Non è facile catalogare l’agile saggio di Alessio Mautone tra i generi letterari: diario, romanzo di formazione, confessione, autobiografia? Oppure è tutto ciò? E’ difficile riassumere la trama raccontata con incalzante scrittura, che si segnala per capacità evocativa. Sembra quasi un mare in tempesta che si abbatte con le sue onde nella mente del lettore costringendolo a pensare.
Nel primo capitolo Alessio descrive il suo incontro col “mostro”, la leucemia che lo immobilizza rendendogli ancora più desiderabile il mare, il sole, la spiaggia dove poter osservare uomini e cose. Perfetta è la descrizione degli effetti della malattia sul suo giovane animo. Egli non esita a usare il termine “cancro” senza perifrasi e sinonimi edulcoranti, lo ritiene impossibile per un giovane costretto a trascorrere le giornate nella sala d’aspetto della vita e scoprire che unica, efficace fuga è accettare la malattia e cercare di essere cortesi con ciò che resta dell’esistenza. Così l’autore inizia il doloroso ma necessario esercizio d’imparare a lottare contro sé stesso accettando un interminabile gioco di nervi, convinto che vince solo chi sa resistere. Egli è consapevole di aver iniziato da scalzo un viaggio per strade tortuose, costretto a percorrere il tragitto durante una tempesta che lo obbliga a ricomporre i cocci franati della gioventù.
Come si può pensare alla morte quando si ha vent’anni? L’autore dichiara di averci riflettuto spesso, mai però immaginando il proprio funerale perché impegnato a considerare le ultime opportunità come ancora le penultime, anche quando è prostrato per una provvisoria infelicità, brevi intervalli per prevedibili crolli psicologici. Si chiede: perché è capitato proprio a Me? Ma la domanda rimane senza risposta anche nel finale, quando la dottoressa gli annunzia che la malattia è stata debellata. All’insistenza di Alessio, ella consiglia solo di guardare oltre considerando che “Il passato è storia. Il futuro è già qui”.
L’autore abbozza una serie di ritratti procedendo ad un’efficace descrizione di coloro che in questa vicenda sono da considerare i buoni samaritani: Gino, il maturo romano che ne ha viste tante e non é rassegnato alla sconfitta di Alessio per cui, ritenendolo un promettente attore, lo invita a recitargli qualcosa; Flavio gli offre un caffè e lo obbliga a salutarlo con un “ci rivediamo” per attestare che per lui ci sarà un futuro. Il malato trae stimoli positivi dagli animatori del Teatro Azione, dall’immergersi nella grande bellezza di Roma dove è vissuto per studiare recitazione. Egli trae giovamento da questo pellegrinaggio a ritroso perché sente il bisogno di andare indietro “all’indice del libro a rileggere la prefazione”.
Nella vicenda di Alessio un ruolo particolare lo svolge Margherita, una sorta di “Beatrice” nel viaggio da lui intrapreso a riveder le stelle. L’incontro con questa coetanea affetta da una malattia terminale gioca un ruolo importante nel suo oscillare tra il comportamento di un personaggio reale e quello immaginifico di compagno desiderato ma assente nella vita dell’autore. Ne deriva spontanea la domanda se i nomi assegnati alla ragazza e alla madre – Margherita ed Azzura – non abbiano la funzione evocativa dei colori della vita amati da Alessio e della perla della quale è alla ricerca ma che non trova!
Il saggio termina con la rapido epilogo della guarigione conferendo la sensazione di essere una sorta di canovaccio teatrale o per un film nel quale si rappresentano in modo efficace marcati contrasti. Alessio – da alexein, quindi colui che protegge – si descrive come un “ragazzo normale, ingenuo e capriccioso” che però “non si è dato per vinto”. L’autore usa parole atte a recuperare momenti dell’esistenza, quindi è un libro da “rileggere” ponendo particolare attenzione ai significati. Partiamo allora dal titolo: l’ombra è l’area scura proiettata su di una superficie da un corpo che blocca la luce; nella psicologia analitica di Jung richiama la personalità come inconscio che si evolve nel concetto sovra-personale e sovra-temporale richiamando la problematica del male; così la somma negativa dell’individuo passa ad indicare l’ombra assoluta, l’esistenza del male. Queste considerazioni, così profonde e fondanti per cercare di comprendere il significato della vita, diventano oggetto della favola di Alessio, un racconto accompagnato da una morale mentre procede a fare memoria di ricordi che narrano degli eccessi e dell’ingenuità di una esistenza. Mentre si dipana la storia emerge una della caratteristiche più significative del protagonista: il coraggio cioè – come si desume dall’etimologia- il suo aver cuore, forza morale che gli permette di affrontare situazioni difficili e comprendere che la sofferenza può essere un adeguato sottofondo al vero significato dell’amore. Se ben vissuta, questa esperienza può determinare la vittoria anche nelle situazioni più ardue. Tutto ciò per Alessio si è concretizzato nella possibilità d’intessere relazioni veramente terapeutiche a cominciare dalla famiglia, radicata in solidi affetti rappresentati dalla nonna. Essi trovano riscontro nella partecipata comprensione del fratello, nella silenziosa ma costante attenzione del padre, nella presenza amorevole e fiduciosa della madre. Le relazioni si allargano in ospedale con i medici, le infermiere, i malati, soprattutto Luca, il ragazzino col quale Alessio si dà appuntamento nel futuro per vincere la partita su un campo di calcio che evoca anche quello ancora più sorprendente della vita.
In questo contesto relazionale, che vede operare in sinergia tutte le agenzie della vera socializzazione per un giovane: famiglia, scuola, esperienze del quotidiano, manca la Chiesa, anche se è presente la religione. Ma quale? Alessio entra in un edificio di culto per scambiare “chiacchiere” e procedere ad un “confronto interiore con una entità superiore”. Nel descrivere questa esperienza, significativamente usa sempre lettere minuscole, anche per la madonna e per dio; asserisce però di pregare San Pantaleone omaggiandolo del maiuscolo, una conferma che il suo legame con la tradizione religiosa non lo induce ad un rapporto personale con Gesù, grande assente in questa vicenda dello spirito umano anche se, a ben riflettere, psicologicamente è l’individuo più vicino che si possa immaginare per chi, precipitato nell’ombra di una prospettiva fatale perché affetto da una malattia che, in genere, non perdona, dopo sei mesi risorge di nuovo alla vita. Ma anche per questo aspetto la favola di Alessio fa intravedere un finale positivo per un giovane “credente” ma che ha dimenticato la preghiera; egli si è “avvicinato alla chiesa” e l’ha fatto “per riflessione” mentre percorreva un sentiero buio ed intricato. Il coraggio gli ha consentito di attraversare il “bosco” oltre il quale ha ritrovato la luce grazie al sorriso di chi gli è stato vicino.