C’era un detto, un tempo, che sintetizzava “bene” uno stato d’animo abbastanza diffuso che oggi possiamo mandare in soffitta senza troppi rimpianti: “Sempre meglio che lavorare!”
Infatti, se il “detto” fosse vero, l’istantanea che ritrae la situazione attuale con milioni di persone costrette a casa, a causa della pandemia da Corona virus 19, sarebbe perfetta per rappresentare la situazione. Invece, la situazione da un lato fa rabbia e dall’altra tenerezza …
La rabbia è dovuta al fatto che si ha coscienza dell’impotenza nel poter sviluppare il proprio progetto di vita che, per gran parte, dipende dalla possibilità di impegnarsi in un lavoro che concretizzi dei propri obiettivi e, allo stesso tempo, che fornisca risorse per il sostentamento per sé e per la propria famiglia.
La tenerezza è dovuta alla rappresentazione di vite, non vissute, che ciondolano tra il soggiorno e il balcone, passando per la cucina, senza nemmeno poter passeggiare in un parco …
Anche se è vero che oggi, chi è “autorizzato” a lavorare perché svolge un compito per garantire servizi essenziali, è sovraccaricato anche del rischio “aumentato” per la propria salute; è altrettanto certo che essere attivi ed utili alla comunità è un elemento in più che accresce l’autostima e, soprattutto, la considerazione di tutti gli altri che fruiscono gli effetti del loro impegno.
Non è il caso di elencare le categorie impegnate a garantire il funzionamento dei servizi necessari a mantenere in vita il mondo attivo che ci circonda, ma in questo numero abbiamo voluto proprio dare spazio ad alcune esperienze significative che sono in “prima linea” per garantire al mondo “confinato in quarantena” il minimo indispensabile per andare avanti per un certo periodo vivendo una esistenza passiva.
Non è dato ancora sapere quanto tempo dovremo restare in mezzo al guado prima di raggiungere l’altra riva dove troveremo una realtà diversa da quella che ci siamo lasciati alle spalle. Certamente non ci arriveremo tutti contemporaneamente, né risaliremo la china nelle stesse condizioni economiche e sociali che abbiamo lasciato alle nostre spalle. Allora dovremo essere più altruisti di come eravamo abituati; dovremo accettare di rinunciare a qualcosa per poter dare a tutti la possibilità di ripartire; dovremo garantire a chi non riuscirà a mettersi al passo con la nuova dimensione produttiva di poter camminare nella stessa direzione di chi si troverà più avanti; dovremo essere consapevoli che essere impegnati in un’attività lavorativa “è sempre meglio che non lavorare!”
Lo dovremo fare soprattutto per rispetto di chi l’impiego lo avrà perso definitivamente e dovrà aspettare per trovarne un altro che gli garantisca un reddito e gli restituisca la dignità di una vita vissuta a pieno titolo nella società.
Bartolo Scandizzo