Sono considerati i malati immaginari dell’era moderna, ovvero ipocondriaci al tempo di internet che cercano in rete la conferma medica a sintomi che si convincono di avere ma che, in realtà, sono frutto della loro immaginazione, quella sì non del tutto sana.
Li chiamano “cybercondriaci”, acronimo fra cyber e ipocondriaci coniato già da tempo, perché sfogano online le loro preoccupazioni sul proprio stato di salute: un fenomeno che solo negli Usa si stima colpisca almeno otto persone su dieci, mentre in Italia interessa il 32,4% della popolazione.
Dopo un precedente studio condotto dalla Microsoft sulle ansie prodotte dalle ricerche web in tema salute, a mettere nuovamente in guardia è stato il professor Thomas Fergus in Texas, secondo il quale oggi la cybercondria può risultare ancor più dannosa della tradizionale ipocondria, perché basta un semplice clic del mouse per avere accesso ad una valanga di informazioni, molte delle quali senza alcuna valenza scientifica, che servono solo ad accrescere la preoccupazione di chi le legge.
Nello studio, pubblicato sulla rivista Cyberpsychology, Behavior and Social Networking, esaminando un campione di 512 adulti sani, con un’età media di 33,4 anni, e basandosi sulle risposte ad asserzioni del tipo “Ho sempre voluto sapere cos’ha in serbo per me il futuro” e “Passo la maggior parte del tempo a preoccuparmi per la mia salute”, Fergus è così giunto alla conclusione che la sovrabbondanza di informazioni mediche disponibili online, alcune delle quali provenienti da fonti perlomeno discutibili, può generare uno stato di ansia e di terrore spesso non giustificato e addirittura maggiore rispetto a quello che deriverebbe dalla lettura di un manuale scientifico o dalle risposte ottenute direttamente dal medico.
Ciò può addirittura peggiorare lo stato di salute generale del soggetto in questione, ripercuotendosi poi non solo sulla sua vita personale ma anche sull’intero sistema sanitario nazionale, che deve spesso accollarsi le spese per esami specialistici del tutto inutili.