VI Domenica del Tempo Ordinario
Il Vangelo di oggi ci presenta il testo delle Beatitudini secondo la versione di san Luca, versione diversa e meno nota di quella di Matteo. E’ divisa in due parti in cui si hanno solo quattro beatitudini “beati voi” a cui vengono contrapposte quattro espressioni “ma guai a voi”, che non indicano una minaccia, ma un forte appello alla conversione, alla condivisione dei beni, all’aiuto dei poveri e dei sofferenti. “Guai” a chi vive appagato, senza preoccuparsi dei fratelli bisognosi, a chi ride del dolore altrui, a chi pensa di non aver bisogno di nessuno e non sente il proprio limite e la propria debolezza.
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Nel Discorso della pianura Luca ci racconta che Gesù si trova ai piedi del monte, in mezzo alla folla che lo ascolta. Non parla dall’alto della sua regalità ma dal basso della sua povertà e della sua umiltà. Infatti nell’instaurare il suo Regno si è posto sempre dalla parte dei poveri, degli affamati, degli afflitti e dei perseguitati.
Mescolati alla folla possiamo ascoltare le sue parole quasi fossero rivolte a noi. Se l’Evangelista sottolinea “alzò gli occhi verso i suoi discepoli” è perché il messaggio di Gesù è per tutti noi che intendiamo essere suoi discepoli. Il Signore che ci guarda e ci parla ci mostra che esiste una felicità profonda e grande che non potrà mai essere minacciata dalla povertà, dal non disporre di beni materiali, dal dolore, dal pianto, presenti più o meno nella vita di tutti noi. Il suo è un messaggio di felicità. Gesù ci vuole felici, ci regala gioia.
Anche noi cerchiamo nella vita la felicità, ma spesso non sappiamo essere felici. La felicità è sempre qualcosa che ci manca. Alla domanda “cosa sia la felicità e come trovarla”, “quale sia il profilo di una persona felice”, non sappiamo dare una risposta troppo chiara. Anche se Gesù non esalta la povertà e la sofferenza in sé stessa e neppure condanna il benessere in sé stesso, ci sembra strano che nel passo del Vangelo sia proclamata beatitudine la disgrazia, la sofferenza, la povertà.
Queste parole sono contrarie a quanto spesso sentiamo dire: beato chi è ricco, chi fa carriera, chi può godere del consenso altrui e risultano perciò inquietanti perché annunciano la felicità ai poveri, a coloro che vivono nel bisogno, nella sconfitta, nel pianto, a quelli che a causa del nome di Gesù si trovano esclusi, rifiutati, odiati, insultati, oppressi. E’ evidente il tono paradossale in queste parole. Perciò dobbiamo interpretarle bene.
Non si è felici perché si piange ma perché possiamo incontrarci con Dio che ci consola; non si è felici perché si è poveri ma perché la povertà ci permette di cogliere le cose essenziali della vita. Non si è beati perché perseguitati ma perché si mette la giustizia al di sopra di ogni altra cosa. Si è beati innanzitutto perché amati da Dio.
La ragione della beatitudine non è relativa quindi alla condizione in cui si vive. Essere felici non è però continuare a restare nelle situazioni di povertà, di sfortuna, di persecuzioni senza cercare di risollevarci ma, anche se non ci sarà un capovolgimento nella vita, se il nostro cammino continuerà ad essere faticoso, la beatitudine è alzare lo sguardo verso Dio sapendo che ci è vicino, ci dà forza.
Siamo beati perché Dio ha scelto di occuparsi di noi. Quando affrontiamo la sofferenza ricordiamo che grande sarà poi la ricompensa in cielo. La salvezza dipende dal sentirsi, o meglio, nell’essere figli di Dio. L’insoddisfazione attuale di molti di noi è dovuta proprio alla mancanza di autentici motivi per vivere, lottare, sperare.
Non riponiamo la fiducia perciò nelle cose materiali e passeggere, riconosciamo ciò che davvero ci arricchisce, ci sazia, ci dà gioia e dignità.
Viviamo seguendo il messaggio “rivoluzionario” delle Beatitudini! Santa domenica in famiglia.