Scuola: la lezione frontale da forma didattica superata a garanzia dell’autorità dell’insegnante
“È prioritario, ritiene il Ministro Bianchi, continuare a promuovere la sperimentazione e la diffusione capillare in tutte le scuole di nuove metodologie didattiche, orientate al superamento del modello di insegnamento tradizionale di stampo trasmissivo, incentrato sulla lezione frontale“. Siamo invero convinti che non è certo la metodologia in quanto tale che deve essere superata con un inopportuno abbandono della “frontale”, bisognerebbe invece individuare spesso una sua applicazione in considerazione di una platea di fruitori attivi e coinvolti. “La lezione frontale, che molti pedagogisti vorrebbero abolire, è invece essenziale secondo il filosofo Umberto Galimberti.
La didattica tradizionale si avvale della lezione frontale in quanto componente fondamentale. L’insegnante fronteggia la classe e destina ai presenti il contenuto didattico. E’ solo il docente con le sue conoscenze e le sue capacità che stabilisce una intesa, sollecita interesse e si orienta nella determinazione dei livelli di comprensione del gruppo. La “frontale” è la lezione classica per eccellenza. E’ comunicazione a unica via e si caratterizza con l’uso di una esposizione verbale, continua fino all’esaurimento dello sviluppo dei contenuti programmati quotidianamente, con possibilità conclusiva d’interventi utili. Istanze e chiarimenti generalmente fanno da chiosa a questa tipologia di lezione. E’, dunque, il docente l’attore principale nella pratica della lezione frontale. I dati informativi, nel corso di questa lezione tradizionale, raggiungono i destinatari a mezzo la parola del docente, la lettura testuale e l’utilizzo di strumenti multimediali. Gli alunni ascoltatori, fruitori, rispondono successivamente al docente con la presentazione delle competenze acquisite tramite prodotti individuali o di gruppo, ovvero momenti creativi in cui il discente può scegliere la modalità di espressione più consona alla sua personalità e ai suoi talenti. Prodotti multimediali (utilizzo LIM) (mappe, slides, pagine web, fogli di calcolo, documenti, …). Condivisione (pubblicazione in rete, inserimento in piattaforme, proiezione prodotti finali con LIM). Predellino, cattedra, lezione frontale, oggi, sembrano stancare. Hanno compiuto il loro tempo. E’ finita la loro storia. “La scuola italiana, spiega Daniele Novara, pedagogista del Centro psicopedagogico per l’educazione e la prevenzione dei conflitti (Cpp) di Piacenza, ha un problema che si perde nella notte dei tempi. Questo problema non riguarda l’architettura tradizionale del sistema scolastico, i cosiddetti cicli d’istruzione, né la distribuzione delle materie nel curriculo. Non è l’abbandono scolastico o i voti numerici e neppure la formazione degli insegnanti e il sistema di valutazione. È in realtà un vizio di forma, legato alla storia della scuola in Italia, e a tutto quell’insieme di idee, convinzioni e credenze, quelli che si definiscono gli “elementi impliciti”, su come si trasmettono i contenuti dell’insegnamento. Il problema della scuola italiana nasce da un equivoco, profondamente radicato e pervasivo, che ha un nome preciso: lezione frontale. Oggi, spiega Novara, siamo passati dal manoscritto al tablet, ma il sistema resta sostanzialmente lo stesso: l’assunto che muove comunque ancora gran parte della didattica della scuola italiana è che per far imparare qualcosa a qualcuno, e quindi per insegnare, il metodo più scontato, lineare e apparentemente efficace sia quello di utilizzare il sistema della lettura di un testo associata a una spiegazione”. Oltre a Novara il Presidente INDIRE in “Dall’aula all’ambiente di apprendimento” scrive: “L’ambiente non cambia certo per l’ingresso di qualche strumento nuovo, anzi rafforza i suoi caratteri e la lavagna interattiva multimediale (Lim) potenzia la lezione frontale”. Avverte il bisogno di un cambio di passo in termini metodologico-dididattici, anche l’attuale Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. “È prioritario continuare a promuovere la sperimentazione e la diffusione capillare in tutte le scuole di nuove metodologie didattiche, orientate al superamento del modello di insegnamento tradizionale di stampo trasmissivo, incentrato sulla lezione frontale“. Il Ministro è orientato a favore della didattica per competenze. “E’ necessario favorire lo sviluppo di una didattica per competenze, di tipo collaborativo ed esperienziale, per consentire una maggiore personalizzazione dei processi di apprendimento degli studenti, in considerazione delle loro specifiche esigenze. Occorrerà valorizzare ogni strumento, a partire dai materiali didattici tradizionali e dei libri di testo, rispetto ai quali costituirà impegno specifico del Ministero fornire alle scuole indicazioni e strumenti diretti a favorire le migliori scelte adozionali e l’individuazione delle più efficaci metodologie per la costruzione di materiali didattici”. Bianchi suggerisce ai docenti un approccio didattico nuovo. Qualcuno però lo frena. La Gilda per esempio: “Affermare che la lezione frontale debba essere superata in favore di nuovi approcci significa entrare a gamba tesa su un terreno che non è affatto di competenza del Ministro dell’Istruzione, ma che spetta ai docenti. Soltanto a loro deve essere affidato il compito di decidere, in base agli specifici contesti in cui operano, quali metodologie e strumenti didattici utilizzare, nel pieno rispetto della libertà di insegnamento che l’articolo 33 della Costituzione assegna loro”. La scuola deve guardare al futuro, sostiene Patrizio Bianchi. Bisogna orientarci nell’affermazione di una sempre maggiore didattica innovativa e di una sempre più ridotta lezione frontale. Un pensiero che non adotta il filosofo Umberto Galimberti; questi, inoltre, richiama alla prudenza del termine innovativo associato alla didattica. E’ sin troppo diffuso, sostiene il filosofo, l’uso del digitale anche fuori il contesto scuola, si lo è “abbondantemente, quasi fosse una protesi del loro corpo“. La contrarietà di Galimberti è duplice, interessa anche la linea del pensiero di Bianchi in merito alla lezione frontale. “La lezione frontale, che molti pedagogisti vorrebbero abolire, è invece essenziale. Asserisce Galimberti. Disporre ad esempio gli studenti in circolo con il professore che gira in mezzo a loro, come suggeriscono certe proposte, crea un rapporto di familiarità che diminuisce l’autorità dell’insegnante, di cui i ragazzi, anche se non sembra, hanno un estremo bisogno e di cui sono alla ricerca. Un’autorità non imposta dal ruolo del docente, ma conferita dagli studenti al professore perché ne riconoscono il valore“. L’affezione alla “frontale” è largamente diffusa, malgrado le molteplici opzioni adottabili. In verità tanti docenti della nostra scuola, anche relativamente giovani, sono legati alla lezione frontale, la forma didattica più usata e remota entro la quale l’insegnante ha la responsabilità principale della esposizione unidirezionale degli argomenti. A mezzo questa modalità il docente può fare gioco forza delle sue abilità comunicative. Si ritiene in verità che gli alunni, nel corso della lezione frontale, non debbano rimanere soggetti passivi e l’insegnante debba mantenere un ruolo centrale di dispensatore di conoscenze. In sostanza non è certo la metodologia in quanto tale che deve essere superata con un inopportuno abbandono, bisognerebbe invece individuare una sua applicazione in considerazione di una platea di fruitori attivi e coinvolti. L’assunzione del ruolo attivo del discente non comprometterebbe la funzione dell’insegnante, né lo relegherebbe in secondo piano. Se, invero, la lezione frontale costringesse all’accettazione esclusiva del discorso del docente, impedendo ogni interazione e confronto da parte dei discenti, con ridotto spazio per i feedback provenienti dalla classe, in tal caso si dovrebbe far valere la ragione di un radicale cambiamento e riconoscere scarsi elementi di favore verso la tipologia della esposizione frontale.
Emilio La Greca Romano