Per chi arriva nel Golfo di Policastro lungo il serpente d’asfalto che, scendendo dallo svincolo autostradale di Lagonegro, si insinua, con “virgole” e tornanti, tra uliveti nodosi, querceti secolari, carrubi frondosi e aromatiche “mortelle”, Sapri appare all’improvviso, dopo l’ennesima curva, adagiata come una divinità mitologica su una splendida baia lunata e non sai se a lambirla è il mare o le acque iridescenti di un lago, tanta è la calma bellezza del paesaggio. Dall’alto il colpo d’occhio è da favola, un osservatorio unico dal quale si ammira il frammentarsi del mare lungo la costa e laggiù, nella nebbiolina leggera del mattino, la sagoma austera del mitico monte Bulgheria, che fa da fondale fantastico e da cassaforte di memorie alla costellazione di borghi e paesi arroccati sulle alture o distesi sulla marina. La vocazione turistica di Sapri è stata precocissima. La conobbe Cicerone, che la chiamò “parva gemma maris inferi” – piccola gemma del mare del Sud – ; la amò l’imperatore romano d’Oriente Massimiano Erculeo, collega di Diocleziano e padre di Massenzio, che la elesse a residenza estiva; la ammirarono i numerosi viaggiatori stranieri del Sette-Ottocento – da Tait Ramage a Strutt – che ne sottolinearono, nei loro taccuini da “grand-tour”, lo stato di benessere e l’eleganza dell’impianto urbanistico; la apprezzò Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e re di Napoli, che la elevò a dignità di Comune autonomo con decreto regio del novembre 1809 (a decorrenza 1 gennaio 1810) e immaginò di trasformarne la baia in un grande porto commerciale e militare del Tirreno, secondo, per importanza, intensità di traffico e sicurezza di ancoraggio, solo a Napoli. Un passato prestigioso, dunque, per un centro le cui origini, avvolte dalla leggenda e dal mistero, si perdono nella notte dei tempi. Fu forse la Scidro di cui parla Erodoto, ove, nel 510 a.C. si rifugiarono i profughi della fiorente Sibari – la più ricca e opulenta delle colonie della Magna Grecia – distrutta da Crotone; o Sapròs, luogo paludoso ma di invidiabile positura geografica, ottimo porto naturale, bonificato dai coloni greci e trasformato, nel V secolo d.C., in attivo approdo commerciale e nodo cruciale del traffico marittimo nel Tirreno Meridionale; o ancora Cesernia o Cesariana, scomparso centro di età romana, che la tavola Peutingeriana – la più antica mappa delle strade dell’Impero Romano – colloca sul sito dell’odierna Sapri; o fu forse Avenia, grosso centro etrusco – come narra un’antica leggenda popolare – per il cui possesso si scatenò una lotta furibonda quanto vana tra Etruschi e Romani, perché un brutto giorno, all’improvviso, sconvolta da un terribile sisma, la città fu inghiottita dalla terra e coperta dalle acque. E nei loro “cunti” i vecchi ancora ripetono quel terribile detto “Sapri s’aprì e poi perì” che rievoca spaventose calamità e apocalittiche emergenze. Non importa come realmente si chiamasse, certo è che Sapri, da sempre “terra di frontiera”, ha ricoperto, nel mondo antico, un importante ruolo territoriale strategico, sita com’ era al centro del Sinus Laus (oggi Golfo di Policastro), allo sbocco di una via istmica che collegava lo Ionio con il Tirreno, frequentata dall’età del Bronzo fino a quella Greco-Romana. E l’importanza della città romana – pur nel silenzio delle fonti storico-letterarie -, è testimoniata dalla presenza di un cippo funerario, del I secolo d.C., dedicato al duumviro edile e supremo magistrato Lucio Sempronio Prisco, morto in giovane età. Sapri, come ogni centro di remota civiltà, sotto un sudario immaginario, nasconde anche una sua piccola Pompei, che rievoca momenti disperati e vaghi di terremoti e di calamità naturali, di incendi e di addii frettolosi. La zona di Santa Croce costituisce il luogo sacro delle memorie, il “tuorlo” antico di una terra sopravvissuta alle avversità e alle prove della storia. E i considerevoli resti della grande villa imperiale romana, le terme e la ragnatela di fondamenta che sta emergendo dagli scavi più recenti, offrono una preziosa testimonianza di civiltà sepolte che, a sentire la storia, risalgono ai tempi remotissimi di Ausoni e di Enotri. Si prova una profonda e lirica emozione per quei reperti polverosi che, dalle zolle scoperte, cominciano a riacquistare un senso, una spiegazione, addirittura fremiti di vita. All’epoca della sua elevazione a Comune Sapri era un piccolo centro, riportato sulle mappe e sulle carte nautiche quale “Porto”, ma considerato, di fatto, come la “marina” di Torraca e sottoposto allo sfruttamento e alle vessazioni dei vari feudatari succedutisi nel tempo sul territorio, dai Palamolla ai Gambacorta, dai Carafa agli Scandito. Dagli scarsi documenti dell’epoca si evince che il territorio comunale di Sapri, nei primi dell’Ottocento, era assai esiguo (lo è, in verità, tuttora), incolto e piuttosto sterile. La stessa toponomastica relativa al 1810 fa riferimento a scarni elementi: “Aria del Re” (l’attuale piazza Plebiscito e la Marinella), “Aria di Cassantra”, la “strada Fanuele”, la “strada Timpone”, la “strada San Giovanni”, la “strada Verdesca” (attualmente esiste una località con tale nome), la “strada Mocchie” (oggi c’è la località “Mocchie”). Una parte molto significativa della popolazione – ammontante, nel 1810, a 1360 anime, con 217 famiglie – era dedita all’attività artigianale di “calderaio” ed esercitava questo mestiere sia fuori che dentro i confini del Regno. La pesca, nonostante l’abbondanza della fauna ittica e la presenza di un comodo scalo marittimo, non poteva contare su grossi sbocchi commerciali e serviva, piuttosto, a soddisfare il fabbisogno alimentare familiare. L’approdo, considerato dai Portolani del Mediterraneo, come tra i più sicuri per le barche e i bastimenti che trafficavano tra la Calabria e Napoli, era, in realtà, un vero e proprio monopolio dei baroni di Torraca, che imponevano tasse e balzelli sull’esercizio di ogni tipo di commercio, vietando, di fatto, ai cittadini sapresi la possibilità di esercitare liberamente lo scambio di prodotti e di merci con i mercanti che approdavano con frequenza nel piccolo scalo. L’agricoltura, per la scabrosità del terreno e le periodiche inondazioni, costituiva attività di poco conto e di scarso reddito, riducendosi ad una modesta produzione di olio d’oliva. Più volte la cittadinanza, il clero e il Decurionato, a causa delle frequenti inondazioni causate dalle piogge copiose e insistenti, si erano visti costretti a chiedere all’Intendenza del Ptrincipato Citra di poter tenere incolti i terreni degli ex feudatari, spettanti in divisione al Comune, per evitare il pericolo di movimenti franosi e di allagamenti che, in passato, avevano causato notevoli danni all’abitato. Particolarmente rovinosa fu l’alluvione del 1811. Le acque provenienti dai monti e dalle colline sovrastanti il paese, travolti gli argini che i cittadini avevano provveduto faticosamente ad innalzare, si abbatté con violenza sulle strade e le case di Sapri, provocando danni di enorme entità: gran parte del territorio completamente coperta di fango e di ghiaia, centinaia di piante di ulivo danneggiate, l’abitato inondato, alcune case coloniche – fortunatamente al momento disabitate – letteralmente spazzate via dalla furia dell’acqua. Un paese povero, insomma, come tanti del Cilento, con gravi difficoltà ed enormi problemi di non agevole soluzione. Nel 1810, con la conseguita autonomia amministrativa, Sapri poteva finalmente aprire un capitolo nuovo e importante della propria vita civile, sociale, politica economica e culturale. Considerata, nell’immaginario collettivo, la città della “spigolatrice”, grazie ai celeberrimi versi di Luigi Mercantini legati al tragico e fallimentare tentativo insurrezionale risorgimentale di Carlo Pisacane – accesasi il 25 giugno del 1857 e spentasi il 1 luglio successivo – Sapri ha a lungo goduto di una straordinaria notorietà legata proprio al racconto poetico che la contadinella saprese fa dell’avventurosa vicenda del “bel capitano dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro” .E la cittadina cilentana, cuore pulsante del Golfo di Policastro, oggi più che mai intende giocarsi il futuro con il sostegno ed il conforto del filone culturale rappresentato dalle celebrazioni legate proprio alla storica vicenda della spedizione e dello sbarco di Pisacane. Fino ad alcuni anni fa unica manifestazione dell’estate saprese, il “Pisacane days” è diventato, oggi, una delle punte di diamante di un articolato e prestigioso programma di iniziative che mira ad abbinare le esigenze del turismo e della cultura, dello spettacolo, dell’arte e delle tradizioni popolari. Spettacoli musicali di grande prestigio e successo, come “Sapri Anni ’60”, revival canoro agostano con i grandi nomi della canzone italiana degli anni Sessanta e Settanta; spettacoli cinematografici, teatrali e di cabaret presso il ristrutturato Cine-Teatro “Ferrari”; cortei storici, manifestazioni folkloristiche, dibattiti, tavole rotonde e rassegne rievocative caratterizzano l’annuale kermesse saprese. Ripercorrendo la propria storia, la città della spigolatrice celebrò, nel giugno del 1995, la nascita del Centro Studi e Documentazione Carlo Pisacane, un’iniziativa cui hanno man mano aderito ben 12 università italiane. Con la partecipazione ed il contributo dei maggiori storici del Risorgimento, Sapri sta raccogliendo nel proprio Centro Studi, atti, documenti, testimonianze, audiovisivi e quant’altro si riferisce a quel particolare periodo della storia d’Italia. Ma Sapri punta anche sull’ambiente, sull’ospitalità e sulla gastronomia. Da oltre vent’anni è Banduera Blu d’Europa per la qualità e la trasparenza delle acque marine.
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