originale”, la tua “etica dell’intenzione”, maestro, era troppo pericolosa e la Chiesa non poteva permettersela, troppo avanti tu eri con la tua “intenzione”. E fu così che, come già quel grande che verrà e che nel fuoco dell’Inquisizione brucerà, anche tu, maestro, dichiarando di non volere rispondere né di riconoscere l’autorità di quel tribunale, ti opponesti e reclamando il giudizio del papa, seguito dai tuoi tanti allievi, oh quel tuo Arnaldo che con la sua vita il tuo magistero testimoniò, abbandonasti, e quando poi … l’anatema del papa venne non ti raggiunse, chè, come molti anni prima nel ritiro del tuo amato “Paracleto”, ospite di quel tal grande abate, che la chiesa dice “Venerabile” e che di te diceva eri il “Socrate di Francia”,“il più grande Platone dell’Occidente”, in quel lontano convento di Cluny, più i rumori del mondo non sentivi e lasciata cadere ogni ombra di superbia, mentre sbocciava alla pace quel tuo ultimo fiore dialogante tu serenamente ti apparecchiasti a finire i tuoi giorni nell’attesa di colei che “nel più dolce nome di amica” ti aveva amato, e … quando molti anni dopo, anche lei compì il suo tempo, tu l’aspettasti, maestro, ed aprendole le braccia l’accogliesti in quella tomba che ancora vi unisce e che insieme vi tiene in quel cielo che “lo mondo imprenta e con il suo lume il tempo ne misura”, abbracciati a “far corona” con quegli “spiriti sapienti” che ruotando cantano le lodi del Signore, chè sempre quel “Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola” e quel papa che “secondo” fece il “gran rifiuto” accoglie e perdona chi per “altri percorsi” alla ricerca di Dio si vota!
Fa freddo nello “scriptorium”, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: Stat Abelardus pristinus nomine, nomina nuda tenemus.
Questo, maestro, il mio epigramma per te: “Viandante che in Lutezia vai, fermati, questa è la tomba di Abelardo e di Eloisa che un atroce destino divise e l’amore riunì!
Questo, maestro, nel gennaio che muore ai suoi giorni l’amore ostinato … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di domenica 31 gennaio dell’anno 2021.