Scuola, educazione e cultura di genere
Il Ministro del MIM, Giuseppe Valditara, ha varato un Piano per combattere la violenza di genere e la cultura maschilista a partire dalla scuola. Si prevede, fra l’altro, la presenza degli studenti e di esperti in cattedra. Discriminazioni e abusi vanno assolutamente e urgentemente combattuti. Qualcuno ha aspramente criticato il piano di educazione delle relazioni proposto dal Ministro del MIM: «Rimettiamo al mittente il piano di educazione alle relazioni, ritenendolo carente nella fase storica, politica e culturale che viviamo e in questo senso quasi offensiva rispetto al clima di rabbia diffusa e trasversale di questi giorni». È necessario intanto che l’istituzione scolastica, con l’ausilio di personale esperto, proponga percorsi coinvolgenti a favore di alunni e studenti; questi devono cogliere la preziosità di momenti di autoriflessione e, quindi, di autoeducazione.
Quando si discute del ritardo che l’Italia vive rispetto al raggiungimento di un’effettiva eguaglianza tra uomini e donne nella vita sociale, politica e lavorativa, e si pianificano politiche per promuovere le pari opportunità, raramente la scuola viene interpellata e inserita nel dibattito politico. L’assenza del mancato impiego in politiche educative per la parità di genere si rappresenta espresso pensiero del SIPED, della Società Italiana di Pedagogia. Tale considerazione è contenuta nel Documento: “Ripensare la scuola nella società di oggi. Punti salienti per una visione innovativa, concreta e lungimirante”. Vi è in sostanza un sicuro travisamento alla base della ragione di questo mancato investimento in politiche educative per la parità di genere. Il grosso fraintendimento si esplicita in tal modo: “.la scuola italiana viene concepita come uno dei pochi contesti in cui la parità uomo-donna viene per definizione esercitata. Esiste un’evidenza statistica a supporto di questa credenza, che consiste in una forte presenza quantitativa delle donne a scuola, nel duplice ruolo di docenti e studentesse: la scuola, si continua a ripetere con toni talvolta rassegnati, è ormai «in mano alle donne». La forte femminilizzazione della scuola, si legge nel Documento SIPED, non implica di per sé una maggiore consapevolezza delle questioni di genere, né delle disparità tutt’ora presenti nell’educazione di bambine e bambini, ragazze e ragazzi. La scuola italiana continua a proporsi come un ambiente neutro, che non pone a tema le differenze di genere e proprio per questo non fa altro che replicare concezioni stereotipate dei due sessi. Ancora oggi l’appartenenza di genere condiziona fortemente i sogni, le aspettative, i progetti e le opportunità di vita, sia personali che professionali, dei maschi e delle femmine. Ignorare questo condizionamento porta inevitabilmente a perpetuare forme più o meno marcate di discriminazione, che sono dannose per entrambi i generi, ma che risultano certamente più penalizzanti per il genere femminile. Di fronte alla possibilità inedita, per il loro genere, di accedere al bene-istruzione e di proseguire gli studi fino ai livelli superiori, le ragazze, proprio a causa di stereotipi culturali interiorizzati fin da piccole, decidono di limitare le proprie scelte scolastiche e formative a filiere tradizionalmente femminili, come la cura e i servizi, autoescludendosi da altre opportunità. Una didattica di genere deve essere finalizzata, invece, a potenziare l’empowerment femminile, implementando l’autostima delle studentesse nell’applicarsi ad ambiti sinora considerati come rigorosamente, o impropriamente, maschili. Occorre far anche riferimento alla condizione omosessuale presente tra i giovani e gli adolescenti. Che richiede alla scuola, nella mediazione intelligente degli insegnanti, un’attenzione e una sensibilità educativa e comunicativa particolari”. Il mondo scolastico oggi deve promuovere l’educazione di genere; una educazione incrementata anche a sghimbescio, in ogni contestualità del sapere e disciplinare. Gioco forza in tal senso si rappresentano la sensibilizzazione e la formazione dei docenti. Gabriele Petrone, un Dirigente Scolastico, inviò un suo scritto a “Orizzontescuola”, poco prima dell’anno scolastico in corso, con riferimenti alla Educazione alla differenza di genere, nuova sfida della scuola italiana. Lo scritto merita di essere riproposto. Petrone ritiene sia necessario che l’istituzione scolastica, con l’ausilio di personale esperto, proponga percorsi coinvolgenti a favore di alunni e studenti; questi devono cogliere la preziosità di momenti di autoriflessione e, quindi, di autoeducazione. “I recenti episodi di violenza sulle donne, scrive, i continui drammatici casi di femminicidio, il permanere, purtroppo, anche nel discorso pubblico di linguaggi e di comportamenti sessisti e discriminatori, pongono certamente alla scuola compiti educativi significativi che il Ministro Valditara ha fatto bene a porre all’attenzione dell’opinione pubblica nelle scorse settimane. L’aspetto più inquietante di questi fenomeni è quello di avere un carattere assolutamente trasversale sia dal punto di vista generazionale che sociale. Inoltre, la presenza sempre più vasta nelle nostre scuole, di bambini e ragazzi provenienti da altri contesti etnici, culturali e sociali rappresenta un ulteriore elemento da tenere presente per garantire quella scuola laica, aperta ed inclusiva di cui un grande Paese democratico come l’Italia dovrebbe essere forse, di tanto in tanto, un po’ più orgoglioso. Il primo problema, per chi opera quotidianamente nella scuola, è quello di definire con chiarezza i termini di un intervento educativo, i suoi caratteri, il suo spazio all’interno del quadro degli insegnamenti offerti a bambini e adolescenti in un momento assai delicato della loro esistenza, quello della crescita personale, emotiva, sociale e culturale. In questo quadro mi sento di proporre, senza pensare, ovviamente, di introdurre nuovi insegnamenti, di articolare una parte dei percorsi di educazione civica, ai temi specifici dell’educazione alla differenza di genere. Uso questa definizione non a caso, perché non è assolutamente possibile costruire nessuna forma di parità dei diritti senza il mutuo riconoscimento delle diversità. In una società come quella attuale che subisce la duplice spinta alla massificazione e alla individualizzazione, anche la sfera legata alla identità sessuale ha subito profonde modificazioni culturali. Il “genere” viene, e non potrebbe essere altrimenti, percepito sempre più in termini “aperti”, di “autodefinizione”, e di “auto riconoscimento”. Al bambino e, in generale, al soggetto in formazione, non può non essere garantito, da quella scuola inclusiva, aperta e democratica di cui si parlava prima, questo percorso di autodefinizione e di auto riconoscimento di sé, rompendo stereotipi e pregiudizi che sono alla base del sessismo e della discriminazione. La molestia, la violenza, lo stupro, il femminicidio rappresentano, infatti, il punto di arrivo proprio di questo non riconoscimento dell’altro e, soprattutto, dell’altra, che si esprime prima in sottovalutazione e poi in una concezione, al contempo, di superiorità e di inferiorità. Da qui i comportamenti predatori, di possesso e infine di distruzione. L’idea che, addirittura, si possano concepire gli stupri di gruppo come veri e propri riti in cui il sesso diventa solo uno dei tanti “momenti” di consumo, la presunzione che la donna sia sempre “consenziente”, fino alla “distruzione” e all’”annientamento” del corpo femminile solo perché colpevole di un “no”, ci danno la misura dei compiti ardui che l’educazione alla differenza di genere ha davanti a sé. E’ dunque necessario che la scuola si attrezzi costruendo percorsi con esperti che coinvolgano alunni e studenti in momenti di autoriflessione e, quindi, di autoeducazione. Percorsi differenziati per ogni ciclo scolastico, dall’infanzia alle superiori, sui, quali, sin da subito, le istituzioni scolastiche possono impegnare, anche in rete, quote della loro autonomia, in attesa che il Ministero possa emanare apposite linee guida e impegnare, insieme e di concerto con gli enti locali, anche le necessarie risorse”. Il Ministro del MIM, Giuseppe Valditara, ha varato un Piano per combattere la violenza di genere e la cultura maschilista a partire dalla scuola. Si prevede, fra l’altro, la presenza degli studenti e di esperti in cattedra. Discriminazioni e abusi vanno assolutamente e urgentemente combattuti. “Cari ragazzi, ebbe a dire il Ministro, un Paese moderno è un Paese che sa realizzare un’autentica parità fra uomo e donna. Un Paese moderno parte da Voi “. Sono quindi previste, a breve, lezioni di “educazione alla sessualità” con focus sulla parità di genere. Valditara ha quindi, dopo le dichiarazioni estive, trasmesso alle scuole le sue linee guida. Qualcuno però si è detto disposto a bruciarle poiché carenti. Qualcuno ha aspramente criticato il piano di educazione delle relazioni proposto dal Ministro del MIM: «Rimettiamo al mittente il piano di educazione alle relazioni, ritenendolo carente nella fase storica, politica e culturale che viviamo e in questo senso quasi offensiva rispetto al clima di rabbia diffusa e trasversale di questi giorni». Tanto leggiamo in “Bruceremo le linee guida di Valditara” in Dinamo Press, a firma di Cattive Maestre e Non Una Di Meno – Roma: Trattando la violenza maschile contro le donne come un’anomalia che necessita di un intervento emergenziale, Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del merito dopo gli stupri di gruppo di Palermo e Caivano annunciava il piano “Educare alle relazioni” che sarebbe dovuto partire a settembre, ma che ha presentato solamente oggi in Senato, a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, in compagnia, ça va sans dire, della Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella. Il piano/campagna il cui coordinamento è stato affidato, dal Ministro, allo psicologo, spin doctor e sondaggista dell’Istituto Piepoli, Alessandro Amadori, “dettaglio” sui cui torneremo, prevede incontri extra-curricolari nelle sole scuole superiori, per un totale di 12 appuntamenti (e 30 ore, sembrerebbe spalmate nel corso dell’anno scolastico) e si basa su sedute di “autoconsapevolezza” tra studenti, condotte saltuariamente con esperti del settore e docenti come eventuali mediatori. Non solo! In un’epoca in cui uno dei più sconfortanti paradossi del massiccio utilizzo dei social è l’aumento di individualismo e isolamento soprattutto tra i giovanissimi e le giovanissime, saranno reclutati anche influencer e testimonial mentre sono tenute a debita distanza e saranno ignorate tutte quelle figure che si riconoscono negli spazi femministi e trasnsfemminsti, che lavorano nei centri antiviolenza, nelle associazioni di donne e che, soprattutto, da anni riflettono e lottano contro la violenza di genere, contro le discriminazioni LGBTQIAPK e si battono per un’educazione sesso-affettiva che inizi dalla prima infanzia. Che di un piano, di una strategia, di strumenti ci fosse urgenza è fuor di dubbio, lo urliamo da anni, pressoché inascoltata e con rabbia sempre crescente dopo ogni femminicidio, che, va ribadito con le parole di Elena Cecchetin “non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso”. Ma qual è il piano? Educare è sicuramente l’unica strada percorribile, ma il “come” conta, di più, è determinante. Nonostante le linee guida dell’Oms (così come la prassi legislativa di molti Paesi Europei) indichino, ormai da tempo e a partire da constatazioni empiriche, che un’opportuna educazione sesso-affettiva sia fondamentale nella prevenzione di abusi sessuali, di episodi di violenza e di omolesbotransbifobia ma anche nella riduzione di gravidanze nelle adolescenti e nella diminuzione della diffusione di malattie sessualmente trasmissibili, in Italia non esiste ancora una legge che agisca in modo capillare e omogeneo sulla formazione a partire dall’infanzia. L’Italia, infatti, è uno dei pochi paesi europei a non avere introdotto nelle scuole programmi di educazione sessuale obbligatoria. Qualche rapida ricerca in rete ci svela che la Svezia l’ha fatto nel 1955, la Germania nel 1969, Danimarca, Finlandia e Austria dal 1970 e la Francia dal 1998. Eppure, se ne parla dal 1975, da quando Giorgio Bini presentò la proposta di legge dal titolo “Iniziative per l’informazione sui problemi della sessualità nella scuola statale”. Ciò la dice lunga sul tipo di contesto sociale, culturale e politico in cui i/le studente di oggi stanno crescendo e si stanno formando. Va da sé, dunque, che l’attesa di un segnale era molto forte, la necessità storica per l’appunto era impellente e dunque, oggi, la delusione e lo sdegno per il “piano Valditara-Amadori” sono enormi. Siamo convinti, infatti, che non vi sia più tempo per fare tentavi, né tantomeno per commettere errori. Abbiamo l’urgenza di un’educazione e di una scuola femminista e trans femminista nella prassi e nei contenuti, nonché di strumenti per ostacolare il riprodursi e il continuo riaffermarsi dell’educazione patriarcale come l’unica possibile. Abbiamo altrettanto bisogno, per essere chiari, di stravolgere i programmi scolastici e di farla finita con testi, autori e metodi che continuano a promuovere modelli di violenza, di discriminazione e dominio. Il femminicidio di Giulia Cecchettin ci ha scosso profondamente. Ogni donna morta ammazzata per mano di un uomo, conoscente, compagno, ex, familiare, è una ferita lacerante. Ogni volta speriamo (perché abbiamo bisogno di sperarlo), ma siamo consapevoli, che non sarà l’ultima e ogni volta la determinazione e la rabbia si amplificano, arrivano dove non credevamo possibile. La morte di Giulia ci impone con tutta la sua evidenza la normalità della violenza, l’età, il contesto universitario, il liceo classico, il “bravo ragazzo”. Tutti elementi, apparentemente di contorno che ci mettono di fronte in modo ineluttabile e sempre più insopportabile che quando ascoltiamo, parliamo, ci facciamo travolgere da questi eventi, dobbiamo essere consapevoli che riguardano la nostra società nel suo complesso senza sconti né esclusioni, evidentemente, innervata ancora di una struttura patriarcale talmente radicata da riuscire, talvolta, addirittura a camuffarsi. Ci vengono i brividi ascoltando le narrazioni che ci dicono che “fare i biscotti” sia incompatibile con la furia del femminicidio di Giulia Cecchettin ma non basta più inorridire. La forza dirompente di Elena, la potenza delle sue parole, diventate mainstream, gli attacchi sferrati nei suoi confronti, ci impongono di essere determinati come non mai e di non arretrare di un passo. Ce lo ricordano le giovanissime studentesse che socializzano la loro risposta alla richiesta del minuto di silenzio di Valditara: un rumore assordante che grida “tutte insieme facciamo paura!” In molti, in questi giorni, infatti, sono ripartite dalle scuole: giovanissimi, docenti, studenti, genitori hanno rilanciato la necessità di introdurre in modo sostanziale, continuativo, complessivo, il tema dell’affettività, del consenso, dell’educazione sessuale negli istituti di ogni ordine e grado per cui non possiamo certo applaudire davanti alla proposta di Valditara che cerca di cavalcare l’onda a suon di umiliazioni di cui è un grande sostenitore, dobbiamo stravolgerla e vincere questa battaglia. Nella maggior parte delle scuole queste tematiche sono completamente assenti, mentre i contenuti disciplinari, la didattica e i metodi di apprendimento continuano a essere impostati in termini gerarchici e autoritari, dannatamente patriarcali. La scuola continua a separare le emozioni e il benessere psicofisico degli studenti e delle studentesse dagli aspetti cognitivi e conoscitivi. I corpi, le relazioni, i sentimenti, la sessualità, gli amori, gli istinti, vengono considerati marginali o, peggio, vengono trattati in termini paternalistici, cosa che non fa altro che accrescere la distanza tra adulti e giovani generazioni in modo insanabile. La quotidianità vissuta nelle scuole (le inter-relazioni azioni tra studenti, tra insegnanti e tra studenti-insegnanti, la strutturazione fisica dello spazio scolastico, i programmi, le norme – e i consigli – sull’abbigliamento, il linguaggio, ecc.) fa parte di una “cultura scolastica” in cui si stabiliscono confini precisi nel campo dell’affettività e della sessualità, dove alcune soggettività, e i loro vissuti, sono visibili e accettate, mentre altre sono considerate inammissibili, se non addirittura devianti e offensive. Serve dunque un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso, non è controllo, non è competizione, né sopraffazione. Non è più rimandabile l’educazione all’affettività e all’amore, al rispetto di sé, al consenso, alla parità, fin dalla primissima infanzia, quando bambini/e vengono, o meno, messi in condizione di fare le stesse esperienze e acquisire le stesse abilità, imparare a esprimere, condividere e gestire le emozioni, formarsi nelle prime, importanti, relazioni con gli adulti e tra coetanee/i. Quello che noi vogliamo è un percorso che ci accompagni in fasi e in contesti differenti delle nostre vite e che arrivi alle scuole superiori a un’educazione sessuale che provi a rispondere senza tabù e omissioni, senza morale e costrizioni, alle domande degli adolescenti, che non deleghi, né ai social, né alla rete, né alla famiglia, che spesso è un ambiente problematico o disfunzionale ma anche semplicemente che rappresenta proprio le relazioni da cui tutti, crescendo, cerchiamo di fuggire. L’adolescenza, è ormai noto, con i suoi rapidi cambiamenti fisici, emotivi e sociali, richiede un’attenzione e una cura estreme. È una fase nella quale, l’educazione all’affettività dovrebbe concentrarsi su temi come l’identità di genere, la gestione dello stress e dell’ansia, la sessualità, il consenso in ogni tipo di relazione e la resistenza emotiva. Crediamo dunque che solo un approccio che segua gli studenti lungo tutto il loro percorso scolastico, adattandosi e approfondendo i temi trattati in relazione alle esigenze evolutive di ogni età sia una strategia efficace. La proposta di Valditara, al contrario, oltre alla sua inconsistenza, si propone di arrivare, per capirci, a cose fatte. Concludiamo dunque rimettendo al mittente il piano di educazione alle relazioni, ritenendolo carente nella fase storica, politica e culturale che viviamo e in questo senso quasi offensiva rispetto al clima di rabbia diffusa e trasversale di questi giorni. Una proposta che sembra ancor più paradossale, una beffa, se si pensa che solamente un mese fa alla Camera, durante l’esame del Ddl contro la violenza sulle donne, il deputato leghista Rossano Sasso ha definito l’educazione sessuale nelle scuole «una nefandezza», promettendo che, fino alla fine della legislatura «sarebbe stato fatto muro» sull’inserimento dell’educazione sessuale nelle scuole. Infine, vorremmo denunciare, senza polemizzare come richiede il Ministro dell’istruzione (e del merito) ma appunto denunciare la “cura” dello stesso Ministro nel selezionare Alessandro Amadori come coordinatore del piano “Educare alle relazioni” presentato oggi. Parliamo dell’autore di un testo (autopubblicato nel 2020), La guerra dei sessi, in cui nega la violenza maschile e sostiene che i femminicidi sono causati «dal bisogno di sottomissione maschile» e che la violenza di genere vada intesa come “cattiveria”, come effetto della perdita di potere degli uomini, dovuta a una presunta tendenza delle donne a “castrare” gli uomini. «Il diavolo è anche donna», sostiene l’autore, esperto di educazione all’affettività, affermando: «Ma allora, parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive? La nostra risposta è “sì”, cioè che anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo». No, non un minuto di silenzio in più, egregio Ministro, le nostre vite insieme faranno rumore, per Giulia e per tutte noi e le generazioni che verranno siamo pronte a bruciare tutto, il 25N a Roma e a Messina e tutti i giorni che seguiranno nelle scuole e nelle piazze. Non una di meno. Questi, intanto, alcuni Documenti importanti in Italia e in Europa contro la violenza e le discriminazioni di genere: il “Piano nazionale contro la violenza e le discriminazioni per l’educazione al rispetto” del 2017; le Linee guida nazionali “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”. Altra normativa europea su questa tematica, Direttive e Raccomandazioni si riscontrano nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea del 2012, all’art. 8 si legge: “Nelle sue azioni l’Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne”. Bisogna “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze …”, tanto è contenuto nell’ art 5 dell’Agenda ONU 2030. “Verso un’Europa garante della parità di genere: la strategia per la parità di genere 2020-2025” è poi un ulteriore documento della Commissione europea del 2020. In esso vengono definiti obiettivi politici e azioni entro il lustro citato. “La promozione della parità tra donne e uomini è un compito che spetta all’Unione in tutte le attività che le competono in virtù dei trattati. La parità di genere è un valore cardine dell’UE, un diritto fondamentale e un principio chiave del pilastro europeo dei diritti sociali. Rispecchia la nostra identità ed è inoltre una condizione essenziale per un’economia europea innovativa, competitiva e prospera”. (elgr)